biografia
a cura di Luca Tempini

Introduzione
 
Prologo
 
L'ambiente
 
Le prime note... di giorno
 
I tentativi
 
Cantante professionista
 
Le canzoni stonate...
 
L'influenza del cinema
 
Ragazzo nell'est
 
Quella sua maglietta fina
 
I giri di Camilla
 
La consacrazione definitiva
 
Il sabato del villaggio
 
Solo in compagnia di sé senza chiedere il permesso...
 
Un nuovo disco e un discografico nuovo
 
Canzoni e una piccola (grande) storia che continua...
 
Alé-oó
 
La canzone del secolo
 
La vita è adesso, il sogno, sempre
 
D'Assolo continuerò
 
Un trovatore perso un cantastorie muto
 
OLTRE
 
Appunti sparsi su quel che c'è
 
Sempre lo stesso, più grigio ma non domo
 
L'anima nuova di Claudio
 
Da me a te e dalla città allo stadio: un progetto lungo un sogno
 
Giri di "valzer" per un viaggiatore
 
Di nuovo "in viaggio" per sapere cosa c'è laggiù...
 
Sogno di una notte di note
 
Come per incanto
 
I concerti irregolari
 
L'uomo della storia accanto
 
Tutti in un abbraccio
 
'O scia'
 
Da cantautore a commendatore
 
Finale in... crescendo
 
Titoli di coda
 
Bibliografia e testi
 
Credimi, CREDITI
 

Canzoni e una piccola (grande) storia che continua...

Dopo gli spettacoli seguiti alla pubblicazione di E tu come stai?, inizia un'altra pausa, piuttosto lunga: all'interno dei confini nostrani la presenza di Claudio diviene impalpabile e, dopo le esibizioni già sottolineate in terra cecoslovacca, di lui non si sa più praticamente nulla. Da sempre refrattario alle luci della ribalta, il cantautore comincia a eclissarsi per trovare la concentrazione necessaria alla realizzazione del suo progetto futuro. Da qui in poi, la sua vita artistica sarà sempre più costellata di questi intervalli da lui stesso definiti "biblici" che hanno messo a dura prova l'attaccamento, peraltro mai venuto meno, dei suoi sempre più accresciuti e affezionatissimi fan.
In effetti, però, in questo periodo compreso fra la stesura d'una canzone e l'altra, il nostro opera sporadiche quanto inusitate performance a sorpresa in alcuni piano–bar, dinanzi ad avventori sorpresi e increduli.

Comunque Baglioni trascorre i mesi finali del 1980 a Moltrasio, località montana in provincia di Como per iniziare la stesura delle nuove canzoni. Sembra che proprio in questi luoghi abbia occasione d'incontrare il talentuoso produttore Geoff Westley, già collaboratore degli ultimi lavori di Lucio Battisti e che, dopo un fitto discorso sui progetti di ciascuno, i due decidano di lavorare insieme. Così, in novembre, Claudio si reca in Inghilterra e per la precisione negli studi Manor di Oxford per registrare le basi e mettere a punto la produzione. In un'intervista rilasciata alla testata per adolescenti Il Monello, pubblicata in dicembre, Claudio annuncia che il suo nuovo disco è ormai in via di definizione e necessita soltanto di una piccola messa a punto: la sua uscita viene annunciata per il gennaio o, al più tardi, per il febbraio 1981. Il cantautore svela anche, in anteprima, il titolo del suo nuovo lavoro che sarà Strada facendo e assicura che ha dovuto fare una sofferta cernita per scegliere le canzoni da inserire nella compilazione: "il materiale campionato era moltissimo, tale che sarebbe stato tranquillamente possibile realizzare un album triplo".
Nonostante questa assicurazione ufficiale e una ridda di voci ufficiose sulla sempre più imminente uscita, anche maggio trascorre senza che vi sia la tanto sospirata pubblicazione. Pare che il lavoro di lima e cesello sul disco si sia protratto più a lungo del previsto e sia destinato a durare ancora molto, come una tela di Penelope tessuta di giorno e disfatta di notte: il nostro non si sente del tutto convinto e, per sua stessa ammissione, non ha moltissima voglia di dare la luce alla sua nuova "creatura". Tuttavia, nel giugno 1981, la CBS pubblica finalmente Strada facendo, canzoni e una piccola storia che continua, il nuovo attesissimo ellepì di Claudio Baglioni.

