Sempre lo stesso, più grigio ma non
domo
Verso la metà di settembre, molti quotidiani nazionali annunciano finalmente
l'uscita del nuovo album per il 26 dello stesso mese. Essi ne svelano anche il
rassicurante titolo che suona quasi come una risposta confermativa agli
interrogativi dei fan che, diffidenti per i ripetuti precedenti dilazionatori,
rimangono in composta attesa: Io sono qui sembra in effetti confortare ogni
scetticismo e dichiarare senza ombra di dubbio l'atteso ritorno sulle scene.
Tanto più che la notizia della nuova pubblicazione si accompagna anche alla
realizzazione di un concerto gratuito che si terrà a Castelluccio di Norcia.
Ed effettivamente il
23 settembre,
in un teatro naturale spettacoloso, a un'altitudine di 1450 metri, su
un'estesissima piana incorniciata dalla catena dei monti Sibillini, fa la sua
inedita comparsa un autocarro giallo, pieno di strumenti, altoparlanti e
accessori utili alla realizzazione di un concerto. Esso si trasforma subitamente
in un palco mobile e improvvisato attorno al quale si radunano ben presto e
nonostante la giornata di fredda tramontana più di cinquemila presenze.
Compaiono anche, a singhiozzi, volti noti di insostituibili compagni di viaggio:
Danilo Rea e Walter Savelli che si accomodano alle tastiere, Paolo Gianolio
e
Marco Rinalduzzi accompagnati dalle chitarre, Marco Siniscalco al basso,
Elio
Rivagli seduto alla batteria. Da ultimo infine si materializza, con un capo
ormai copiosamente spruzzato di grigio, ma contraddistinto dalla solita verve
combattiva e istrionica, Claudio Baglioni. Quello che regala agli infreddoliti
spettatori dell'occasione è un concerto in piena regola, corredato di successi,
canzoni di seconda linea, da suggestivi medley e dell'inedita chicca della nuova
canzone-guida dell'album di imminente uscita: Io sono qui.
Durante il concerto, spiega di aver realizzato un sogno con il riuscire ad
approntare uno spettacolo proprio nella piana nella quale, molti anni prima, era
stato protagonista vocale del film Fratello sole, sorella luna; svela inoltre
di essere rimasto incantato da queste suggestioni naturali che gli sono sempre
restate nell'animo e hanno ispirato quella immaginifica canzone che è La piana
dei cavalli bradi.
Proprio qui, sul
Piano grande di Castelluccio di Norcia, Claudio gira anche lo straordinario video di
"Io sono
qui", realizzato con la partecipazione dei suoi stessi musicisti.
Quella di
Castelluccio non è che la
prima tappa di un mini-tour gratuito che viene realizzato in spazi inusuali e
per un pubblico con il quale, in massima parte, gli spettacoli non sono
concordati: il 24 settembre ad Assisi, il camion giallo si dispone a essere
quasi un punto di ristoro sull'itinerario della marcia della pace prevista per
quello stesso giorno; il successivo lunedì 25 è l'area di servizio del
Mugello a essere teatro dell'esibizione, tra camionisti perplessi e pendolari increduli;
due giorni dopo, il 27, Claudio tiene, nella caserma
Piave di Orvieto, uno
spettacolo inusuale per soli militari. Poi, per concludere, i due appuntamenti
pianificati: piazza del Campo a Siena, dove accorrono 35 mila persone, e il
Lido
di Ostia Antica, tributo del cantautore a quello che lui stesso definisce "il
mio mare", dove ad assistere sono addirittura in 70 mila.
Queste sei tappe costituiscono la
prima parte di quello che in seguito verrà denominato
Tour
Giallo, il quale a sua volta costituirà il
primo episodio musicale della trilogia dei colori, composta appunto dal
momento Giallo che caratterizza l'esibizione improntata all'effetto
specificamente acustico e strumentale, da quello Rosso che privilegia anche
gli aspetti teatrali e spettacolari e, in ultima successione, da quello Blu
che invece concede ampio margine all'applicazione visiva, multimediale e
tecnologica quali supporti particolari della musica.
È in questo periodo, denso di
sperimentazioni, progetti e nuovi rapporti con il pubblico, che vede la luce
l'Associazione culturale CLAB. Questa vuole essere, già all'atto della sua
genesi, non un semplice fan club ufficiale, ma vera e propria attività
realizzatrice delle finalità più diverse e svariate che coinvolgano alla
partecipazione attiva i suoi affiliati.
