biografia
a cura di Luca Tempini

Introduzione
 
Prologo
 
L'ambiente
 
Le prime note... di giorno
 
I tentativi
 
Cantante professionista
 
Le canzoni stonate...
 
L'influenza del cinema
 
Ragazzo nell'est
 
Quella sua maglietta fina
 
I giri di Camilla
 
La consacrazione definitiva
 
Il sabato del villaggio
 
Solo in compagnia di sé senza chiedere il permesso...
 
Un nuovo disco e un discografico nuovo
 
Canzoni e una piccola (grande) storia che continua...
 
Alé-oó
 
La canzone del secolo
 
La vita è adesso, il sogno, sempre
 
D'Assolo continuerò
 
Un trovatore perso un cantastorie muto
 
OLTRE
 
Appunti sparsi su quel che c'è
 
Sempre lo stesso, più grigio ma non domo
 
L'anima nuova di Claudio
 
Da me a te e dalla città allo stadio: un progetto lungo un sogno
 
Giri di "valzer" per un viaggiatore
 
Di nuovo "in viaggio" per sapere cosa c'è laggiù...
 
Sogno di una notte di note
 
Come per incanto
 
I concerti irregolari
 
L'uomo della storia accanto
 
Tutti in un abbraccio
 
'O scia'
 
Da cantautore a commendatore
 
Finale in... crescendo
 
Titoli di coda
 
Bibliografia e testi
 
Credimi, CREDITI
 

Sempre lo stesso, più grigio ma non domo

Verso la metà di settembre, molti quotidiani nazionali annunciano finalmente l'uscita del nuovo album per il 26 dello stesso mese. Essi ne svelano anche il rassicurante titolo che suona quasi come una risposta confermativa agli interrogativi dei fan che, diffidenti per i ripetuti precedenti dilazionatori, rimangono in composta attesa: Io sono qui sembra in effetti confortare ogni scetticismo e dichiarare senza ombra di dubbio l'atteso ritorno sulle scene. Tanto più che la notizia della nuova pubblicazione si accompagna anche alla realizzazione di un concerto gratuito che si terrà a Castelluccio di Norcia.

Ed effettivamente il 23 settembre, in un teatro naturale spettacoloso, a un'altitudine di 1450 metri, su un'estesissima piana incorniciata dalla catena dei monti Sibillini, fa la sua inedita comparsa un autocarro giallo, pieno di strumenti, altoparlanti e accessori utili alla realizzazione di un concerto. Esso si trasforma subitamente in un palco mobile e improvvisato attorno al quale si radunano ben presto e nonostante la giornata di fredda tramontana più di cinquemila presenze. Compaiono anche, a singhiozzi, volti noti di insostituibili compagni di viaggio: Danilo Rea e Walter Savelli che si accomodano alle tastiere, Paolo Gianolio e Marco Rinalduzzi accompagnati dalle chitarre, Marco Siniscalco al basso, Elio Rivagli seduto alla batteria. Da ultimo infine si materializza, con un capo ormai copiosamente spruzzato di grigio, ma contraddistinto dalla solita verve combattiva e istrionica, Claudio Baglioni. Quello che regala agli infreddoliti spettatori dell'occasione è un concerto in piena regola, corredato di successi, canzoni di seconda linea, da suggestivi medley e dell'inedita chicca della nuova canzone-guida dell'album di imminente uscita: Io sono qui.
Durante il concerto, spiega di aver realizzato un sogno con il riuscire ad approntare uno spettacolo proprio nella piana nella quale, molti anni prima, era stato protagonista vocale del film Fratello sole, sorella luna; svela inoltre di essere rimasto incantato da queste suggestioni naturali che gli sono sempre restate nell'animo e hanno ispirato quella immaginifica canzone che è La piana dei cavalli bradi.

Proprio qui, sul Piano grande di Castelluccio di Norcia, Claudio gira anche lo straordinario video di "Io sono qui", realizzato con la partecipazione dei suoi stessi musicisti.