Arrangiato, oltre che prodotto e suonato dal già citato Westley, supportato da collaborazioni di musicisti stranieri (Stuart Eliott e Pete Van Hooke alla batteria, Andy Brown al basso, Paul Keogh e Ray Russel alle chitarre, Frank Ricotti alle percussioni), il disco è una sorta di fulmine a ciel sereno, soprattutto se confrontato con il precedente: critica, pubblico e addetti ai lavori hanno ancora nelle orecchie le suadenti e diafane melodie di E tu come stai?, incorniciate da testi semplici e sentimentali, che rispetto a quanto viene ora proposto paiono essere produzione di un autore diverso. Quella maturazione che sembrava essere in embrione già ai tempi di Solo e che s'era forse volutamente arrestata nella produzione appena successiva pare essere improvvisamente giunta a termine e in maniera clamorosa: Strada facendo è disco di amplissimo respiro che spazia da problematiche sociali alla canzone d'amore classica passando per un'autobiografia che tuttavia, e paradossalmente, viene resa "generalizzante" in quanto applicabile all'esperienza di ciascuno. Forse è proprio quest'ultima la chiave di lettura atta a interpretare la filosofia di quest'ennesimo lavoro: Baglioni adatta le sue proprie storie, la sua propria "vista intima" che non è più, ora, solo costituita dall'argomento sentimentale, alla realtà del generale, trovandovi riscontro e riuscendo ad approfondirla come mai era riuscito a fare. A sostenere quest'intento di narrativa introspettiva contribuisce anche la struttura delle canzoni, tutte configurate in prima persona; persino la copertina che riporta un primo piano strettissimo dell'artista pare rispondere all'esigenza di esposizione assoluta e totale.
Claudio riesce a utilizzare anche, per larga parte, il veicolo espressivo della poesia, toccando vertici di ispirazione notevole. Il disco è legato insieme da quattro piccoli frammenti solo voce e chitarra, che narrano inequivocabilmente della reale vita dell'artista, mentre le canzoni che vi si alternano utilizzano gli elementi autobiografici come spunto per identificare situazioni di carattere generale, siano essi di connotazione sentimentale, sociale, di costume e, per certi versi, persino di ordine politico. Eppure, nonostante questo inaspettato e improvviso "impegno", i pezzi mantengono un linguaggio abbastanza chiaro e colloquiale, in modo tale da risultare comprensibilissimi e immediati. Anche le melodie, parallelamente ai testi, palesano una evidente discrepanza con i lavori precedenti, lasciando uno spazio inconsueto anche a elementi di rock aggressivo: in aperta contrapposizione con la scelta di E tu come stai? infatti, qui sono le composizioni testuali ad avere maggiore rilevanza su quelle più specificamente armoniche iscritte nel pentagramma.

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"51 Montesacro e tutto cominciava", incipit del disco, è la prima delle introduzioni che rivelano scorci di episodi autobiografici e che si ripeteranno periodicamente, all'interno del vinile, in altre tre occasioni: intitolate anonimamente Uno, Due, Tre e Quattro (quello di 51 Montesacro è titolo improprio anche se utilizzato dallo stesso autore per identificare il brano in questione sulla copertina del successivo Alé-oó), esse si dispiegano dalla nascita dell'autore sino alla prima adolescenza, riproducendo, in brevi racconti di notevole efficacia narrativa, le atmosfere di una crescita normale e contrassegnata da una realtà semplice e ordinaria.
 