Per essa, ogni anno, il suo presidente si impegna a realizzare un raduno con gli
associati che costituisce il presupposto per esibizioni particolarmente
originali e piene di interpretazioni inedite.
Previo pagamento della quota d'iscrizione, il clabber riceverà inoltre
annualmente vario materiale di stretta attinenza con il mondo del cantautore
(rivista ufficiale, videocassette, CD, gadget, ecc.).
Non sempre tale associazione riuscirà a soddisfare i suoi intenti e perseguire
le sue intenzioni, ma certamente essa si definisce come un tentativo abbastanza
riuscito e unico di avvicinare per quanto possibile l'artista al suo pubblico
più affezionato.
Il 26 settembre 1995 esce in tutti
i negozi di dischi italiani il tanto atteso e sospirato nuovo lavoro il cui
titolo completo risulta essere Io sono qui. Tra le ultime parole d'addio e
quando va la musica.
Gli arrangiamenti del disco sono curati dallo stesso autore di testi e musiche
con la collaborazione di Paolo Gianolio, Tommaso Vittorini e Pasquale Minieri.
La registrazione del disco coinvolge molti musicisti che poi costituiranno una
collaudata squadra per le successive tournée: accanto al già citato Gianolio, vi
è infatti la collaborazione dell'immancabile piano di Walter Savelli e di quello
di Danilo Rea, del basso di Paolo Costa, della batteria di Gavin Harrison, delle
percussioni di Elio Rivagli. Altri musicisti che partecipano alla realizzazione
sono Pino Palladino (basso), Vinnie Colaiuta (batteria) e lo stesso
Tommaso Vittorini (sintetizzatori).
La copertina, piuttosto semplice,
mostra uno sfondo bianco con i caratteri grafici del titolo disposti in
posizione di preminenza e applicati in struttura compatta. A costituire ideale
cornice di contenimento, si notano tre tratti colorati di giallo, blu e
rosso,
quasi ad avvisare circa le future rappresentazioni dell'opera; di lato, infine,
è inserito il primo piano del cantautore ritratto in una curiosa espressione a
metà fra il furbesco e il compiaciuto.
Ancora
una volta Claudio si affida alla struttura che gli è cara, quella del concept album. Tuttavia stavolta il
tratto d'unione è costituito non da una trama che va svolgendosi né da un tema
che influenza tutti i brani, quanto piuttosto dalla struttura formale che
configura le canzoni come fossero parte di un lungometraggio cinematografico.
Esse sono introdotte da un tema musicale denominato inizio e definite da un
finale; sono inoltre inframmezzate da brevi strofe che creano metafore fra la
vita quotidiana e la tecnica di realizzazione dei film, in un parallelismo
musica/cinema molto calzante e da sempre al centro dell'attenzione professionale
di Baglioni. In effetti, più che una concessione alla vivacità delle immagini,
Io sono qui è un disco di atmosfere, che dispensa il suo interesse più alle
ambientazioni che alle storie, calcando la mano sull'emozione concessa dalla
musica più che sulla suggestione derivante dalle parole.
Questo nuovo lavoro presenta, rispetto al precedente, un lirismo più smorzato,
che realizza un coinvolgimento personale ed emotivo forse minore. Ne guadagna
certamente l'omogeneità, poiché il disco appare assolutamente cesellato secondo
un indirizzo unico: il cammino di Io sono qui è lucido e coerente sino alla
fine e non si perde quasi mai, come poteva accadere con Oltre, in vezzi di
formalismo stilistico.
In effetti l'opera appare distinta in due "fasi" precise: una prima più
"leggera" e "scanzonata", dove anche i brani di un certo rilievo poetico sono
alleggeriti da melodie dalla metrica veloce e suadente: in molti di questi non
manca la battuta salace, né è impossibile scorgere punte di divertente
autoironia; una seconda, invece, caratterizzata da un più spiccato intimismo e
permeata di pessimismo latente: è in questa parte finale che la sceneggiatura si
trasforma da commedia impegnata e a tratti brillante in film drammatico: è qui
che si caratterizza una poetica particolarmente incisiva che tocca aspetti
sociali, psicologici e sentimentali decisamente vigorosi, andando a solleticare
le corde più sensibili e amare dell'emozione umana.
