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Rassegna stampa - domenica 1 marzo 1987 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
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Chitarre - 01/03/1987
Giunto all'apice del successo, diventato un caso di studio per i sociologi, Claudio Baglioni accetta di rimettere tutto indiscussione, con una tournée e un disco assolutamente rivoluzionario. E nessuno - o quasi - se ne accorge.
di Augusto Veroni
C'è di che scandalizzarsi: l'avesse fatto un americano, staremmo tutti a gridare al miracolo, prostrati difronte allo strapotere tecnologico d'oltre oceano, ma Baglioni... Qualcuno dice: "Lui poteva pure permetterselo". Fermi un attimo: non mi sembra di conoscere molti musicisti, nel panorama italiano, che arrivano al successo grande e poi rimescolano le carte per vedere cosa succede. Fuori i nomi se li sapete. La verità è un'altra, e sarà bene dircela francamente: da un lato c'è la straordinaria ignoranza della tecnica musicale da parte di molti, troppi giornalisti specializzati italiani, che non hanno nemmeno lontanamente capito le novità rivoluzionarie della tournèe di Baglioni e del suo disco, Assolo. Sull'altro piatto della bilancia pesa, poi, l'abitudine a giudicare con sufficienza chi è arrivato al successo popolare.
Mi spiego: per molti (e questo discorso vale anche per tanti "addetti ai lavori", purtroppo. E neanch'io sono certo esente da colpe) è difficile distinguere tra il valore oggettivo di un musicista e quelli che sono i propri gusti personali; il motto che impera è "Non mi piace e quindi non vale niente". Questa visione tolemaica (la Terra come centro del sistema solare e dell'universo, mentre tutto il resto gira graziosamente intorno) del mondo musicale è sbagliata; l'universo della musica non gira intorno ai nostri gusti, ci mancherebbe altro! Ed è disonesto, come fu disonesta la Chiesa nei confronti di Galilei, non rendersi conto che esistono molti parametri oggettivi sui quali poter montare i propri giudizi, al di là - o parallelamente - ai propri gusti.
Finite le prediche (ma questo è un argomento sul quale ho intenzione di tornare), veniamo al fatto. Nel 1986 Claudio Baglioni parte in una tournèe che non lo vede sul palco con un gruppo, come al solito, ma bensì totalmente solo. Beh, si potrebbe obiettare, il solito cantautore con chitarra e/o tastiere. No, perchè Baglioni, con il formidabile aiuto di Pasquale Minieri, sostituisce il gruppo con una marea di marchingegni elettronici. Vae, si obietterà, un pò di preset e ti sei fatto le basi "registrate" elettronicamente, come fa Howard Jones. Neanche questo è vero, perchè l'elettronica, in questo caso, è al servizio dell'artista, duttile come era difficile immaginarsi da qualche quintale di componenti elettronici. Il paragone, semmai, potrebbe essere più calzante se accostassimo questo lavoro a quello di Brian Eno o Laurie Anderson, con la grande differenza, però, che nel caso di Baglioni non si parla di una sperimentazione proposta alle orecchie di pochi appassionati un pò faziosi: qui la sperimentazione è stata portata negli stadi alla massa dei fan di uno dei più popolari musicisti italiani. Un bel salto nel buio, ne convenite? Non solo: il triplo album dal vivo - testimonianza su vinile, cassetta e compact di quest'eccezionale avvenimento - è anch'esso realizzato con tecniche sostanzialmente diverse da quelle usuali, con tecniche che potrebbero rivoluzionare seriamente il modo di registrare la musica.
Vi sembra forse poco?
Resici qundi conto della portata dell'avvenimento (un pò tardivamente, dobbiamo ammetterlo) siamo andati ad intervistare Claudio Baglioni e Pasquale Minieri per offrire ai lettori di Chitarre una visione davvero completa, sia dal punto di vista artistico che da quello tecnico, di questa eccezionale novità.
BAGLIONI: Vorrei premettere che in tutta questa tournée io sono stato un pò l'operaio, dal momento che lo "scienziato" della situazione era un altro: Pasquale Minieri. Se vogliamo partire dall'inizio c'è da dire che, da parte mia, è più una storia sentimentale in verità, che tecnica, per cui mi è difficile raccontarla solo in termini di cronaca "pratica". In verità quando è cominciata nessuno sapeva come sarebbe finita, e tuttora devo dire che, riguardando indietro, c'è qualcosa che può essere ripreso, riacchiappato, ricominciato e gestito forse in altra maniera. E' un'esperienza quindi, che è passibile di ulteriori sviluppi, anche se non so ancora né quali né quando. lo ho cominciato (per un bisogno personale intimo e quindi difficile da raccontare perché tocca corde... quasi come quelle della chitarra, insomma, che hanno una sensazione tattile e quindi assolutamente personale propria) con una sensazione di grande ingombro nei confronti di me stesso, di quello che era accaduto, di un enorme successo che avevo avuto negli ultimi anni.
