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del 30/10/99

Il Messaggero
Il musicista presenta il nuovo cd "Viaggiatore, sulla coda del tempo"
che uscirà il 12 novembre. E oggi incontra i fans negli aeroporti

Baglioni: con l'album canto un mondo a forma di me

di Marco Molendini

ROMA - Baglioni va alla ricerca del tempo perduto. Il mezzo secolo in vista (ha 48 anni) e i capelli ormai grigi, sono diventati un invito alla riflessione: «Una volta provavo fastidio nei confronti del tempo che passava, ora avverto perfino un sottile piacere», confessa.
Così, ha cominciato a guardare indietro, a sentire la voglia irrefrenabile di andare a fondo e di afferrare le cose lasciate («tutto muore, tranne le cose»). Il risultato sono una dozzina di canzoni intime ma lontane dai "piccoli grandi amori" di una volta, fatte per sfuggire al semplice gusto del consumo, «nate dal fastidio per la musica diventata karaoke, accompagnata dalla babele di voci che canticchiano i tuoi successi. Questi pezzi sono difficili da cantare addirittura per me».
Il pigro Claudio, oggi, è avvolto dall'inebriante desiderio di imprese estreme, quasi titaniche: gli stadi da riempire, i grandi progetti, perfino i viaggi nell'inconscio. O, almeno, le cose diverse. Ieri mattina, per far ascoltare e parlare del suo nuovo album, ha dato appuntamento nello studio di un pittore italo argentino (Oscar Turco, che ha un loft a San Lorenzo) e si è presentato, al solito vestito di nero e accompagnato dalla sua donna, Rossella, armato dalle più serie intenzioni e da un diluvio di riflessioni sul suo ruolo, sul disco, sul viaggio che rappresenta, sul futuro da esplorare. «Questo disco è un sogno - ha spiegato - cominciato tre album fa con Oltre e proseguito con Io sono qui». Il sogno si esaurisce adesso, con questo Viaggiatore, sulla coda del tempo che vedrà la luce il 12 novembre (nello stesso giorno esce anche il disco di Mina). «Ho dato gli ultimi ritocchi sabato mattina», spiega. E, siccome l'album parla di un viaggio, eccolo inventare un lancio iperbolico. Prima l'incontro con la stampa, poi una giornata (quella di oggi) in volo sull'Italia per incontrare duemila fans (farà scalo negli aeroporti di Firenze, Milano, Napoli, Catania) e per spiegare e fare ascoltare la sua nuova opera. Quindi, domenica, escursione al Palaghiaccio di Marino in un ulteriore incontro, stavolta riservato ai fedelissimi dei suoi fanclub, i Clab. Infine, la televisione. Perché venerdì 5 su Raidue parte l'Ultimo valzer, il programma che riporta Baglioni al fianco di Fazio. E più avanti, forse (forse, perché Claudio non lo esclude) ci potrebbe essere addirittura Sanremo («Fabio ci sarà al 99 per cento, ma io non saprei cosa fare. Avrebbe senso solo partecipare in gara. Oppure, come fece tanti anni fa Lionel Hampton, reinterpratare le canzoni in concorso»).
Ma tutto è ancora da vedere. Intanto c'è il disco: sessantacinque minuti di musica e parole senza tirare il respiro. «Faccio un album ogni cinque anni, mi sembra giusto dare di più», commenta. Dodici canzoni alla Baglioni, nel senso che sono trascinate dall'innegabile gusto per la melodia spalancata («quasi disegnata come se fossi un pittore» puntualizza lui), ma animate da una efficace mescolanza di suoni acustici e sintetici, e da un tessuto ritmico fatto di intrecci: dall'oriente, al mediorente, al latino, all'hip hop, al pop all'italiana.
Testi intensi, lunghissimi, ambiziosi con la voce che modella le difficoltà della metrica. «I testi sono piegati alle necessità dalla musica in modo ben differente da come fanno i cantautori classici, da Dalla a De Gregori». E, se gli ascoltatori potranno rimanere spiazzati da tanto fervore, è anche vero che qualche canzone ha le carte per imporsi subito nella sua immediatezza comunicativa, nella propria fedeltà («ci sono molte autocitazioni, diciamo che ho rubato a me stesso, e affiorano gli echi di vecchie canzoni come Tamburi lontani o Fammi andare via» confessa Claudio). Fra i pezzi, restano subito addosso Un mondo a forma di te, Chi c'è in ascolto, Opere e omissioni (con il curioso verso "Io sono un vecchio ed uno spreco"), Quanto tempo ho, Cuore di aliante. E, in fondo, al termine di questa cavalcata di un'ora e passa (c'è anche una traccia fantasma di appunti), ecco le scuse finali, con A Cla': «Sì, chiedo scusa per il mio bisogno di creare sempre stupore, ma se non mi ponessi mete esagerate so che non riuscirei a lavorare. Devo invece dimostrare a me stesso che qualcosa riesco ancora a farla».

Articolo segnalato da Manlio.