Quella di Castelluccio non è che la prima tappa di un mini-tour gratuito che viene realizzato in spazi inusuali e per un pubblico con il quale, in massima parte, gli spettacoli non sono concordati: il 24 settembre ad Assisi, il camion giallo si dispone a essere quasi un punto di ristoro sull'itinerario della marcia della pace prevista per quello stesso giorno; il successivo lunedì 25 è l'area di servizio del Mugello a essere teatro dell'esibizione, tra camionisti perplessi e pendolari increduli; due giorni dopo, il 27, Claudio tiene, nella caserma Piave di Orvieto, uno spettacolo inusuale per soli militari. Poi, per concludere, i due appuntamenti pianificati: piazza del Campo a Siena, dove accorrono 35 mila persone, e il Lido di Ostia Antica, tributo del cantautore a quello che lui stesso definisce "il mio mare", dove ad assistere sono addirittura in 70 mila.

Queste sei tappe costituiscono la prima parte di quello che in seguito verrà denominato Tour Giallo, il quale a sua volta costituirà il primo episodio musicale della trilogia dei colori, composta appunto dal momento Giallo che caratterizza l'esibizione improntata all'effetto specificamente acustico e strumentale, da quello Rosso che privilegia anche gli aspetti teatrali e spettacolari e, in ultima successione, da quello Blu che invece concede ampio margine all'applicazione visiva, multimediale e tecnologica quali supporti particolari della musica.

È in questo periodo, denso di sperimentazioni, progetti e nuovi rapporti con il pubblico, che vede la luce l'Associazione culturale CLAB. Questa vuole essere, già all'atto della sua genesi, non un semplice fan club ufficiale, ma vera e propria attività realizzatrice delle finalità più diverse e svariate che coinvolgano alla partecipazione attiva i suoi affiliati.
Per essa, ogni anno, il suo presidente si impegna a realizzare un raduno con gli associati che costituisce il presupposto per esibizioni particolarmente originali e piene di interpretazioni inedite.
Previo pagamento della quota d'iscrizione, il clabber riceverà inoltre annualmente vario materiale di stretta attinenza con il mondo del cantautore (rivista ufficiale, videocassette, CD, gadget, ecc.).
Non sempre tale associazione riuscirà a soddisfare i suoi intenti e perseguire le sue intenzioni, ma certamente essa si definisce come un tentativo abbastanza riuscito e unico di avvicinare per quanto possibile l'artista al suo pubblico più affezionato.

Il 26 settembre 1995 esce in tutti i negozi di dischi italiani il tanto atteso e sospirato nuovo lavoro il cui titolo completo risulta essere Io sono qui. Tra le ultime parole d'addio e quando va la musica.
Gli arrangiamenti del disco sono curati dallo stesso autore di testi e musiche con la collaborazione di Paolo Gianolio, Tommaso Vittorini e Pasquale Minieri. La registrazione del disco coinvolge molti musicisti che poi costituiranno una collaudata squadra per le successive tournée: accanto al già citato Gianolio, vi è infatti la collaborazione dell'immancabile piano di Walter Savelli e di quello di Danilo Rea, del basso di Paolo Costa, della batteria di Gavin Harrison, delle percussioni di Elio Rivagli. Altri musicisti che partecipano alla realizzazione sono Pino Palladino (basso), Vinnie Colaiuta (batteria) e lo stesso Tommaso Vittorini (sintetizzatori).

La copertina, piuttosto semplice, mostra uno sfondo bianco con i caratteri grafici del titolo disposti in posizione di preminenza e applicati in struttura compatta. A costituire ideale cornice di contenimento, si notano tre tratti colorati di giallo, blu e rosso, quasi ad avvisare circa le future rappresentazioni dell'opera; di lato, infine, è inserito il primo piano del cantautore ritratto in una curiosa espressione a metà fra il furbesco e il compiaciuto.