S¡, avevo avuto successo anche negli anni precedenti, ma la mia presenza nel mondo musicale italiano aveva assunto a mio parere degli aspetti fenomenici e quindi anche difficili da analizzare, da comprendere e da tenere sempre sulle spalle. E mi sono accorto dopo tantissimo tempo, dopo diciotto, diciannove anni di canzoni, di trasmissioni televisive, di spettacoli, interviste ... di questo mestiere, insomma, che in molti momenti mi ero allontanato dal centro, dal cuore del mio lavoro, dall'essere, in definitiva, una persona molto vicina alla musica, che cercava di avvicinarsi sempre più al bersaglio di una musica personale, da chiamare mia ...
CHITARRE: Un musicista, insomma.
BAGLIONI: Si, un musicista, anche se io quella parola la uso con un pochino di pudore, e poi ti spiegherò più avanti perché. Comunque, ad un certo punto mi sento in una situazione strana, forse per mancanza di creatività nuova, cioè di cose nuove da scrivere, forse anche per paura di scrivere cose nuove dopo che quelle vecchie avevano avuto un così grande esito. E qui entra in ballo la casualità: sono stato per tre mesi in un piccolo paese di montagna e mi sono trovato una chitarra dentro questa casa, una chitarra senza infamia e senza lode. E me ne sono innamorato, di questa chitarra, proprio perché non era una bella chitarra, aveva una corda di metallo ed una di nylon, le parti metalliche arrugginite, era un po' stortignaccola ... Allora, pur non essendo certo un liutaio, ho cercato di aggiustarla, un po' come quando si fanno le pulizie di casa o quando si trova un vecchio reperto ... Da questo amore - in questo senso, è una storia sentimentale ho ricominciato a suonare, suonare canzoni d'ogni genere non solo mie. In questo modo ho riscoperto un gusto incredibile nel rapporto tra mano, strumento e corda ... Poi ho voluto fare una verifica: volevo vedere se queste canzoni che avevo scritto - alcune in certi momenti le ho anche detestate, chiedendomi come diavolo avevo fatto a scrivere certe cose avessero su di me un'influenza negativa. Insomma, se dopo tanto tempo mi sembrassero brutte. Ti sembrerà una risposta vanesia, vanitosa, ma mi sono sembrate tutte comunque degne di esistere ancora, mi sono anche l¡ affezionato di nuovo a cose che in altri momenti avevo un po' lasciato in disparte, come il cinismo di quello che ha avuto una certa rivalutazione nel tempo e allora rinnega qualche lacrima che aveva da piangere in tempi passati. Ho cominciato a suonare, a suonare e a trovare soluzioni nuove proprio su uno strumento che mi aveva dato molti complessi come "musicista". Qui ci vuole un piccolo aneddoto. In verità il mio primo strumento è stato una chitarra. Un complessino come ce n'erano allora e ce ne sono adesso: io, non so se per arroganza o perché mi interessavano molto le prime tre corde, mi dichiarai chitarra solista, chitarra leader. In realtà non facevo altro che un arpeggino sulle prime tre corde della chitarra, mentre un altro le zappava tutte insieme.
CHITARRE: Il solista era quello che "rimorchiava" più facilmente ...
BAGLIONI: Esatto, si, e poi era la figura leader, insieme al batterista ... Poi c'era la sfiga del bassista, che allora era lo strumento degli incompresi... Il complesso era di scarsi, veramente di persone che sapevano suonare poco, ma amavano molto farlo e amavano molto il gusto dell'esibizione. Una sera ci trovammo a suonare in una canitinozza a Cinecittà, io avevo sedici anni per cui parliamo di diciannove anni fa, e mi presento lì come chitarra solista: "Claudio Baglioni, chitarra solista!". Dopo di noi arriva uno che dice: "No, non si suona così la chitarra" e in tre secondi ti spara un cinquecentododici note: una tecnica ed una velocità ammirabili, e allora io ne ebbi una tale vergogna - pensa che stupido - che da allora ho avuto dei sinceri complessi nei confronti del solismo, del virtuosismo chitarristico. Passato tutto questo tempo, invece, mi rimetto lì a suonare e ho capito che non sarei mai diventato quel tipo di musicista, forse ci vuole anche una predisposizione naturale. Quindi, più che un chitarrista, io ritengo di essere uno che ha usato la chitarra.
CHITARRE: E continui a farlo, perché nello spettaco¡o, e nel disco, la chitarra è presente in modo maggioritario.
BAGLIONI: Certo, anche perché io mi volevo rifare, perché per molto tempo mi sono considerato un pianista, un tastierista, anche se sempre senza virtuosismi e senza una tecnica "classica". Devo dire che tutta la preparazione a questa lunga tournée mi ha fatto bene, perché ho suonato anche quattordici, quindici ore al giorno, in presenza di Pasquale, durante la notte, di fronte al televisore, dovunque ... Ho fatto quello che certe volte leggevo nella letteratura musicale, quando il musicista si metteva nella sala da musica abbandonando famiglia e affetti ...
