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Rassegna stampa - venerd́ 6 settembre 1985 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Ciao 2001 - 06/09/1985
Claudio Baglioni
Cronaca di una delle tappe del trionfale tour del cantautore romano. Intervista polemica e
incazzatella su un tema d'attualità come il Live-Aid.
di Gianluca Bassi
Acitrezza (Catania) - Claudio siede ai bordi della piscina del suo ennesimo albergo. Vestito distrattamente di bianco, nasconde senza gigionerie un pavidissimo accenno di tintarella. Un caldo troppo stagionale e la semplice cortesia di chi è fiero della propria coerenza. Nella hall dell'albergo, intanto, continuano a scalpitare quattro ragazzini che hanno chiesto di vederlo. Ormai sono quasi cinque ore che aspettano. Lui lo ha appena saputo, sorride.
- David Zard avrebbe voluto fare di San Siro il terzo grande stadio di "Live Aid" ma ha dichiarato che non è stato possibile per l'indisponibilità di grandi nomi come Rossi e te...
- La cosa è abbastanza buffa visto che né io né il mio manager Libero Venturi siamo mai stati interpellati. Così é successo che poco prima del concerto di Reggio Calabria Libero è entrato nel mio camerino con il Corriere della Sera in mano. Un articolo si ispirava a tutte queste dichiarazioni di Zard, secondo le quali io avrei mostrato anche "insensibilità al problema della fame". Ecco, questa mi sembra davvero una cattiveria del tutto gratuita ed infondata. Poi non capisco alcune cose: innanzitutto perché Zard si è improvvisamente eletto ad ambasciatore della musica italiana nel mondo, inoltre a che titolo l'Italia avrebbe dovuto costituire il terzo polo della musica mondiale (e perché mai non la Francia, l'Australia?). In questo momento non mi pare che si sia in grado di garantire l'efficienza dimostrata da americani ed inglesi nel corso del mega-concerto. E se anche ci fosse stato un collegamento di otto minuti - pare che fosse questo uno spazio standard di intervento - cosa si organizzava tutto in fretta, un coro di alpini? Per farla breve, Venturi ha querelato Zard, il quale secondo me ha commesso una specie di suicidio in vista dei prossimi contatti con i musicisti italiani. Non si può sparare a zero su degli artisti senza una ragione.
- Peraltro, pur riconoscendone la saggezza degli intenti, non mi sembra che il contributo italiano (il video e la canzone "Volare") al problema della fame sia stato dei più originali...
- Infatti. Un filmato fatto in fretta e con poco acume e il riciclaggio di un brano meraviglioso ma che rappresenta un Italia ormai remota. Tuttavia, ciò che preoccupa è tutto quello che sta intorno ad iniziative del genere. La nostra educazione musicale è ancora in affanno. Non solo nell'ambito dell'organizzazione, ma anche riguardo all'informazione. Giornalisti che recensiscono concerti senza averli visti e pure le difficoltà ad allestire concerti invernali per la mancanza di spazi adeguati. Poi, d'estate, la schiavitù degli stadi con lo spettro del calcio che è sempre imbarazzante sfiorare. Si va a finire con il pubblico stretto e maltrattato da recinzioni e spalti angusti e poco accoglienti. Li ho visti più volte e spesso il fatto è dovuto alla mancata concessione del prato. Capisco che si abbia paura di rovinarlo e che in fondo non sia stato allestito per i concerti, ma i danni provocati - è curioso - ai manti erbosi degli stadi sono stati dovuti solo agli artisti stranieri. Che so, gli Stones al San Paolo, Patti Smith a Firenze. Forse sarebbe il caso di mostrare più indulgenza ed attenzione per la musica leggera, creando locali ed alternative, se è vero che lo Stato ogni anno destina 300 miliardi, se non erro, agli enti lirici.
Nella sua trionfale campagna siciliana Baglioni ha avuto, come lui stesso ha voluto sottolineare, attimi di gioia e frangenti in cui il peso disorganizzativo s'è fatto invadente. Così il concerto di Catania, allo stadio Cibali, non si è potuto fare per l'inagibilità dichiarata da una commissione comunale appena un'ora prima dello spettacolo (ed il povero promoter locale, Carmelo Costa, a farfugliare una giustificazione alla folla in attesa).