Ancora una volta Claudio si affida alla struttura che gli è cara, quella del concept album. Tuttavia stavolta il tratto d'unione è costituito non da una trama che va svolgendosi né da un tema che influenza tutti i brani, quanto piuttosto dalla struttura formale che configura le canzoni come fossero parte di un lungometraggio cinematografico. Esse sono introdotte da un tema musicale denominato inizio e definite da un finale; sono inoltre inframmezzate da brevi strofe che creano metafore fra la vita quotidiana e la tecnica di realizzazione dei film, in un parallelismo musica/cinema molto calzante e da sempre al centro dell'attenzione professionale di Baglioni. In effetti, più che una concessione alla vivacità delle immagini, Io sono qui è un disco di atmosfere, che dispensa il suo interesse più alle ambientazioni che alle storie, calcando la mano sull'emozione concessa dalla musica più che sulla suggestione derivante dalle parole.
Questo nuovo lavoro presenta, rispetto al precedente, un lirismo più smorzato, che realizza un coinvolgimento personale ed emotivo forse minore. Ne guadagna certamente l'omogeneità, poiché il disco appare assolutamente cesellato secondo un indirizzo unico: il cammino di Io sono qui è lucido e coerente sino alla fine e non si perde quasi mai, come poteva accadere con Oltre, in vezzi di formalismo stilistico.
In effetti l'opera appare distinta in due "fasi" precise: una prima più "leggera" e "scanzonata", dove anche i brani di un certo rilievo poetico sono alleggeriti da melodie dalla metrica veloce e suadente: in molti di questi non manca la battuta salace, né è impossibile scorgere punte di divertente autoironia; una seconda, invece, caratterizzata da un più spiccato intimismo e permeata di pessimismo latente: è in questa parte finale che la sceneggiatura si trasforma da commedia impegnata e a tratti brillante in film drammatico: è qui che si caratterizza una poetica particolarmente incisiva che tocca aspetti sociali, psicologici e sentimentali decisamente vigorosi, andando a solleticare le corde più sensibili e amare dell'emozione umana.
Come si è già detto, il disco è foriero delle più disparate atmosfere e, grazie alla solita miscellanea di rock, blues, pop, echi latini e africani, qui corroborata anche da una sapiente iniezione di reminiscenze popolari e addirittura medievali, si presta a un reiterato "cambio di scenografia" che alimenta ulteriormente la assimilazione alla struttura cinematografica. Certamente anche Io sono qui non è un disco di facile lettura e acquisizione tanto che alcuni dettagli, anche significativi, si svelano solo dopo molti ascolti: in questo e nel suo carattere musicale "cosmopolita" è presumibilmente da ricercare la sua non comune longevità.

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Dopo un brevissimo Inizio solo musicale irrompono, arroganti e intraprendenti, le vigorose note del pezzo che dà il titolo all'album. Io sono qui è una vera e propria canzone-guida, che esprime un nuovo punto di vista ideologico: essa è caratterizzata da un inusuale confronto verbale con la realtà, che viene finalmente espresso da una posizione positiva e paritaria. Dopo "il lungo inverno della vita", è sopraggiunta una nuova primavera che "tra sparare oppure sparire", fa crescere invece la terza opzione "di sperare" che risulta essere, in effetti, quella più coraggiosa. Il tempo di compiangersi è finito, e la nuova condizione invita a non nascondersi per riguadagnare il tempo perduto. Si torna a scendere in pista, ad affrontare un nuovo viaggio con ritrovato entusiasmo. C'è anche una sorta di invito, deciso ed esplicito a "non perdersi più di vista" a costituire una solidarietà reciproca da opporre al destino. Le pieghe del dolore sono ormai conosciute e navigate; ora non c'è più nulla da perdere: "l'unica paura che resta del futuro è di non esserci". Da rimarcare come interessante anche la dichiarazione iniziale di aver avuto una metamorfosi, di "esser andato a lavarsi i panni dagli inganni del successo" che, al di là della divertente parafrasi manzoniana, si rivelerà particolarmente adeguata al nuovo modo di porsi del cantautore. L'incedere della musica, incalzante e avvolgente, ha spesso catalogato questo pezzo nella immaginaria sezione degli "inni" portandolo, fra questi, a essere considerato come uno dei più tipici.
 

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Di seguito al breve frammento di Primo tempo che inaugura gli "stacchi cinematografici" di cui s'è diffusamente parlato in precedenza, si introduce, discosta e quasi di soppiatto, l'originalissima Le vie dei colori: un po' viatico del successivo cammino artistico di cui è il degno manifesto, un po' ennesimo esperimento di nuova espressione linguistica, questa canzone affresca straordinarie atmosfere medievali attraverso l'utilizzo di musiche e termini conformi al periodo "cortese". Abbandonati i panni di Gilgamesh per vestire quelli altrettanto usurati di Parsifal, il nostro protagonista non modifica però la sua essenza, il suo "senso di sé" che resta l'interminabile ricerca. Egli deve, a un certo punto, partire inevitabilmente da solo per un viaggio che lo porti a ritrovarsi e del quale non è necessario neppure conoscere la meta precisa. Ciò che è fondamentale sarà muoversi, andare incontro ad altre strade e rincorrere nuove idee anche con la consapevolezza di poter perdere chi si è lasciato. Ecco allora che il cavaliere bianco e nero si dichiara disposto, sulla strada del divenire, a trasformarsi in giallo, in rosso e in blu a seconda delle persone e degli eventi con cui, a mano a mano, dovrà necessariamente confrontarsi.
 