CHITARRE: So che questo ti ha consentito di fare enormi progressi nella tecnica strumentale.
BAGLIONI: Si, questo si, ne valeva la pena. Il mio punto di partenza era quello che era: mi piaceva sapere di armonia e di soluzioni che comunque fossero in funzione solo della mia musica, mentre tendevo a mettere in secondo piano il lato puramente tecnico dello strumento. In parole povere, mi interessava più la composizione dell'esecuzione.
CHITARRE: E' proprio questo che colpisce, in Assolo: la tua tecnica esecutiva è vistosamente migliorata, e mi sembra in evoluzione anche il tuo modo di armonizzare le melodie, che prima erano comunque il tuo grosso punto di forza. Insomma, non sei più soltanto un ottimo creatore di melodie, ma anche un arrangiatore ed un esecutore completo.
BAGLIONI: Si, è vero, anche se ho sempre avuto il "vizio" di offrire un quasi arrangiamento delle mie canzoni, pur se con aiuti autorevoli ...
CHITARRE: Il Maestro Celso Valli, sopra tutti ...
BAGLIONI: S¡, ma, ripeto, il gusto per certe cose l'ho sempre avuto, anche se senza mai dirigermi verso soluzioni particolarmente azzardate. Ho sempre cercato il risvolto giusto, il basso in fondo, più che altro relativamente al piano. Questa volta, però, tutto era esasperato perché io ero dichiaratamente allo scoperto, non c'era modo di nascondersi dietro niente.
CHITARRE:Da un punto di vista psicologico cosa voleva dire non avere le spalle coperte da un gruppo?
BAGLIONI: Non lo so, me lo sono chiesto parecchie volte. Probabilmente una risposta unica non c'è.
CHITARRE: Ma come ti sei sentito, tutto solo sul palco?
BAGLIONI: C'è da dire che il tutto è nato come una sfida: volevo misurarmi con me stesso, ma anche con un personaggio pubblico che volevo vedere fino a che punto riusciva a capire quello che avevo fatto e quello che stavo facendo. Però mi sono sentito sempre molto appagato: in quelle tre ore circa di spettacolo c'era una sorta di ... forsennato nervosismo, perché il carico energetico sui nervi era davvero enorme. Al tempo stesso, però, mi sono finalmente sentito il padrone della corriera, per così dire: ero in grado di manipolare, anche se poi ero nelle mani di tante altre persone e principalmente di Minieri, che avrebbe potuto massacrarmi in qualsiasi momento; era lui ad avere la facoltà di distruggere quello che stavamo facendo insieme, e io a quel punto mi sarei magari trovato ad essere uno strumentista acustico (e ci sono, momenti acustici, nello spettacolo), però non ci sarebbe stato più quel progetto che piano piano prendeva forma e diventata sempre di più un sinfonico leggero ... anzi, addirittura certe volte più che sinfonico era una riduzione degli orpelli, degli arrangiamenti, dell'eccessivo uso di strumenti di contrappunto, di contromelodie, di scritture, a volte anche un po' barocche, insomma, che c'erano state nei miei dischi come anche in quelli di altri.
CHITARRE: Un concetto più cameristico, insomma.
BAGLIONI: Si, secondo me, è un disco "da camera", ma anche da un punto di vista d'ascolto, è proprio "da camera", nel senso che ti devi mettere in uno spazio piccolo, mi pare.
CHITARRE: Specifichiamo una cosa: per te era completamente diverso dall'avere delle basi, perché la base sta l¡ immutabile, ti costringe a cantare sempre nello stesso modo. In questo caso, invece, mi è sembrato che tu avessi un notevole margine di discrezionalità, cosa che nessuna base ti avrebbe mai potuto consentire. Eri senza rete ...
BAGLIONI: Già, devo dire che è stata una scelta coraggiosa, specialmente nel mio caso. Penso di aver rappresentato il prototipo, forse il numero uno, del musicista italiano molto popolare non solo tra le persone che normalmente fruiscono di musica, ma anche per quelle che se ne interessano poco, che acquistano pochi dischi, ma guardano la televisione, e allora quando gli chiedi: "Quali cantanti conosci?" fanno anche il mio nome. Insomma, a quel punto diventi un fatto di repertorio, di catalogo, come nome e come presenza. In questo senso ritengo che sia stata una scelta abbastanza violenta. Oltretutto sono andato a toccare dei punti ... Le mie canzoni, per certe persone, hanno un valore soprattutto di ricordo ...
CHITARRE: Che è un peso difficilissimo da scrollarsi di dosso, una specie di abbraccio mortale.