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Il brano che, invece, inaugura realmente il disco, denota una vivacità abbastanza inconsueta e ricca di elementi musicali solitamente estranei alle armonie baglioniane: Via è un pezzo piacevolmente rock, contrassegnato dalle percussioni che lo incalzano e alimentato da una ritmica sostenuta.
Immagina una sorta di fuga automobilistica del protagonista che è allo stesso tempo metafora e intreccio a una storia d'amore soffocante e che lo obbliga dolorosamente ad andarsene lontano, facendo leva più sull'orgoglio dell'uomo che sulla reale volontà dell'amante. Mentre i sensi sono concentrati sulla strada e sull'ambiente circostante, il pensiero è angosciosamente occupato a domandarsi le ragioni di un fallimento sentimentale destinato a produrre cicatrici indelebili. Grazie alla sua straordinaria vivacità e alla prorompente vitalità, questa è una delle canzoni che hanno reiteratamente goduto di un intramontabile successo nelle esibizioni dal vivo proposte nel corso degli anni: Via è stata infatti quasi sempre presentata nel corso dei concerti e delle tournée successive ed è entrata da subito e a pieno titolo a far parte del repertorio storico.
 

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Si è dunque parlato di un Baglioni sopraggiunto a maturazione artistica definitiva, un traguardo conseguito anche e presumibilmente per la consapevolezza di possedere ormai un suo pubblico, di non avere alcunché da dimostrare e, forse, anche di aver smesso di "soffrire" per le aspre critiche di chi gli rimprovera l'incapacità di trattare argomenti diversi da quelli amorosi: si spiega evidentemente con questa presunta "rilassatezza professionale" la volontà di misurarsi con tematiche sociali approfondite e, per certi versi, anche spinose. Certo è che, quando i microsolchi del nuovo ellepì liberano le note e le parole de I vecchi, viene da chiedersi il motivo per il quale Claudio abbia così a lungo atteso prima di cimentarsi in questa gara con se stesso: la sintesi del suo consueto lirismo, della nuova voglia di approfondire, della capacità di raccontare e della rinnovata ispirazione trovano adeguato sbocco in questo capolavoro musicale che tradisce una notevolissima partecipazione dell'autore e che regala all'ascoltatore attonito e sorpreso una preziosissima eredità di improvvisa amarezza mescolata a successiva commozione. Il mondo degli anziani viene raccontato con una semplicità disarmante, verosimile e spietata: non c'è spazio per la conciliazione di sentimentalismi ma viene fatto, piuttosto, un sorprendente atto di denuncia verso un mondo sordo alle esigenze e alle prospettive della terza età: i vecchi sono quelli da "chiudere in cucina quando viene qualcuno", sono "quelli che non li vuole nessuno", sono anime "da buttare via": davvero uno schiaffo al lassismo non solo delle istituzioni, ma anche a quello forse più cinico e oscuro di matrice familiare. Claudio sottolinea, rinvigorisce, amplifica e tratteggia, con lo strumento della sua voce straordinaria, i momenti da evidenziare, riuscendo a creare, oltre che con musica e parole, anche attraverso un'interpretazione sublime, un'atmosfera di coinvolgimento e di assoluta emozione. Le introduzioni di pianoforte, quelle della chitarra e soprattutto l'ingresso catalizzante degli archi definiscono compiutamente il contorno della melodia che si assesta perfettamente sul telaio del testo, esaltandone le già notevolissime sfumature e contribuendo a renderlo, a detta di molti, uno dei pezzi migliori di tutta la musica leggera italiana.
 