Tuttavia, a Palermo Claudio è tornato a sorridere di fronte a ventimila appassionati ed anche a Scicli ed Agrigento il copione non si è potuto esimere dal clamore delle ovazioni a scena aperta. Infine, a Messina forse il concerto meglio disegnato, con quindicimila persone (pare siano arrivati anche i catanesi con il biglietto dello show annullato nella loro città) ed un gruppo in giornata di grazia. Sulle tribune stipate in ogni geometria svettava uno striscione emblematico "La vita è adesso, Claudio è sempre!". E Baglioni ha risposto con un vibrante impegno. Puntuale in scena (alle 21 e 30), con la lirica avvolgenza di "Via", ha carezzato affatto lezioso un repertorio talmente vasto e pertinente da costringerlo a dolorose esclusioni ("Tutto il calcio minuto per minuto") ma che comunque ne esalta la singolare (eppure popolare) vena melodica in squarci indimenticabili per schiettezza e moderna malinconia, come "Uomini persi", "Strada facendo" e una emozionante "Amori in corso". Alla fine, il proverbiale giro di campo per rapire almeno in parte le ragioni chiassose ed intime del successo recente e la folla ad intonare senza schernirsi quell'Alè-o-o che accompagna con enfasi mai prevista le lacrime di gente che scopre semplicemente di amarlo.
- Ad ogni modo se è vero che non è facile vivere di concerti è anche vero che negli ultimi tempi la situazione parrebbe meno mortificante, non ti sembra?
- Sì. I miei piccoli rimproveri hanno infatti il valore di urletti in un silenzio di pace. Ma non bisogna cullarsi in momentanee fasi di efficienza. Anche considerando la crisi che la musica leggera sta vivendo. Parlo di vendite, di economicità del tutto, e sebbene il mio "La vita è adesso" ha venduto, a tutt'oggi, già 550mila copie, è purtroppo un caso isolato. La crisi è avvertibile nei prodotti medi. Peraltro c'è l'ingombrante concorrenza della musica straniera. Se accendo la radio in macchina, senza i giornali radio crederei di essere in California.
- Con un album insolito come "La vita è adesso" hai certo dimostrato fiducia nel tuo pubblico.
- Può darsi. Dopo quattro anni, d'altra parte, ci sono tante cose da dire ed io mi sono aperto in 52 minuti di musica.
- Ma soprattutto di parole...
- E' vero. Volevo che parole e musica potessero avere anche vita autonoma. Infatti, ho composto le musiche molto tempo prima e poi ho scritto le parole. La mia intenzione era quella di scrivere qualcosa che si potesse anche soltanto leggere. Ho esitato a lungo su strofe e possibili chiavi liriche, ma a volte si deve essere esagerati. C'è da dire inoltre che, proprio alla luce di una lavorazione così inconsueta, mi ha sorpreso - piacevolmente, è naturale - la risposta della gente. L'album non è cosi furbo come pretenderebbe l'industria discografica odierna: ho fatto un faticoso lavoro di sintesi (ho scartato circa venti canzoni che magari non inciderò mai con il perenne dubbio se ho scelto bene o meno) ma ho anche acquistato un pubblico eterogeneo che canta "Poster" ma pure "Uomini persi" con struggente trasporto.
- Il titolo del disco pare eluda l'immaginazione. Come soffermarsi su un qui e ora musicale alla ricerca del presente...
- Il fatto è che mi sembra che la fantasia manchi adesso. Come un sentimento che va perdendosi in nuove generazioni senza progetti concreti. Si vive alla giornata, tutto "è abbastanza". Così ho pensato di osservare il gesto quotidiano sotto gli auspici di mie personali nostalgie. Sono anni che non prendo il tram.
- Ecco allora la fantasia nell'immaginare la "normalità". Un po' quello che faceva Hitchcock che coinvolgeva in situazioni straordinarie personaggi ordinari. Tu valorizzi la norma in personaggi altrettanto normali. Un lavoraccio...
- In effetti è difficile afferrare il significato di abitudini ataviche. Per cantarne magari la tenerezza. Ho visto in questi anni che la fine di un mito è l'approccio, ma non è giusto. Mi ha incuriosito, ma anche riportato alla realtà, vedere Mick Jagger in un ristorante londinese ordinare una banalissima zuppa. Forse è il momento giusto perché la gente apprezzi anche il fascino di consuetudini che altrimenti sarebbero soffocate dalla routine. Io poi mi sono reso tutto più difficile rinunciando ai ritornelli.
- E questa è una mossa autenticamente poetica. Istinto senza briglie, a dispetto degli schemi della poesia beat che del refrain faceva un vanto jazzistico o quasi...
- Già. Allora era un riff che si ripeteva piuttosto stancamente, direi. Stavolta nelle ultime canzoni ho preferito una ricetta imprevedibile senza obblighi ritmici ma che melodicamente avesse una sua linearità. Non bisogna inchinarsi alla forma o ad un programma definito da tempo. Penso all'altra sera a Livorno quando allo stadio e sul palco c'è stato un black-out di un quarto d'ora. Ebbene la gente e noi abbiamo cantato al buio come se nulla fosse. E l'happening a volte è un miracolo inestimabile.
segnalato da Antonio