BAGLIONI: Già, ho avuto anche degli scontri verbali ... C'è gente che mi ha anche insultato per aver rimaneggiato certe canzoni, dicendo che io non potevo permettermi di farlo, di cambiare i loro ricordi. E d'altronde ... Vedi, non è stata una scelta radicale, tipo: "Ecco, da oggi si fa così". E' stato veramente un lavoro in progresso, è nato molto dalla passione, una passione autenticamente difficile da raccontare e da esprimere, perché a me e alle persone che mi sono state vicine ha portato stress, fatica, ma anche un'incredibile voglia di vivere e di affrontare ambienti difficili come uno stadio. Uno spettacolo di questo genere in uno stadio è una follia e infatti tutti mi sconsigliavano di farlo: "Non lo fare, stai contravvenendo a delle regole". Che poi non si sa quali siano e se ci sono secondo me sono molto fasulle. "Adesso hai raggiunto il successo, chi te lo fa fare a rimettere tutta la posta in gioco?"
CHITARRE: Un certo tipo di testardaggine l'hai sempre avuta, quando eri convinto di quel che facevi. Sei uno dei pochi musicisti che conosca ad andarsene in Inghilterra per incidere con musicisti inglesi riuscendo a farli suonare come volevi tu, piegandoli alle tue esigenze, invece di inchinarti allo strapotere, psicologico se non altro, dello strumentista straniero.
BAGLIONI: Si, questo si. Ma è una cosa che si può riuscire ad ottenere ... L'importante è sapere che non vai fuori perché vuoi ammantarti di un particolare fascino ... Andare a cercare quel musicista che ha suonato in quel disco famoso nell'assurda convinzione che in quel modo anche il tuo disco sarà inevitabilmente perfetto per forza. Io ritengo che tutti i musicisti del mondo siano pronti ad un dialogo musicale serrato e interessante. Il problema è che devi conquistarli, devi affascinarli, anche perché l'italiano è comunque un cantante, un artista un po' da terzo mondo, appena esce dai propri confini. Quindi, sai, specialmente nella patria delle grandi rivoluzioni musicali, come la Gran Bretagna, finisci per sentirti come quello che si presenta con la valigia di fibra legata con lo spago ...
Però, ritornando ad Assolo, devo dire che il progetto non era definito fin dall'inizio, ma è andato trasformandosi man mano che si andava avanti, tant'è che quando abbiamo ascoltato le registrazioni fatte durante la tournée ci siamo resi conto che esistevano differenze enormi, a parità di brano, tra quelli ripresi in momenti diversi. All'inizio lo spettacolo era molto acustico e piano piano ha assunto una dimensione diversa, come un racconto musicale, portando ad un cambiamento radicale anche per quanto riguardava le atmosfere e i suoni. Abbiamo messo a nudo certe frasi musicali e quindi siamo andati alla ricerca della spina dorsale delle canzoni che avevo scritto. Ripeto, è stato un viaggio sentimentale anche perché sono andato a rivedere, a verificare tutto quello che avevo fatto in passato, ma non è un fatto di puro esibizionismo, perché se avessi dubitato che lo facevo solo per me, ecco, in obbedienza alla voglia di professionalità e di rigore, beh, non l'avrei fatto, questo spettacolo. Se avessi saputo che lo facevo solo per me, per il birignao, per il puro godimento di quello che sa di avere un grosso potere contrattuale nei confronti del pubblico e allora dice: "Mi dovete prendere anche così"...
CHITARRE: In quel caso, se avessi voluto autocelebrarti, avresti magari chiamato la London Simphony Orchestra ...
BAGLIONI: Certo, si, avrei magari magnificato in questa maniera. Ecco, non vorrei esagerare, lo so che tutti dicono che la loro cosa migliore è l'ultima, ma io credo davvero che questo disco sia la cosa più bella che ho fatto finora, in assoluto. Se non altro, sicuramente, il disco che ha riempito di più ogni istante del periodo in cui andava formandosi. Lo spettacolo e il disco, poi, sono due cose vicine, ma anche nettamente separate perché nel momento in cui la tournée è finita ... Tieni anche presente che lo spettacolo stesso è nato in maniera abbastanza casuale, perché abbiamo cominciato con uno spettacolo, ci siamo chiesti se continuare, abbiamo risposto che si, e abbiamo finito per andare avanti quarantadue giorni, invece dei tre o quattro preventivati, però finita la tournée pensavo che il progetto si sarebbe risolto lì ... Poi, ascoltando il materiale registrato con il gusto un po' nostalgico dei filmetti delle vacanze ... Devo dire che il primo ascolto non è stato gratificante. Sul piano personale lo era, certo, ma da un punto di vista discografico poteva al massimo essere il solito disco dal vivo. Non amo molto i dischi dal vivo, anche se a questo punto ne ho fatti due ... E poi mi sembrava un'operazione velleitaria, non ne vedevo la ragione. né avrei saputo cosa tagliare ...