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Omaggio alla musica di tradizione popolare e rivisitazione di uno dei classici napoletani più celebri, la Reginella baglioniana dedica il suo incipit proprio alla famosa lirica di Bovio-Lama, per indirizzarsi poi, immediatamente, verso parole e note dall'identità propria. L'ambientazione del pezzo è suggellata da una melodia che definisce, impreziosendoli, i contorni comunque diafani della trama: quest'ultima è improntata a trascendere il semplice amore individuale per eternarlo nel contenitore storico della memoria. Ciò che qui viene descritta è infatti la caducità dell'amore reale se rapportato a quello romantico e intellettuale del ricordo e dell'immaginazione; il primo è infatti destinato a esaurire la sua spinta, il secondo invece, modellato a propria immagine e somiglianza, rimarrà scolpito nell'idea ed espresso compiutamente e totalmente soltanto nella sua trasposizione musicale: qui Reginella, ormai oggetto di un amore solo platonico, potrà ora del tutto appartenere, anche se solo in senso metafisico, al suo innamorato autore.
 

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Ancora nell'alveo della memoria amorosa, ma stavolta al di fuori delle aggettivazioni liriche precedenti, si snoda a questo punto, accattivante e sinuosa nella parte musicale come in quella testuale, l'anima jazzistico-reggae di Nudo di donna. Inserita dopo "l'intermezzo cineasta" di Secondo tempo, essa è inchiodata a una schema metrico volutamente ripetitivo e colma di allitterazioni che completano una forma stilistica molto vivace e in piena linea col contenuto del pezzo: questo esprime infatti il ricordo di un precedente incontro amoroso evidentemente ancora rimpianto soprattutto per la sua "fisicità" e vi si crogiola, lasciando che l'immaginazione restituisca sensazioni piacevoli. Grande spazio è lasciato all'immaginazione dell'ascoltatore, in un gioco di voluttuose ambiguità ricreate ad arte.
 

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Pur rincorrendo toni leggeri e improntati a una sceneggiatura che rasenta il farsesco, la riflessione che si propone V.O.T. è invece sufficientemente amara e spietata: essa condanna in maniera quasi inappellabile la bieca vacuità dei programmi e dei personaggi televisivi, rei di inseguirsi l'un l'altro verso uno standard sempre più basso. Eppure c'è una quasi impossibilità, anche per colui che se ne accorge, di rinunciare alla polarizzante centralità della televisione: in effetti il protagonista, intento a scrivere una canzone e distratto dalle velleità di seduzione di una donna, riesce solo difficoltosamente e dopo un po' di tempo a "spegnere il muso alla TV". Brano ricolmo di metafore gustose, di allusioni salaci e di spiritose ironie, V.O.T. è corredato di una musica allegra che richiama i motivi del charleston.
 

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Sorella di quella composta appositamente per essere l'inno dei campionati mondiali di nuoto dell'agosto precedente, questa seconda Acqua nell'acqua non mostra differenze sostanziali negli accordi musicali. È invece diverso il testo, che risulta essere aggiunto di alcune strofe e modificato in varie parti: in questa nuova versione l'elemento liquido è riconosciuto quale conduttore del filo comune che lega il padre al figlio; come il tratto distinguibile e denominatore grazie a cui gli uomini potrebbero e dovrebbero potersi ritrovare solidalmente. Molti hanno anche interpretato, nelle pieghe di queste strofe davvero ermetiche, una sorta di flusso d'energia che nei concerti si propaga dall'attore agli spettatori, realizzando una piena simbiosi d'intenti: entrambe queste chiavi di lettura possono allo stesso modo essere valide e addirittura, in senso lato, coincidere.
 