Come si è già detto, il disco è foriero delle più disparate atmosfere e, grazie
alla solita miscellanea di rock, blues, pop, echi latini e africani, qui
corroborata anche da una sapiente iniezione di reminiscenze popolari e
addirittura medievali, si presta a un reiterato "cambio di scenografia" che
alimenta ulteriormente la assimilazione alla struttura cinematografica.
Certamente anche Io sono qui non è un disco di facile lettura e acquisizione
tanto che alcuni dettagli, anche significativi, si svelano solo dopo molti
ascolti: in questo e nel suo carattere musicale "cosmopolita" è presumibilmente
da ricercare la sua non comune longevità.
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Dopo un brevissimo Inizio solo musicale irrompono, arroganti e
intraprendenti, le vigorose note del pezzo che dà il titolo all'album. Io sono
qui è una vera e propria canzone-guida, che esprime un nuovo punto di vista
ideologico: essa è caratterizzata da un inusuale confronto verbale con la
realtà, che viene finalmente espresso da una posizione positiva e paritaria.
Dopo "il lungo inverno della vita", è sopraggiunta una nuova primavera che "tra
sparare oppure sparire", fa crescere invece la terza opzione "di sperare" che
risulta essere, in effetti, quella più coraggiosa. Il tempo di compiangersi è
finito, e la nuova condizione invita a non nascondersi per riguadagnare il tempo
perduto. Si torna a scendere in pista, ad affrontare un nuovo viaggio con
ritrovato entusiasmo. C'è anche una sorta di invito, deciso ed esplicito a "non
perdersi più di vista" a costituire una solidarietà reciproca da opporre al
destino. Le pieghe del dolore sono ormai conosciute e navigate; ora non c'è più
nulla da perdere: "l'unica paura che resta del futuro è di non esserci". Da
rimarcare come interessante anche la dichiarazione iniziale di aver avuto una
metamorfosi, di "esser andato a lavarsi i panni dagli inganni del successo" che,
al di là della divertente parafrasi manzoniana, si rivelerà particolarmente
adeguata al nuovo modo di porsi del cantautore. L'incedere della musica,
incalzante e avvolgente, ha spesso catalogato questo pezzo nella immaginaria
sezione degli "inni" portandolo, fra questi, a essere considerato come uno dei
più tipici.
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Di seguito al breve frammento di Primo tempo che inaugura gli "stacchi
cinematografici" di cui s'è diffusamente parlato in precedenza, si introduce,
discosta e quasi di soppiatto, l'originalissima Le vie dei colori: un po'
viatico del successivo cammino artistico di cui è il degno manifesto, un po'
ennesimo esperimento di nuova espressione linguistica, questa canzone affresca
straordinarie atmosfere medievali attraverso l'utilizzo di musiche e termini
conformi al periodo "cortese". Abbandonati i panni di Gilgamesh per vestire
quelli altrettanto usurati di Parsifal, il nostro protagonista non modifica però
la sua essenza, il suo "senso di sé" che resta l'interminabile ricerca. Egli
deve, a un certo punto, partire inevitabilmente da solo per un viaggio che lo
porti a ritrovarsi e del quale non è necessario neppure conoscere la meta
precisa. Ciò che è fondamentale sarà muoversi, andare incontro ad altre strade e
rincorrere nuove idee anche con la consapevolezza di poter perdere chi si è
lasciato. Ecco allora che il cavaliere bianco e nero si dichiara disposto, sulla
strada del divenire, a trasformarsi in giallo, in rosso e in blu a seconda delle
persone e degli eventi con cui, a mano a mano, dovrà necessariamente
confrontarsi.
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Omaggio alla musica di tradizione popolare e rivisitazione di uno dei classici
napoletani più celebri, la Reginella baglioniana dedica il suo incipit proprio
alla famosa lirica di Bovio-Lama, per indirizzarsi poi, immediatamente, verso
parole e note dall'identità propria. L'ambientazione del pezzo è suggellata da
una melodia che definisce, impreziosendoli, i contorni comunque diafani della
trama: quest'ultima è improntata a trascendere il semplice amore individuale per
eternarlo nel contenitore storico della memoria. Ciò che qui viene descritta è
infatti la caducità dell'amore reale se rapportato a quello romantico e
intellettuale del ricordo e dell'immaginazione; il primo è infatti destinato a
esaurire la sua spinta, il secondo invece, modellato a propria immagine e
somiglianza, rimarrà scolpito nell'idea ed espresso compiutamente e totalmente
soltanto nella sua trasposizione musicale: qui Reginella, ormai oggetto di un
amore solo platonico, potrà ora del tutto appartenere, anche se solo in senso
metafisico, al suo innamorato autore.
