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del 30/10/98

Il Messaggero
Anima mia


di Antonio Ricci

Gli anni Settanta, gli Anni di Piombo, sono stati stravolti e cancellati sotto tonnellate di melassa e buonismo veltroniano. Cardine della rilettura, la mitizzazione del cantautore Claudio Baglioni: dopo il lifting facciale, anche quello dell’anima. Trasformare Baglioni, uno che dai suoi pori ha sempre sudato ”Baci Perugina”, in una specie
di sofferto intellettuale di sinistra deve aver dato a Freccero lo stesso abisso di goduria che provo io quando penso che il Gabibbo è diventato il giornalista più
credibile d’Italia.
Questo piccolo grande amore
Ecco una lettura psicanalitica dalla quale si evincono alcune caratteristiche inquietanti sull’autore.
Voyeurismo. «Quella camicetta fina, tanto stretta al punto che immaginavo tutto». Che inutile fantasia morbosa. Cosa può immaginare Baglioni sotto quella camicetta? Due tette, al massimo tre.
Pedofilia. «Quell’aria da bambina, io non gliel’ho detto mai però c’andavo matto». Qui l’autore va giù piatto. E’ talmente assatanato che non prova nemmeno vergogna.
Impotenza. «Questo piccolo grande amore» che viene ripetuto in maniera ossessiva, cos’è? Cos’è il «piccolo-grande» che «manca da morire»? Fuor di metafora è la dolorosa ammissione di evidenti problemi erettivi. Problemi confermati dalle parole della partner: «Mi diceva sei una frana». Dove per ”frana” s’intende chiaramente roba che va giù. Il prolasso fisico.
Esibizionismo. «E far l’amore giù al faro». Tutti cercano di infrattarsi in posti bui: Baglioni no, vuole essere visto anche dalle navi.


Articolo segnalato da Andrea.