CHITARRE: Anche perché c'erano parecchie cose legate tra di loro, parecchi medley.
BAGLIONI: Si, ce n'erano molti, ed era impossibile tagliarli. Insomma, avevamo un sacco di materiale diverso a disposizione, anche perché abbiamo filmato tutti i concerti, registrando l'audio anche con i Nagra (il Nagra ¬ un registratore portatile a bobine estremamente sofisticato, un professionale a tutti gli effetti, n.d.r.) e con altri sistemi che poi Pasquale ti spiegherà meglio. Beh, riascoltando tutto questo materiale ci siamo resi conto che rivisitando un fatto reale rendendolo più fantastico, evitando un pubblico che cantasse dall'inizio alla fine, o che fosse solo pubblico, per utilizzarlo invece come uno strumento, cantasse una sola frase, desse l'idea di un ambiente, il vento, che so, un lancio di batteria ... Beh, a quel punto anche il pubblico diventava letteralmente parte dell'arrangiamento del brano. Insomma, potevi prendere un applauso, che c'era sempre, ma noi aprivamo solo in quel momento del missaggio, oppure potevi aprire o chiudere certe piste e certi microfoni, mettere un ideale microfono che girasse all'interno del catino dello stadio e che non fosse il solito spettatore che non si sa mai qual' è, che si sente sempre tutto uguale come una cosa preregistrata ... No, ora poteva essere qualcuno di preciso, o qualcuno che stava dietro il palco, o magari io stesso che diventavo spettatore di quello che rientra dallo stadio, dalle voci delle persone ...
In questo modo tutto diventava entusiasmante, un lavoro di grande fatica perché voleva dire inventare, in ogni istante, un valore di montaggio cinematografico, piuttosto che discografico. In questo senso il disco è diverso dal concerto, perché quello che è accaduto durante gli spettacoli è registrato, ma non sempre riportato su disco con lo stesso valore che aveva durante l'evento. E' un discorso che ha portato via parecchie notti, a Pasquale e a me: ogni volta che la trasposizione ci sembrava banale l'abbiamo rifiutata per cercare, nei limiti delle nostre possibilità, di evitare la piattezza. Infatti a me dispiace, quando viene chiamato disco dal vivo, perché secondo me è comunque diverso dalla semplice registrazione ...
CHITARRE: Una manipolazione creativa, si potrebbe dire.
BAGLIONI: Si, una manipolazione creativa, ma anche autentica, della realtà. In questo senso è un disco strano e singolare, perché già parte da uno spettacolo che sembra non sia mai stato fatto, almeno in questa veste, in tutto il mondo, per poi unire una dimensione piuttosto raffinata di scrittura musicale, più che di esecuzione, anche se non completamente tecnica lo continuo a dire che ho usato i tasti, le corde della chitarra, limitandomi, appunto, a farne uso, non come un vero musicista: lo ripeto, non sono un virtuoso di questi strumenti ...
CHITARRE: Anche se poi finivi per esserio, nel complesso. Voglio dire: passavi da uno strumento all'altro, che per giunta sono collegati ad un computer e quindi suonano e vanno suonati in modo totalmente diverso dal solito, senza contare i pad che avevi addosso per suonare le percussioni Il tutto ti rendeva simile ad un ...
BAGLIONI: Ad un saltimbanco?
CHITARRE: Beh, io ...
BAGLIONI: (ride) Una cosa un po' circense...
CHITARRE: lo volevo paragonarti piuttosto ad un one man band.
BAGLIONI: Si, in un certo senso ... In realtà il mio sogno era proprio quello, ma era una dimensione un po' troppo "stradarola" e siccome un minimo di eleganza formale mi sembrava necessaria ...
CHITARRE: Tu, del resto, hai sempre tenuto molto a non perdere di vista un certo tuo stile.
BAGLIONI: Si, è vero, ma questa volta credo di essere andato ancora oltre. Sono veramente contento. Parlare bene di se stessi è una delle cose più brutte che si possano fare, però certe soluzioni armoniche, certi passaggi li amo molto e li considero molto interessanti. E anche molto moderni.
CHITARRE: Come sei riuscito a conciliare tutte le cose che dovevi fare? Suonare con una tecnica nuova, cantare e per giunta suonare anche le percussioni, in certi momenti ...