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Ancora nell'alveo della memoria amorosa, ma stavolta al di fuori delle
aggettivazioni liriche precedenti, si snoda a questo punto, accattivante e
sinuosa nella parte musicale come in quella testuale, l'anima jazzistico-reggae
di Nudo di donna. Inserita dopo "l'intermezzo cineasta" di Secondo tempo,
essa è inchiodata a una schema metrico volutamente ripetitivo e colma di
allitterazioni che completano una forma stilistica molto vivace e in piena linea
col contenuto del pezzo: questo esprime infatti il ricordo di un precedente
incontro amoroso evidentemente ancora rimpianto soprattutto per la sua
"fisicità" e vi si crogiola, lasciando che l'immaginazione restituisca
sensazioni piacevoli. Grande spazio è lasciato all'immaginazione
dell'ascoltatore, in un gioco di voluttuose ambiguità ricreate ad arte.
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Pur rincorrendo toni leggeri e improntati a una sceneggiatura che rasenta il
farsesco, la riflessione che si propone V.O.T. è invece sufficientemente
amara e spietata: essa condanna in maniera quasi inappellabile la bieca vacuità
dei programmi e dei personaggi televisivi, rei di inseguirsi l'un l'altro verso
uno standard sempre più basso. Eppure c'è una quasi impossibilità, anche per
colui che se ne accorge, di rinunciare alla polarizzante centralità della
televisione: in effetti il protagonista, intento a scrivere una canzone e
distratto dalle velleità di seduzione di una donna, riesce solo
difficoltosamente e dopo un po' di tempo a "spegnere il muso alla TV". Brano
ricolmo di metafore gustose, di allusioni salaci e di spiritose ironie, V.O.T. è corredato di una musica
allegra che richiama i motivi del charleston.
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Sorella di quella composta appositamente per essere l'inno dei campionati
mondiali di nuoto dell'agosto precedente, questa seconda
Acqua nell'acqua non
mostra differenze sostanziali negli accordi musicali. È invece diverso il testo,
che risulta essere aggiunto di alcune strofe e modificato in varie parti: in
questa nuova versione l'elemento liquido è riconosciuto quale conduttore del
filo comune che lega il padre al figlio; come il tratto distinguibile e
denominatore grazie a cui gli uomini potrebbero e dovrebbero potersi ritrovare
solidalmente. Molti hanno anche interpretato, nelle pieghe di queste strofe
davvero ermetiche, una sorta di flusso d'energia che nei concerti si propaga
dall'attore agli spettatori, realizzando una piena simbiosi d'intenti: entrambe
queste chiavi di lettura possono allo stesso modo essere valide e addirittura,
in senso lato, coincidere.
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L'introduzione a questo punto, del Terzo tempo, è confine tangibile fra la
prima e la seconda parte del disco: da qui in poi, in effetti, i pezzi sembrano
evolversi verso una più acuta malinconia, e una più evidente sofferenza; così,
man mano che l'opera si avvicina all'epilogo, essi paiono abbandonare i residui
vivaci per acquisire fosche colorazioni. La tracimante Bolero è un primo passo
in questo senso, anche se la base ritmica ternaria e una melodia d'influsso
tipicamente spagnoleggiante riescono a celare questi primi sintomi di evidente
disagio. La vicenda di un altalenante rapporto di coppia non è che il soggetto
trascurabile di una canzone dall'impalcatura stilistica costituita da un
rispetto rigorosissimo per l'incedere metrico della rima. Tuttavia c'è
dell'altro: il testo rilascia infatti riflessioni inequivocabilmente "pesanti"
sul significato dell'esistenza, come l'amarissima strofa "siamo sempre qua/
storie in bianco e nero/ dove abbiamo solo/ un ruolo fisso da comparsa/ nelle
file di un bolero/ e tutto il resto è farsa" vuole evidentemente far intendere.