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L'introduzione a questo punto, del Terzo tempo, è confine tangibile fra la prima e la seconda parte del disco: da qui in poi, in effetti, i pezzi sembrano evolversi verso una più acuta malinconia, e una più evidente sofferenza; così, man mano che l'opera si avvicina all'epilogo, essi paiono abbandonare i residui vivaci per acquisire fosche colorazioni. La tracimante Bolero è un primo passo in questo senso, anche se la base ritmica ternaria e una melodia d'influsso tipicamente spagnoleggiante riescono a celare questi primi sintomi di evidente disagio. La vicenda di un altalenante rapporto di coppia non è che il soggetto trascurabile di una canzone dall'impalcatura stilistica costituita da un rispetto rigorosissimo per l'incedere metrico della rima. Tuttavia c'è dell'altro: il testo rilascia infatti riflessioni inequivocabilmente "pesanti" sul significato dell'esistenza, come l'amarissima strofa "siamo sempre qua/ storie in bianco e nero/ dove abbiamo solo/ un ruolo fisso da comparsa/ nelle file di un bolero/ e tutto il resto è farsa" vuole evidentemente far intendere. Il bolero è metafora adeguata di una vita che si snoda fra gli alti e bassi dell'esistenza, crogiolandosi in una sequela tormentata di dubbi angosciosi.
 

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Fammi andar via è il brano con il quale si compie il passo decisivo verso il malinconico e riflessivo finale del disco: sarebbe riduttivo definirla semplicemente "canzone d'amore"; in realtà essa può riconoscersi sintesi di tutti i brani amorosi e loro compendio finale; è un vero e proprio "trattato" sul tema, una didascalia cinematografica capace di esplicare a chiare lettere il nocciolo di una precisa filosofia sentimentale. Il tema è ripreso dalla precedente Millegiorni e teorizza l'impossibilità di far concludere del tutto un legame profondo, anche dopo la chiusura del rapporto. Tuttavia, se quella era dotata di un dolore individuale palpabile, concreto e riferito anche, se possibile, a un probabile autobiografismo, questa ci pone invece di fronte a una sofferenza cosmica, universale e assoluta. Tali caratteristiche dotano il pezzo di un lirismo davvero unico e struggente: "i legami" prodotti da una consuetudine sentimentale ormai radicata rimarranno per sempre a segnare l'anima e non smobiliteranno più le loro cicatrici, pronti a rammentare il passato attraverso la stimolazione dolorosa. Strofe come "quando tu chiederai/ i baci e un'altra vita/ agli uomini usurai /diglielo che tra noi non è finita, che ti ho rubato tutto/ che sei in lutto/ che sei roba mia" o "non ci ameremo più qui ma attraverso/ ciò che in altri giorni avremo perso/ e nei ritorni della gelosia", sono i punti più acuti d'una sofferenza evidente e coinvolgente, che emoziona l'interlocutore fino a farlo pienamente partecipe e a renderlo, attraverso la proiezione mnemonica delle storie sue proprie, pienamente protagonista della vicenda. Il brano è certamente fra i più ispirati dell'intero CD, ed è stato reso in forme di alta drammaticità interpretativa durante alcune recenti esibizioni dal vivo.
 

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Lo stacco piacevole della consueta "macchina da presa musicale" che introduce il refrain di Quarto tempo delimita ormai del tutto il passaggio verso quel finale esistenzialista di cui s'è diffusamente scritto e che presumibilmente costituisce la chiave di volta per la piena comprensione dell'opera nella sua interezza.
È dunque a questo punto che s'inserisce la conturbante e insofferente Male di me, canzone che manifesta piena inquietudine di vivere, che denuncia la quasi impossibilità di assuefazione all'angoscia dell'essere. In un incedere musicale tra "bassissimi" e "altissimi", tra "lenti" e "veloci", Claudio si trasforma metaforicamente in cacciatore per mettersi alla ricerca proprio di quella stessa inquietudine illusoriamente trasformata in preda. La disperazione è talmente insopportabile da essere urlata a chiare lettere, quasi fosse, questo grido, l'unica risorsa da inseguire per dimostrarsi, comunque e nonostante tutto, indomito. C'è dunque ancora risoluzione all'azione, ancora non arrendevolezza, ancora capacità di speranza, seppure rabbiosa e priva di razionalità. Davvero degno di nota l'evidente richiamo dantesco nella strofa "il mio fucile spianerò/ dietro ad ogni rumore/ e ombra o belva che vedrò/ tra radici di un lampo/ in questa selva di sterpai" che esprime un diretto parallelismo con il primo canto dell'Inferno nel quale il sommo poeta confessa chiaramente il proprio smarrimento e la conseguente angoscia sopraggiunta.
 