BAGLIONI: All'inizio è stato davvero difficile, anche perché gli aiuti che mi venivano dal di fuori, sia nello spettacolo che nel disco, erano legati soltanto all'uso di alcune ... batterie elettroniche, anche se il termine è improprio. Tieni presente che, ad esempio, il computer non è mai stato usato come un sequencer, cioè non c'è niente di armonico o di melodico che sia stato aggiunto prima o dopo. L'unico linguaggio usato a priori era quello ritmico, in certe occasioni e solo perché lo spettacolo richiedeva una certa platealità: non eravamo in un teatro o in un auditorium; certe volte mi sono trovato a cantare per persone che stavano anche a cinquanta o sessanta metri da me e quindi in qualche maniera devi pur raggiungerle. Senza contare che quel tipo di pulsazione (sono più pulsazioni, secondo me, che veri disegni di batteria elettronica, sono ambienti, impulsi, sensazioni) mi davano anche modo di sovvertire i tempi di alcune canzoni. Spesso c'è anche il gioco della canzone lenta che diventa svelta, o di quella al piano che diventa fatta con corde di chitarra ...
CHITARRE: Ma i tuoi collaboratori come facevano a seguirti? Erano improvvisazioni?
BAGLIONI: Era difficile davvero, perché diventava sempre una sorpresa: dopo l'introduzione non si sapeva mai cosa sarebbe successo. Io credo di aver effettivamente provocato un po' di smarrimento, però ... Insomma, io credo di essermela regalata, questa possibilità, ma spero anche di averla regalata a qualcun altro: due o tre ore d'invenzione che però non imponeva alcun messaggio sperimentale. L'esperimento veniva fatto su materiale di tradizione, già ascoltato, già masticato: digeribile senza difficoltà da parte di chiunque.
CHITARRE: Parli con tanto entusiasmo di quest'esperimento da farmi pensare che ora hai la tentazione di fare un disco tutto da solo, con lo stesso sistema.
BAGLIONI:(ride) Sai cosa c'è? Che ... No, mi è venuta anche molta voglia ... Adesso che so suonare meglio, mi è venuta nostalgia di suonare anche con altre persone, però purtroppo ci sarebbe anche un rammarico: che non potrei più usare gli strumenti come ho fatto in questa occasione. Il punto è che la chitarra, ad esempio, a parte i pezzi in cui suonava normalmente, negli altri, dopo aver vinto un primo imbarazzo ... Sai, quando sentivo questi suoni così diversi mi chiedevo come fosse possibile: da una chitarra tu ti aspetti che sia una chitarra. Da una tastiera, ancora ancora, puoi aspettarti che dia un suono da assegnare, che so, violini o qualunque altra cosa, tamburi, ma la chitarra ... Ad un certo punto mi ero proprio dimenticato che fosse una chitarra: le corde e la tastiera venivano separate in sezioni diverse. Per esempio, ma poi te lo spiegherà meglio Pasquale, dal dodicesimo tasto in poi la chitarra cambiava suono, mentre la sesta corda aveva un suono, la quarta e quinta un altro diverso, a sua volta, dal suono delle prime tre corde. In questa situazione Minieri era il vero direttore d'orchestra, perché era lui a comandare il suono delle diverse sezioni in cui era stata divisa la chitarra. lo ero "i musicisti", l'orchestra.
CHITARRE: E chi può seguirti, adesso, su questa strada? Con quali musicisti potresti suonare? Mi sembra un'esperienza piena di conseguenze: o l'abbandoni o vai avanti.
BAGLIONI: E' una domanda che ci stiamo facendo anche noi. Tra l'altro c'è da considerare che io ritengo che questo spettacolo possa essere interessante anche fuori dall'Italia, proprio per la sua singolarità, per la sua portata, che non è indifferente. Anch'io lamento la cosa che dicevi all'inizio. Voglio dire che la cosa che mi è dispiaciuta di più alla fine di questa tournée e anche all'uscita di Assolo è l'aver constatato come purtroppo si parli sempre meno di musica. Non tanto perché sia bella o sia brutta: il giudizio finale può dispiacerti se è negativo o farti piacere se è positivo, però forse non è tutto quello che conta. No, quel che mi dispiace è che nessuno sia mai entrato dentro, forse perché nessuno ne aveva la capacità o magari la voglia.
lo credo che questo sia stato un cattivo servizio reso al pubblico, proprio perché non credo sia solo compito dei musicisti cercare di andare avanti, dovrebbero essere sollevati dalla schiavitù del non cambiare mai per paura di perdere il pubblico, quello che li ha sempre amati per un certo tipo di cose ... Ecco, credo che il critico nella sua funzione informativa abbia il dovere di aiutare, di dare un segnale, un avviso, una spiegazione tecnica, artistica e musicale di quello che un artista ha fatto sopra un palco o in un disco. Questo è venuto quasi completamente a mancare.
CHITARRE: Forse si è superficialmente pensato che tanto tu potevi permettertelo...
BAGLIONI: No, io sono un po' demoralizzato...
CHITARRE: Sai, forse alla fine quello che si rivolge contro di te è anche l'essere un fenomeno di costume, aspetto che magari passa in primo piano. E' come se quel che fai fosse meno importante rispetto a quello che rappresenti.
BAGLIONI: S¡ ...
CHITARRE: ... e con questo lavoro, santo cielo, sei tornato a riaffermare quello che sei in realtà, al di là delle immagini.