Il bolero è metafora adeguata di una vita che si snoda fra gli alti e bassi
dell'esistenza, crogiolandosi in una sequela tormentata di dubbi angosciosi.
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Fammi andar via è il brano con il quale si compie il passo decisivo verso
il malinconico e riflessivo finale del disco: sarebbe riduttivo definirla
semplicemente "canzone d'amore"; in realtà essa può riconoscersi sintesi di
tutti i brani amorosi e loro compendio finale; è un vero e proprio "trattato"
sul tema, una didascalia cinematografica capace di esplicare a chiare lettere il
nocciolo di una precisa filosofia sentimentale. Il tema è ripreso dalla
precedente Millegiorni e teorizza l'impossibilità di far concludere del tutto
un legame profondo, anche dopo la chiusura del rapporto. Tuttavia, se quella era
dotata di un dolore individuale palpabile, concreto e riferito anche, se
possibile, a un probabile autobiografismo, questa ci pone invece di fronte a una
sofferenza cosmica, universale e assoluta. Tali caratteristiche dotano il pezzo
di un lirismo davvero unico e struggente: "i legami" prodotti da una
consuetudine sentimentale ormai radicata rimarranno per sempre a segnare l'anima
e non smobiliteranno più le loro cicatrici, pronti a rammentare il passato
attraverso la stimolazione dolorosa. Strofe come "quando tu chiederai/ i baci e
un'altra vita/ agli uomini usurai /diglielo che tra noi non è finita, che ti ho
rubato tutto/ che sei in lutto/ che sei roba mia" o "non ci ameremo più qui ma
attraverso/ ciò che in altri giorni avremo perso/ e nei ritorni della gelosia",
sono i punti più acuti d'una sofferenza evidente e coinvolgente, che emoziona
l'interlocutore fino a farlo pienamente partecipe e a renderlo, attraverso la
proiezione mnemonica delle storie sue proprie, pienamente protagonista della
vicenda. Il brano è certamente fra i più ispirati dell'intero CD, ed è stato
reso in forme di alta drammaticità interpretativa durante alcune recenti
esibizioni dal vivo.
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Lo stacco piacevole della consueta "macchina da presa musicale" che introduce il
refrain di Quarto tempo delimita ormai del tutto il passaggio verso quel
finale esistenzialista di cui s'è diffusamente scritto e che presumibilmente
costituisce la chiave di volta per la piena comprensione dell'opera nella sua
interezza.
È dunque a questo punto che s'inserisce la conturbante e insofferente Male di
me, canzone che manifesta piena inquietudine di vivere, che denuncia la quasi
impossibilità di assuefazione all'angoscia dell'essere. In un incedere musicale
tra "bassissimi" e "altissimi", tra "lenti" e "veloci", Claudio si trasforma
metaforicamente in cacciatore per mettersi alla ricerca proprio di quella stessa
inquietudine illusoriamente trasformata in preda. La disperazione è talmente
insopportabile da essere urlata a chiare lettere, quasi fosse, questo grido,
l'unica risorsa da inseguire per dimostrarsi, comunque e nonostante tutto,
indomito. C'è dunque ancora risoluzione all'azione, ancora non arrendevolezza,
ancora capacità di speranza, seppure rabbiosa e priva di razionalità. Davvero
degno di nota l'evidente richiamo dantesco nella strofa "il mio fucile spianerò/
dietro ad ogni rumore/ e ombra o belva che vedrò/ tra radici di un lampo/ in
questa selva di sterpai" che esprime un diretto parallelismo con il primo canto
dell'Inferno nel quale il sommo poeta confessa chiaramente il proprio
smarrimento e la conseguente angoscia sopraggiunta.