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Strutturata come fosse l'evoluzione di un videogame a sezioni progressive, L'ultimo omino si distribuisce in vari livelli (one, two, three, four, five) che contengono ciascuno le evoluzioni di crescita del protagonista e disegnano episodi normali e caratteristici delle varie fasi di vita: essi danno luogo a una semplice storia a immagini che si dipana cronologicamente; tuttavia il nucleo della canzone è costituito dall'intreccio a questa prima trama apparentemente superficiale: quest'ultimo si occupa invece di manifestare il disagio per varie situazioni di taglio quasi sempre sociale e delle quali ci si accorge man mano che sopravviene la maturità: se infatti, il primo livello non è corredato da alcuna analisi approfondita della realtà, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto si soffermano a osservare ingiustizie sempre crescenti e più subdole da individuare; infine si giunge al "combattimento finale" (fight of life), quello che dovrebbe finalmente innescare la reazione per i soprusi da sempre perpetrati verso i più deboli: anche se potrebbe essere, sin da principio, una battaglia inutile, varrà comunque sempre la pena di combatterla sino all'ultima vita, sino all'ultimo omino. Il brano si chiude con un testo parlato estrapolato dall'epilogo del celeberrimo film di Ridley Scott Blade Runner.
 

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Anche l'ultimo brano resta fedele al cliché cinematografico adottato sin dall'inizio: Titoli di coda rimanda infatti alla classica metodologia di chiusura dei film o degli spettacoli di qualsivoglia tipologia. Quella che viene qui recitata e descritta è però la rappresentazione della fine della vita, quando "non ci son più scene dove saper se hai recitato bene o male"; quando non è più possibile "cambiare un po' il finale". Eppure, pensando a quel momento, Claudio esprime più disincanto che paura; più timore per non aver avuto il tempo di fare ciò che avrebbe voluto, che il terrore di trovarsi di fronte alla fine di tutto. L'espressione drammatica raggiunge punte davvero notevolissime attraverso la dolcezza della musica e la straordinaria composizione del testo; queste ultime restituiscono al brano una dimensione di raffinata poesia e lo vestono di atmosfere suadenti e rarefatte. Titoli di coda è davvero una canzone di grande suggestione lirica che sconfina evidentemente anche in ambito filosofico. Essa è degna conclusione di un disco che consolida la piena maturità del nostro artista e lo ripropone alla ribalta musicale ancora per una volta, l'ennesima, in maniera completamente diversa e inedita.
 

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Le ultime note di Finale, che riprendono la melodia dei vari Primo, Secondo, Terzo e Quarto tempo, sono l'espediente per ringraziare musicisti, collaboratori e pubblico per l'opera prestata. Dopo un ultimo, breve tratto musicale che "lascia andare la musica" appena dopo "le ultime parole d'addio", Io sono qui ci abbandona, lasciandoci però ancora strette addosso, come se le avessimo vissute in prima persona, le emozioni vibranti dei film più intensi e la spirale avvolgente di oniriche e catalizzanti melodie.

Come di consueto, l'accoglienza del pubblico al nuovo disco è tracimante: nel primo week-end vengono vendute ben 300.000 copie, e l'album rimane in vetta alle classifiche per qualcosa come otto settimane.

Nel successivo dicembre, Canale 5 trasmette, in prima serata, il video realizzato nella Piana di Castelluccio di Norcia e il giorno 28 dello stesso mese Claudio Baglioni convoca per la prima volta il raduno Nazionale Clab. Tutti gli associati possono parteciparvi e ad essi, convenuti a Roma presso il Palazzetto dello Sport, il cantante regala una spettacolo molto intimo corredato di aneddoti, battute e pezzi mai eseguiti dal vivo. Da questo show viene realizzata 51 Montesacro, una videocassetta destinata ai soli associati.