BAGLIONI: Si, è vero.
CHITARRE: E molta gente non se ne è resa conto perché non riesce a superare l'immagine personale che hanno di te, il fenomeno di costume.
BAGLIONI: Se per gente intendi riferirti al pubblico, però ... Pensavo che avrebbe reagito in maniera almeno perplessa, tenendo conto che era possibile fare un paragone con la tournée precedente, quella dell'85, che era abbastanza simile anche per le città che abbiamo toccato e gli ambienti in cui abbiamo suonato: allo stadio di Torino ci siamo stati un anno dopo, come in quello di Roma o di Milano. I numeri sono stati incredibilmente e sorprendentemente superiori a quelli dell'anno precedente, e questo in assenza di
promozione, di grande réclame, di un disco nuovo, di classifiche da sbandierare ... Beh, al di là dei numeri è proprio il risultato emotivo dello stare insieme che è stato più caldo, probabilmente ... Forse meno scoppiettante, ma sicuramente più intimo e più caldo rispetto alla stessa tournée dell'85.
CHITARRE: La MIDIzzazione delle chitarre ti ha causato problemi? Mi riferisco specialmente al ritardo della risposta.
BAGLIONI: E' un problema che ho sentito più che altro sulla sesta corda: provocava uno sfasamento ritmico che era difficile da controllare. Poi, piano piano, anticipare il pollice rispetto alle altre dita diventa un'abitudine e allora si riesce a compensare questo squilibrio ritmico.
CHITARRE: Chiaramente questo ritardo t'impediva di fare fraseggi veloci.
BAGLIONI: Si, beh, per fortuna, devo dire. (ride) Sono quelle benedizioni che arrivano dal cielo e che ti tolgono anche l'imbarazzo di provarci. (ride) No, il problema era tutto nel controllare specialmente gli ottavi, perché era difficile tenerli tutti a tempo dimodoché la mano fosse bilanciata, perché il bilanciamento battuta per battuta fosse buono. Quello era importantissimo, visto che ero da solo, perché anche se ... Vedi, la cosa che più mi dava soddisfazione era che una sola persona cantava e suonava e qui c'era un insieme irraggiungibile se la gola fosse stata di una persona e le mani di un'altra, per quanto a lungo potessero aver suonato insieme.
CHITARRE: La Gibson Chet Atkins che hai usato in concerto è una chitarra meravigliosa, con l'unico difetto di pesare molto. Come te la sei cavata sul palco?
BAGLIONI: Si, pesa davvero parecchio. Beh, ma ora è il caso di dirlo chiaramente: sia Pasquale che io abbiamo seguito una notevole preparazione atletica, in vista del tutto. Sembra una storia ridicola, ma è vera. (ride) Andavamo a correre, facevamo esercizi ginnici, respiratori ... lo penso che se non mi fossi preparato forse non ce l'avrei fatta proprio fisicamente a sopportare uno spettacolo così lungo quasi ogni giorno, perché c'erano proprio dei pesi nervosi e fisici da sopportare. Anche il fatto di non smettere mai di suonare, con continui cambi di ritmo ... C'era un medley che durava quindici minuti, un altro otto, e questo, specialmente, era complicatissimo perché c'erano continui cambi ritmici, di atmosfera e di pezzi.E' difficile sostenere una cosa del genere con la sola chitarra: secondo, è molto più pesante e difficile suonare la chitarra che non le tastiere.
CHITARRE: Ascoltando l¡ disco ho avuto la netta impressione che nemmeno le ritmiche fossero strettamente predeterminate, e che tu avessi, invece, un buon margine di discrezionalità.
BAGLIONI: Beh, non è esatto. Dipende dai brani: in "Ragazze dell'Est" ero io stesso a fare anche la ritmica, anche in altri pezzi erano predeterminati i suoni, ma i tempi dipendevano dalla mia esecuzione. In questo senso, allora, sono predeterminati solo a metà, perché sono in funzione di come suono. In molti altri pezzi, però, le ritmiche erano interamente predeterminate. Sulla chitarra, ad esempio, gli impulsi ritmici li davo con la sesta corda, con il Mi basso, staccando le mani dalla tastiera. In pratica la chitarra suonava sia quando toccavo le corde che quando le lasciavo libere: avevo un impulso ritmico di rimbalzo, per così dire. E' chiaro che in questo modo c'era una libertà molto maggiore. Questo era il divertimento: cercare anche le cose più assurde. Questo rendeva divertenti anche le prove, che normalmente sono la cosa più noiosa: proprio durante le prove con Pasquale inventavamo cose che poi, magari, mettevamo alla prova del pubblico di lì a poco. E poi anche le ritmiche erano pilotate dal QX-1 e quindi si poteva giocare molto sulla dinamica: nessun colpo era eguale all'altro. Si, forse c'era davvero un ampio margine ... Sai perché si avverte questa cosa anche dove le ritmiche erano predeterminate? lo suonavo appoggiandomi spesso alle ritmiche e allora hai un effetto contrario, si perde quella freddezza ... Insomma, quello che mettevo sopra alle ritmiche costruiva come un'onda, senza contare che il basso ero sempre io a farlo, e una cassa, quando il basso lo suoni con un tocco o con un altro, ti si arrotonda in avanti o indietro, non spacca mai in mezzo.