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Strutturata come fosse l'evoluzione di un videogame a sezioni progressive,
L'ultimo omino si distribuisce in vari livelli (one, two, three, four, five)
che contengono ciascuno le evoluzioni di crescita del protagonista e disegnano
episodi normali e caratteristici delle varie fasi di vita: essi danno luogo a
una semplice storia a immagini che si dipana cronologicamente; tuttavia il
nucleo della canzone è costituito dall'intreccio a questa prima trama
apparentemente superficiale: quest'ultimo si occupa invece di manifestare il
disagio per varie situazioni di taglio quasi sempre sociale e delle quali ci si
accorge man mano che sopravviene la maturità: se infatti, il primo livello non è
corredato da alcuna analisi approfondita della realtà, il secondo, il terzo, il
quarto e il quinto si soffermano a osservare ingiustizie sempre crescenti e più
subdole da individuare; infine si giunge al "combattimento finale" (fight of
life), quello che dovrebbe finalmente innescare la reazione per i soprusi da
sempre perpetrati verso i più deboli: anche se potrebbe essere, sin da
principio, una battaglia inutile, varrà comunque sempre la pena di combatterla
sino all'ultima vita, sino all'ultimo omino. Il brano si chiude con un testo
parlato estrapolato dall'epilogo del celeberrimo film di Ridley Scott Blade
Runner.
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Anche l'ultimo brano resta fedele al cliché cinematografico adottato sin
dall'inizio: Titoli di coda rimanda infatti alla classica metodologia di
chiusura dei film o degli spettacoli di qualsivoglia tipologia. Quella che viene
qui recitata e descritta è però la rappresentazione della fine della vita,
quando "non ci son più scene dove saper se hai recitato bene o male"; quando non
è più possibile "cambiare un po' il finale". Eppure, pensando a quel momento,
Claudio esprime più disincanto che paura; più timore per non aver avuto il tempo
di fare ciò che avrebbe voluto, che il terrore di trovarsi di fronte alla fine
di tutto. L'espressione drammatica raggiunge punte davvero notevolissime
attraverso la dolcezza della musica e la straordinaria composizione del testo;
queste ultime restituiscono al brano una dimensione di raffinata poesia e lo
vestono di atmosfere suadenti e rarefatte. Titoli di coda è davvero una
canzone di grande suggestione lirica che sconfina evidentemente anche in ambito
filosofico. Essa è degna conclusione di un disco che consolida la piena maturità
del nostro artista e lo ripropone alla ribalta musicale ancora per una volta,
l'ennesima, in maniera completamente diversa e inedita.
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Le ultime note di Finale, che riprendono la melodia dei vari Primo, Secondo,
Terzo e Quarto tempo, sono l'espediente per ringraziare musicisti,
collaboratori e pubblico per l'opera prestata. Dopo un ultimo, breve tratto
musicale che "lascia andare la musica" appena dopo "le ultime parole d'addio",
Io sono qui ci abbandona, lasciandoci però ancora strette addosso, come se le
avessimo vissute in prima persona, le emozioni vibranti dei film più intensi e
la spirale avvolgente di oniriche e catalizzanti melodie. |
Come di consueto, l'accoglienza del
pubblico al nuovo disco è tracimante: nel primo week-end vengono vendute ben
300.000 copie, e l'album rimane in vetta alle classifiche per qualcosa come otto
settimane.
Nel successivo
dicembre, Canale 5
trasmette, in prima serata, il video realizzato nella Piana di Castelluccio di
Norcia e il giorno 28 dello stesso mese Claudio Baglioni convoca per la prima
volta il raduno Nazionale Clab. Tutti gli associati possono parteciparvi e ad
essi, convenuti a Roma presso il Palazzetto dello Sport, il cantante regala una
spettacolo molto intimo corredato di aneddoti, battute e pezzi mai eseguiti dal
vivo. Da questo show viene
realizzata
51 Montesacro, una videocassetta destinata ai soli associati.
L'anno nuovo non modifica
l'attivismo degli ultimi mesi del '95: già il
23 gennaio, infatti, la complessa
e laboriosissima macchina che si occupa di approntare il Tour Rosso è pronta a
sostenere la prima delle innumerevoli serate che costituiranno il nuovo
spettacolo dal vivo. L'esordio avviene presso il palasport di Verona
cui
seguiranno altri 19 siti in ogni parte d'Italia. Le repliche saranno
innumerevoli e continue, sino a contare più di cinquanta serate.
Come precedentemente annunciato dal suo autore principale, il Tour Rosso
non si propone di essere un semplice concerto dal vivo, ma tende a privilegiare
una certa spettacolarità che potremmo definire teatrale: la collocazione
centrale, lo stesso colore rosso, i drappi di scena, alcuni marchingegni
meccanici come ad esempio la pedana mobile, l'utilizzo di sedici performer della
Compagnia dei
colori che animano ogni canzone con inusuali e suggestive coreografie
concorrono, in effetti, a rendere doverosa similitudine con le rappresentazioni
sceniche. La parte musicale non viene tuttavia emarginata ma costituisce, sempre
e comunque, l'elemento cardine dell'evento: da questo punto di vista basterà
ricordare l'utilizzo di due musicisti per ciascuno strumento, posti ai quattro
angoli del palcoscenico che è costituito da tutto il campo utile del palasport.