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Dopo Due, il secondo frammento voce e chitarra il cui soggetto principale è il periodo delle "vacanze umbre", la sequenza cronologica propone un pezzo di chiara espressione allegra. Come per I vecchi, evidente brano impressionista in cui l'argomento è trattato da un punto di vista strettamente personale, anche Notti è affresco che, pur contrassegnato da tinte vivaci, rimarca una dimensione peculiarmente intima. Nel senso che esso raffigura situazioni e classiche tipologie da poter vivere in una notte "da svegli" che possono sì essere adattate a ciascuno, ma che partono da esperienze prettamente individuali. Notti è una canzone che si dispiega piacevolmente tra amplificazioni di batteria e note di chitarra e allinea un argomento che, nella sua semplicità, rivela caratteri molto originali. Essa è, di fatto, una sorta di elogio della notte, una rivelazione al mondo diurno circa l'esistenza di una dimensione parallela e sinuosa, capace di regalare con le sue creature, i suoi luoghi improvvisamente diversi e la magia delle sue alchimie lo spazio intenso e difficilmente rintracciabile dell'emozione.
 

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Era presumibilmente dai tempi lontani del suo entusiasmante tour polacco che Baglioni aveva in mente di descrivere, in qualche maniera, quella lontana realtà orientale che tanto l'aveva colpito. Significativo che lo faccia proprio ora, forse perché non più preoccupato di eventuali fallimenti artistici, o forse perché spaventato dalla greve minaccia di questi anni che, dal punto di vista dei rapporti diplomatici tra Est e Ovest, si presentano molto critici e costituiscono grave attualità. Certo è davvero inedita la strada che viene indicata per trattare l'argomento: nella composizione non figurano rivendicazioni dirette di carattere sociale e neppure implicazioni di matrice politica; a caratterizzare Ragazze dell'est è piuttosto una poesia dilagante, rappresentata dal succedersi di immagini che si sovrappongono e che riescono a creare un racconto fatto di brevi episodi di quotidiano: essi definiscono, tuttavia, un quadro d'assieme assolutamente compiuto e capace di rivestire la narrazione di molteplici significati e svariate implicazioni. Pur trattandosi di un pezzo dalle numerose sfaccettature, esso è denunciato come "semplice testimonianza visiva" dallo stesso autore, che rivendica reiteratamente questo aspetto: "io le ho viste portare fiori e poi fuggire via", "le ho viste nelle sere quando son chiuse le fabbriche e le vie", "le ho viste far la fila con impazienza davanti ai gelatai", ecc. Nonostante questa assicurazione, l'interlocutore viene comunque suggestionato dall'aura di malinconica solidarietà che traspare dal brano e che viene messa in risalto, oltre che da un testo davvero ispiratissimo, anche dall'incedere avvolgente delle inebrianti note istruite dal pianoforte.
 

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Se quest'album lascia, come si è largamente ripetuto, una parte preponderante all'elemento autobiografico cercando al contempo di adattargli il carattere della generalità, la sua traccia–guida, Strada facendo, diviene sintesi "summa" di questa filosofia: essa è infatti sottolineata da continui riferimenti alle sensazioni intime del cantautore, in cui sono comunque riscontrabili stati d'animo fra i più comuni. Il brano è metafora della vita, o meglio, di quell'"ars vivendi" nella quale l'uomo è costretto a barcamenarsi per cercare di trovare il maggior sollievo possibile: e la strada da fare, il sentiero meno impervio per giungervi, è quello di cercare un'alleanza con gli altri, di unirsi in un "canto" univoco che possa "far andare avanti e dire che non è finita", nonché aiutarsi a costruire un domani migliore: la musica è contingente proprio a quest'ultima argomentazione, poiché diviene, nel ritornello, entusiasmante, coinvolgente e incalzante, invitando a unirsi a un incessante coro che cresce costantemente d'intensità. Batteria, pianoforte, basso, chitarre e organo si intrecciano in giri armonici di notevole efficacia e contribuiscono indubbiamente alla buona riuscita del pezzo. Definito come il primo degli inni baglioniani, questo brano si impone come uno dei più apprezzati dell'album e insidierà, per popolarità conquistata, nientemeno che il primato fin qui inattaccabile di Questo piccolo grande amore.
 