CHITARRE: Un uso incredibilmente umano dell'elettronica, in definitiva.
BAGLIONI: Si, elettronico era l'impianto, a mio parere, però il modo di usarlo era molto più umano e anche più gioioso. Personalmente io non amo molto l'elettronica per l'elettronica; non mi piace molto la musica che nasce per essere e diventare soltanto elettronica. Oltretutto non è neanche nelle mie corde; io, poi, non canto in maniera robotica, quindi sarebbe stato un assurdo ...
CHITARRE: Non hai mai avuto paura che un computer "impazzisse" o si fermasse?
BAGLIONI: E' accaduto, e sono stati momenti duri. E' accaduto su "Adesso la pubblicità": quello che noi aspettavamo è partito e poi si è fermato perché un floppy si era rovinato e allora, subito dopo, ho rifatto la stessa canzone, proprio perché temevo che la gente pensasse che suonavo con una base e che quindi ci fosse qualcosa di registrato. Ho contravvenuto ad ogni regola dello spettacolo. (ride) Ho detto: "Scusate, la cosa che ho fatto adesso non era come io la volevo fare. Ora la suono nuovamente". Questo proprio non si fa mai. E poi non lo dicevo ad uno spettatore che avevo lì davanti: no, è successo a Benevento, dove c'erano persone a centocinquanta metri. Non le vedevo nemmeno, era come parlare in una piscina nera ...
CHITARRE: Era un po' lo spirito di un laboratorio di sperimentazione.
BAGLIONI: Certo, perché talvolta inventavamo cose nuove già nel momento in cui chiudevamo il sipario, appena dopo le prove, con la gente là fuori, perché spesso entrava alcune ore prima ... E noi molte cose ce le siamo inventate a palco nascosto e poi io la sera le facevo, mentre Pasquale le adattava senza aver avuto il tempo di provarle. Forse c'è stata anche una certa dose d'incoscienza, che però secondo me, ci ha premiati, proprio per questa foga d'inventare che diventava ogni sera un bisogno assoluto, una specie di droga: "E se facessimo questo? ... ". Ma il punto non era la volontà di cambiare ad ogni costo, no: ogni passo poteva essere stimolante per un altro ... E non era facile perché c'era un mucchio di canzoni, un mucchio d'accordi da ricordare, di sonorità da apportare, di maniere di mettere le mani, il tocco, il non cadere nella tentazione del narcisismo musicale e quindi anche il non perdere il senso della misura ...
CHITARRE: Ora torneresti in un piccolo teatro a fare un concerto solo acustico?
BAGLIONI: Mah, chissà ... Solo che dovrei farmi prima un lavaggio del cervello, dovrei cambiare forma mentale. E non vorrei che sembrasse un'esibizione sportiva, come se mi trovassi a dire: "La prossima volta che faccio?". Solo per tentare di scalare, come ha fatto Messner, tutte le cime dagli ottomila in su ... Però c'è anche il rischio che anche quelle finiscano ... (ride) Quindi non so quale sia la strada prossima. Certo è che potrebbe anche essere allargata a qualche musicista che però ragioni in questa maniera. Ultimamente i musicisti sono sempre più disabituati a suonare davvero insieme o per qualcosa. Secondo me prevale spesso un essere lì insieme, ma "da soli"... Una specie di cattiva coabitazione. Per suonare modernamente credo che oggi sia necessario abituarsi anche ai silenzi, alle pause, ad una vera dinamica musicale. Come guidare una macchina guardando anche il panorama, ogni tanto, invece che limitarsi ad andare velocissimi.
Nell'introduzione al n. 12 - Marzo 1987 della rivista di tecnica musicale e chitarristica: Chitarre da cui è tratto questo articolo, Augusto Veroni scrive:
"Sono due, i punti salienti di questo numero. Innanzitutto l'intervista a Claudio Baglioni, primo italiano a comparire sulla copertina di Chitarre. Baglioni, con l'essenziale aiuto di Pasquale Minieri, si è reso protagonista di una vera e propria rivoluzione tecnico-espressiva che, ne siamo certi, troverete incredibilmente stimolante.
Proprio per questo abbiamo affrontato l'argomento tentando di essere esaurienti sia dal punto di vista strettamente artistico, con l'intervista a Baglioni, che da quello più tecnico, con quella a Minieri, anche se - lo scoprirete - i confini sono molto sfumati.........."
FOTO di Guido Harari
segnalato da Cecilia