Ad accompagnare Claudio ci sono sempre i suoi fidi collaboratori: da Paolo Gianolio
a Walter Savelli, da Danilo Rea a Gavin Harrison, da Elio Rivagli
a
Paolo Costa.
A supportare il tutto e a garantire
che lo spettacolo si svolga nella più completa efficienza sono chiamati qualcosa
come 130 tecnici e 80 impiegati del servizio d'ordine.
Quella della nuova tournée è una carovana davvero mastodontica, che tuttavia
percorre addirittura 9.000 chilometri di strade italiane.
Il pubblico risponde in maniera entusiasmante al richiamo innovativo del
sopraccitato spettacolo: si presume che accorrano un totale di circa 400.000
spettatori con una media che sfiora i 10.000 per serata: è l'ennesimo dei
successi, l'ultimo dei trionfi.
Nell'ambito delle sue esibizioni
"live", dalle prime sino a quest'ultima, non è mai mancata, naturalmente,
l'esecuzione del brano che, più di tutti, ha concesso la grande ribalta al suo
autore. A 30 anni dalla sua composizione, dunque, Claudio decide che è giunto il
momento di celebrarla con un concerto e di riconciliarsi definitivamente con
essa: più volte infatti, il cantautore ha confessato di aver sofferto per la
valenza di immedesimazione che il pubblico e l'ambiente musicale in generale
hanno spesso attribuito al binomio Baglioni-Questo piccolo grande amore. Infatti
questo brano, cui sono stati attribuiti una sequela impressionante di premi e
riconoscimenti, se da un lato è entrato prepotentemente nella leggenda della
musica leggera italiana, sfuggendo addirittura al controllo del suo stesso
compositore per divenire canzone di livello popolare, dall'altro ha certamente
definito un modello standard cui Baglioni è sempre stato superficialmente
assimilato e dal quale fatica anche oggi a liberarsi, nonostante una chiara
maturazione.
Così, il 12 marzo, al Piper, locale romano dove fu eseguita per la prima
volta, Claudio esegue una breve performance per rendere definitivamente a QPGA
"l'onore delle armi". Tale spettacolo, dall'accattivante titolo di
Amori in corso, verrà poi teletrasmesso in differita da Canale 5 nel successivo
dicembre.
Doveroso sottolineare che l'ennesimo nuovo arrangiamento pare particolarmente
suggestivo e concede alla canzone, nel contempo, l'equilibrio fra la tradizione
delle note classiche e il gusto particolare di una fresca e ispirata modernità.
Un'altra iniziativa che serve a celebrare l'avvenimento è la pubblicazione, a
esclusivo appannaggio dei clabbers, di un CD dal titolo QPGA – 30 anni dopo.
In esso, la voce narrante di Claudio racconta la genesi, le traversie e la
realizzazione dell'album che ha decretato la sua consacrazione: sono certamente
da sottolineare, oltre ai curiosissimi aneddoti, anche alcuni spezzoni inediti
di quella Ci fosse lei che è primitiva e diversissima versione del brano poi
divenuto, appunto, Questo piccolo grande amore. La copertina del supporto,
realizzata in cartoncino e raffigurante un Baglioni che imbraccia la chitarra, è
opera del disegnatore Claudio Villa.
Il 6 luglio, per la seconda volta,
il pubblico più fedele di Claudio viene chiamato a raccolta a Ficulle, dove ha
luogo il secondo raduno nazionale di Clab.
A estate inoltrata, come ideale
continuazione di un discorso precedentemente interrotto, prende il via un altro
show, realizzato in forme completamente diverse rispetto a quello prodotto
l'inverno precedente: è il
Tour Giallo elettrico, nel quale viene ripresa l'idea strutturale del
precedente Tour Giallo. I musicisti (Gianolio, Savelli, Minotti,
Harrison,
Rivagli, Rea, Costa) suonano dunque dando più spazio all'estro spontaneo,
all'esecuzione "stradaiola"; essi si propongono quali liberi cantastorie,
menestrelli itineranti che seguono un percorso narrativo liberato da fronzoli
schematici. A costituire l'elemento scenico sono dunque stavolta i porti, le
strade e le piazze delle città balneari. Caratteristica peculiare è ancora una
volta il camion giallo. Il tour è piuttosto breve e si estingue in poco più di
una decina di tappe.