L'anno nuovo non modifica l'attivismo degli ultimi mesi del '95: già il 23 gennaio, infatti, la complessa e laboriosissima macchina che si occupa di approntare il Tour Rosso è pronta a sostenere la prima delle innumerevoli serate che costituiranno il nuovo spettacolo dal vivo. L'esordio avviene presso il palasport di Verona cui seguiranno altri 19 siti in ogni parte d'Italia. Le repliche saranno innumerevoli e continue, sino a contare più di cinquanta serate.
Come precedentemente annunciato dal suo autore principale, il Tour Rosso non si propone di essere un semplice concerto dal vivo, ma tende a privilegiare una certa spettacolarità che potremmo definire teatrale: la collocazione centrale, lo stesso colore rosso, i drappi di scena, alcuni marchingegni meccanici come ad esempio la pedana mobile, l'utilizzo di sedici performer della Compagnia dei colori che animano ogni canzone con inusuali e suggestive coreografie concorrono, in effetti, a rendere doverosa similitudine con le rappresentazioni sceniche. La parte musicale non viene tuttavia emarginata ma costituisce, sempre e comunque, l'elemento cardine dell'evento: da questo punto di vista basterà ricordare l'utilizzo di due musicisti per ciascuno strumento, posti ai quattro angoli del palcoscenico che è costituito da tutto il campo utile del palasport. Ad accompagnare Claudio ci sono sempre i suoi fidi collaboratori: da Paolo Gianolio a Walter Savelli, da Danilo Rea a Gavin Harrison, da Elio Rivagli a Paolo Costa.

A supportare il tutto e a garantire che lo spettacolo si svolga nella più completa efficienza sono chiamati qualcosa come 130 tecnici e 80 impiegati del servizio d'ordine.
Quella della nuova tournée è una carovana davvero mastodontica, che tuttavia percorre addirittura 9.000 chilometri di strade italiane.
Il pubblico risponde in maniera entusiasmante al richiamo innovativo del sopraccitato spettacolo: si presume che accorrano un totale di circa 400.000 spettatori con una media che sfiora i 10.000 per serata: è l'ennesimo dei successi, l'ultimo dei trionfi.

Nell'ambito delle sue esibizioni "live", dalle prime sino a quest'ultima, non è mai mancata, naturalmente, l'esecuzione del brano che, più di tutti, ha concesso la grande ribalta al suo autore. A 30 anni dalla sua composizione, dunque, Claudio decide che è giunto il momento di celebrarla con un concerto e di riconciliarsi definitivamente con essa: più volte infatti, il cantautore ha confessato di aver sofferto per la valenza di immedesimazione che il pubblico e l'ambiente musicale in generale hanno spesso attribuito al binomio Baglioni-Questo piccolo grande amore. Infatti questo brano, cui sono stati attribuiti una sequela impressionante di premi e riconoscimenti, se da un lato è entrato prepotentemente nella leggenda della musica leggera italiana, sfuggendo addirittura al controllo del suo stesso compositore per divenire canzone di livello popolare, dall'altro ha certamente definito un modello standard cui Baglioni è sempre stato superficialmente assimilato e dal quale fatica anche oggi a liberarsi, nonostante una chiara maturazione.
Così, il 12 marzo, al Piper, locale romano dove fu eseguita per la prima volta, Claudio esegue una breve performance per rendere definitivamente a QPGA "l'onore delle armi". Tale spettacolo, dall'accattivante titolo di Amori in corso, verrà poi teletrasmesso in differita da Canale 5 nel successivo dicembre.
Doveroso sottolineare che l'ennesimo nuovo arrangiamento pare particolarmente suggestivo e concede alla canzone, nel contempo, l'equilibrio fra la tradizione delle note classiche e il gusto particolare di una fresca e ispirata modernità.
Un'altra iniziativa che serve a celebrare l'avvenimento è la pubblicazione, a esclusivo appannaggio dei clabbers, di un CD dal titolo QPGA – 30 anni dopo. In esso, la voce narrante di Claudio racconta la genesi, le traversie e la realizzazione dell'album che ha decretato la sua consacrazione: sono certamente da sottolineare, oltre ai curiosissimi aneddoti, anche alcuni spezzoni inediti di quella Ci fosse lei che è primitiva e diversissima versione del brano poi divenuto, appunto, Questo piccolo grande amore. La copertina del supporto, realizzata in cartoncino e raffigurante un Baglioni che imbraccia la chitarra, è opera del disegnatore Claudio Villa.

Il 6 luglio, per la seconda volta, il pubblico più fedele di Claudio viene chiamato a raccolta a Ficulle, dove ha luogo il secondo raduno nazionale di Clab.