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A Strada facendo seguono, nell'ordine, il frammento Tre cui tocca di descrivere il periodo della giovinezza e quella che si può definire come la prima vera canzone "d'amore classico" dell'album: Fotografie. Se infatti Via palesava un incedere ritmico divergente da quello usualmente in voga nelle composizioni amorose, questo pezzo sembra invece ripresentare melodie classiche con le quali descrivere una tipica situazione sentimentale. Davvero particolare anche il tessuto della trama che trae spunto, molto curiosamente, proprio da quella maniera formale e tipicamente baglioniana di strutturare i testi: quello per successione d'immagini, per istantanee. Il brano è infatti articolato sulla rievocazione di una storia che si snoda nella memoria attraverso le fotografie: da quelle che immortalano spensieratezze amorose e che sono colorate dalle tinte estive di un paesaggio sempre coprotagonista della vicenda, passando attraverso quelle scolorite di un autunno che si approssima minaccioso non solo meteorologicamente, fino ad arrivare a quelle ultime, in bianco e nero, che annunciano, in una gelida cornice invernale, l'ennesimo, drammatico e angoscioso inevitabile addio. A descrivere le stagioni che si succedono si alternano, virtuosamente, gli strumenti adoperati: dalla chitarra acustica al pianoforte, ai sintetizzatori, al basso, alla batteria. Una struggente partitura d'archi descrive un immediatamente successivo tema strumentale che sottolinea arrangiamenti leggermente discostanti da quelli del pezzo cantato.
 

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Anche la melodica Ora che ho te ha toni e caratteristiche da canzone d'amore classica, anche se forse manca un po' di quell'originalità che caratterizza il pezzo che la anticipa. È tuttavia notevolissima la sinfonia che scandisce il brano, composta oltre che dalle solite chitarre acustiche, bassi, batterie e pianoforte, anche dall'ingresso suggestivo dell'organo, il quale dà un corpo identificativo alla canzone stessa e ne sancisce il decollo definitivo.
 

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Con Quattro e il resoconto della prima adolescenza termina la traccia autobiografica "solo voce e chitarra"; un tema lasciato evidentemente e volutamente in sospeso nella promessa di un recupero successivo. La conclusione dell'opera è riservata a un saluto beneaugurante, una Buona fortuna riversata non solo sugli interlocutori ma anche verso se stesso, nell'attesa che quel domani tanto atteso e temuto per via della sua impossibile governabilità possa essere, comunque, sempre migliore. Quest'ultimo brano è scandito dalle armonie dei soli pianoforte e sintetizzatori.
 

All'uscita del 33 non si accompagna, stavolta, alcuna pubblicazione in 45 giri. Tale situazione non deriva da una particolare mancanza, ma è dovuta alla volontà, da parte della produzione e dell'artista, di porre il dovuto accento sull'omogeneità dell'opera tutta.

Il successo del disco, pur se previsto, assume proporzioni clamorose: in pochi giorni l'album polverizza le 150.000 copie e balza in testa alle classifiche di vendita e di ascolto. Strada facendo diviene il leitmotiv dell'estate 1981 e le radio la ritrasmettono incessantemente. Nell'autunno dell'81 Baglioni riceve, al Palasport di Bologna e nel corso della rassegna canora Vota la voce, il Telegatto d'Argento quale miglior cantante dell'anno, votato da migliaia di lettori del settimanale TV Sorrisi e canzoni. Riceve inoltre il disco d'oro, adeguato coronamento ai record di un disco che, già nei primi mesi del 1982, enumera qualcosa come 500.000 copie vendute! Se in precedenza Claudio era uno dei cantautori italiani di maggior successo, è ora divenuto, senza dubbio, la figura più importante del panorama musicale nostrano. Persino quella parte di critica mai benevola con le sue precedenti elaborazioni elargisce ora giudizi meno pregiudiziali, arrivando anche, in svariati casi, a esaltarne e incensarne la nuova produzione.
A testimonianza di quanto appena sottolineato si aggiunga pure, alla fine di quello stesso 1981, la consegna del premio istituito dall'Associazione Critici Discografici, che gli riconosce addirittura la qualifica di Miglior cantautore per quello stesso, fortunatissimo anno.