Davvero curioso è invece l'episodio
editoriale che coinvolge il cantautore in questo periodo: al numero di
ottobre
della rivista Tutto Musica, viene allegato un fumetto di Dylan Dog che assume
le sembianze di Baglioni per andare alla ricerca di se stesso sulle vie dei
colori. È un omaggio di uno dei maggiori talenti del disegno fumettistico
italiano, Claudio Villa, al suo cantante preferito, oltre che un favore reso a
chi aveva inserito nel testo di una delle sue ultime canzoni (Nudo di donna),
una citazione su Dylan Dog. Da questo reciproco scambio di cortesie nascerà,
come abbiamo già visto, anche una saltuaria collaborazione.
Altro appuntamento degno di nota è
quello che, in qualità di ambasciatore della FAO, il cantautore tiene a
Roma insieme ad altri affermati colleghi internazionali: il 27 ottobre ha infatti
luogo il
World Food Day Concert. La cronaca riferisce
di un Baglioni in scarsa forma vocale a seguito di una trascinata influenza.
Resta, a prescindere, il valore morale dell'evento e il significato che assume.
Claudio si esibisce in un gustosissimo duetto con Youssou N'Dour e propone
inaspettatamente un brano nuovo:
Koinè. Esso ha un testo che si esaurisce
in una sola parola, Koinè appunto: mutuata dal greco antico, tale
termine ha il significato "plurivoco" di "comunanza", di "assemblea congiunta",
di "costituirsi insieme" ed era utilizzato frequentemente "nell'Agorà", la
piazza delle città-stato greche dove si svolgevano le riunioni comiziali e nelle
quali veniva rappresentato efficacemente il primo concetto di democrazia e
libertà. Urlato al cielo nello scenario dei Fori imperiali, dinanzi alla
protervia del Colosseo e al cospetto delle vestigia romane, testimonianza
pregnante e continuativa di quella stessa cultura greca, il grido Koinè assume
un significato di straordinaria suggestione e di grande vigore evocativo, tale
da non risparmiare, ai molti convenuti, brividi intensi di commozione.
Presumibilmente il ripetersi reiterato della parola, nel nuovo pezzo, intende
essere un'esortazione a rimanere uniti e a costituire, grazie a quest'unione,
un'energia vitale contagiosa e capace di far scattare la molla auspicabile della
solidarietà. La musica è carezzevole e avvolgente, caratterizzata da una
crescita "a spirale" che coinvolge e invita al canto comune. Fedele alla sua
massima scherzosa per la quale "Le canzoni sono come il maiale e non si butta
mai via nulla di quanto composto", Claudio riproporrà la medesima melodia per il
brano Sì io sarò compreso nel Viaggiatore.
Il primo novembre del 1996 viene
pubblicato il video
Baglioni nel Rosso: tre ore di musica e immagini tratte
dalle esibizioni invernali nei palasport; il 23 esce invece il CD live
Attori
e spettatori, che certifica una stagione ricca di concerti: esso comprende
brani tratti sia dagli spettacoli invernali che da quelli estivi; grande spazio
è lasciato alle canzoni di Io sono qui, riproposte con sonorità e
arrangiamenti diversi. In tale supporto è anche inserita la nuova versione di
Questo piccolo grande amore ascoltata per la prima volta al concerto del
Piper.
Il 24 dicembre Claudio è uno degli
artisti invitati in Vaticano per festeggiare il Natale in uno show destinato a
scopi benefici: di fronte a Giovanni Paolo II, egli si cimenta in una riuscita e
commovente versione di Avrai resa ancor più suggestiva dall'accompagnamento
dall'orchestra filarmonica di Torino; tale interpretazione viene
successivamente inserita in un CD triplo, Christmas in Rome, che raccoglie l'intero concerto.
Nel CD è anche inserita Bianco Natal, della quale una breve strofa è riservata
al nostro cantautore.
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