A estate inoltrata, come ideale continuazione di un discorso precedentemente interrotto, prende il via un altro show, realizzato in forme completamente diverse rispetto a quello prodotto l'inverno precedente: è il Tour Giallo elettrico, nel quale viene ripresa l'idea strutturale del precedente Tour Giallo. I musicisti (Gianolio, Savelli, Minotti, Harrison, Rivagli, Rea, Costa) suonano dunque dando più spazio all'estro spontaneo, all'esecuzione "stradaiola"; essi si propongono quali liberi cantastorie, menestrelli itineranti che seguono un percorso narrativo liberato da fronzoli schematici. A costituire l'elemento scenico sono dunque stavolta i porti, le strade e le piazze delle città balneari. Caratteristica peculiare è ancora una volta il camion giallo. Il tour è piuttosto breve e si estingue in poco più di una decina di tappe.

Davvero curioso è invece l'episodio editoriale che coinvolge il cantautore in questo periodo: al numero di ottobre della rivista Tutto Musica, viene allegato un fumetto di Dylan Dog che assume le sembianze di Baglioni per andare alla ricerca di se stesso sulle vie dei colori. È un omaggio di uno dei maggiori talenti del disegno fumettistico italiano, Claudio Villa, al suo cantante preferito, oltre che un favore reso a chi aveva inserito nel testo di una delle sue ultime canzoni (Nudo di donna), una citazione su Dylan Dog. Da questo reciproco scambio di cortesie nascerà, come abbiamo già visto, anche una saltuaria collaborazione.

Altro appuntamento degno di nota è quello che, in qualità di ambasciatore della FAO, il cantautore tiene a Roma insieme ad altri affermati colleghi internazionali: il 27 ottobre ha infatti luogo il World Food Day Concert. La cronaca riferisce di un Baglioni in scarsa forma vocale a seguito di una trascinata influenza. Resta, a prescindere, il valore morale dell'evento e il significato che assume. Claudio si esibisce in un gustosissimo duetto con Youssou N'Dour e propone inaspettatamente un brano nuovo: Koinè. Esso ha un testo che si esaurisce in una sola parola, Koinè appunto: mutuata dal greco antico, tale termine ha il significato "plurivoco" di "comunanza", di "assemblea congiunta", di "costituirsi insieme" ed era utilizzato frequentemente "nell'Agorà", la piazza delle città-stato greche dove si svolgevano le riunioni comiziali e nelle quali veniva rappresentato efficacemente il primo concetto di democrazia e libertà. Urlato al cielo nello scenario dei Fori imperiali, dinanzi alla protervia del Colosseo e al cospetto delle vestigia romane, testimonianza pregnante e continuativa di quella stessa cultura greca, il grido Koinè assume un significato di straordinaria suggestione e di grande vigore evocativo, tale da non risparmiare, ai molti convenuti, brividi intensi di commozione.
Presumibilmente il ripetersi reiterato della parola, nel nuovo pezzo, intende essere un'esortazione a rimanere uniti e a costituire, grazie a quest'unione, un'energia vitale contagiosa e capace di far scattare la molla auspicabile della solidarietà. La musica è carezzevole e avvolgente, caratterizzata da una crescita "a spirale" che coinvolge e invita al canto comune. Fedele alla sua massima scherzosa per la quale "Le canzoni sono come il maiale e non si butta mai via nulla di quanto composto", Claudio riproporrà la medesima melodia per il brano Sì io sarò compreso nel Viaggiatore.

Il primo novembre del 1996 viene pubblicato il video Baglioni nel Rosso: tre ore di musica e immagini tratte dalle esibizioni invernali nei palasport; il 23 esce invece il CD live Attori e spettatori, che certifica una stagione ricca di concerti: esso comprende brani tratti sia dagli spettacoli invernali che da quelli estivi; grande spazio è lasciato alle canzoni di Io sono qui, riproposte con sonorità e arrangiamenti diversi. In tale supporto è anche inserita la nuova versione di Questo piccolo grande amore ascoltata per la prima volta al concerto del Piper.

Il 24 dicembre Claudio è uno degli artisti invitati in Vaticano per festeggiare il Natale in uno show destinato a scopi benefici: di fronte a Giovanni Paolo II, egli si cimenta in una riuscita e commovente versione di Avrai resa ancor più suggestiva dall'accompagnamento dall'orchestra filarmonica di Torino; tale interpretazione viene successivamente inserita in un CD triplo, Christmas in Rome, che raccoglie l'intero concerto. Nel CD è anche inserita Bianco Natal, della quale una breve strofa è riservata al nostro cantautore.