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dell' 11/08/98

Il Giornale di Sicilia
Palermo: caro Claudio, raccontaci di te

di Claudio Baglioni


Emozionati,euforici,entusiasti:i 15 lettori del "Giornale di Sicilia"scelti fra quelli che hanno spedito le domande per fax ed E-mail,hanno incontrato ieri in redazione il loro beniamino.

D.-In un tuo concerto canteresti una canzone di un tuo collega? E quale?
R.-Uno dei miei sogni ricorrenti e'che tutti,tranne me, dimentichino le canzoni. Ce ne sono infatti alcune che mi piacerebbe spacciare per mie penso a "Yesterday",a "Se telefonando", poi ne ruberei una per ogni nostro cantautore

D.-Tuo figlio Giovanni ,nei concerti di Roma e Milano,ha dato prova delle sue capacita' musicali. Pensi che provera' a scrivere e cantare,a seguire la tua strada?
R.-Se ti ascoltasse si monterebbe la testa.Non credo che fara'mai questo mestiere. Mi piacerebbe pensare che la musica sia una sua compagna, al di la' che diventi un lavoro, perche' la musica e' come una segnaletica che ti da'una direzione. La musica leggera, che fra tutte e' la piu' semplice, ha un grande potere evocativo. Mi auguro per lui che non la butti via.

D:-Di tanto in tanto ti si e'visto portare in giro la tua musica in forme povere, francescane come nel "Tour Giallo". Cosa ti ha spinto a farlo,cosa ti ha lasciato dentro? E al termine di queste esibizioni, cosa pensi di esserti lasciato dietro?
R.-Dopo tutti questi anni di carriera nel ripropormi ho trovato un senso piu' dinamico e meno di fotocopia. Penso che ci si possa incontrare in molti modi, se ci incontriamo
in forme ogni volta diverse ci annoiamo di meno. Quest'ultimo e' lo spettacolo piu' esagerato tra quelli che ho fatto, c' e' tanto forse troppo, esagerando si rischia di
impazzire, non ti senti piu' umano. Ma ci si puo' anche proporre nella maniera piu' semplice possibile. Insomma, si puo' fare ancora di piu' e ancora di meno, e' come per gli esploratori andare nei poli piu' lontani.

D.-Ti viene regalata una lampada di Aladino un po' particolare. Hai la possibilita' di esprimere tre desideri per l'umanita' se rinunci a tre dei tuoi desideri personali.
R.-Mi augurerei che l'umanita' vivesse nella bellezza, vivesse in posti belli perche' la bellezza aiuta a star meglio, cura tanti danni e guasti che negli anni sono stati compiuti e ci hanno costretto a vivere in condizioni difficili. Vorrei che bellezza e armonia fossero una certezza per la gente. Il secondo desiderio e' la passione,
l'emozione che sconfigge ogni mediocrita', ogni cinismo, un carburante continuo nel cuore. Il terzo e' l'innocenza un po' per tutti quanti, ritornare a quello che si era da piccoli, prima che cominciasse il sospetto che nessuno di noi fosse completamente innocente. A cosa rinuncerei? Rinuncerei malvolentieri a questo mestiere, all'idea di abitare prima o poi per sempre vicino al mare, a recuperare tutti gli affetti piu' cari che di tanto in tanto perdo un po' per la fretta e un po' per il mio egoismo.

D.-Preferisci cantare QPGA o indossare per scherzo gli stivaloni americani di "Anima mia"?
R.-Potrei cantare QPGA con gli stivaloni. Ma no, scherzo. Quelle di "Anima mia" sono forme di provocazione leggera, per anni mi ero rifiutato di andare in tv e promuovere dischi. Per fortuna ho trovato dei compagni di viaggio straordinari ed ho capito che fare tv in quel modo poteva liberarmi da tanti scheletri. In realta' gli stivaloni li avevo davvero visti nel '73 a Parigi ed ero stato li' li' per comprarli. Ma facevo il cantante melodico, come avrei potuto metterli?

D.-Per chi o per che cosa rinunceresti per sempre alla tua carriera?
R.-Per una cosa che mi piacesse di piu', che mi procurasse maggiore felicita' ma se l'avessi trovata avrei gia' smesso.


D.-Ogni volta che ascolto una tua canzone, soprattutto certi testi ("Quante volte", "Un po' di piu'", "Da me a te") mi chiedo chi e che cosa ti ispira e riesce a farti mettere su carta sentimenti cosi' intimi, cosi' delicati, cosi' autentici. A quando un libro di poesie?
R.-E' una questione di sentimenti. Tante persone, scrivendo il loro diario, e' come se
dessero forma su carta, ai loro. Uno che, come me ha anche la fortuna di essere ascoltato, non puo' tirarsi indietro, deve fare una sorta di spogliarello dell'anima.
Chi fa il mio mestiere sa di raccontarsi in pubblico, forse e' anche una terapia.
Scrivere poesie? E' una cosa diversa. Il testo di una canzone senza una voce o una musica non avrebbe senso, le poesie sono solamente una parola scritta, perche' non sentiamo neanche la voce di chi le ha scritte. Per scrivere una buona poesia bisogna scordare la musica, io non me la sento.

D.-Cosa pensi di quelle persone che ti seguono ovunque e ti ritengono un punto di riferimento importantissimo?
R.-Ne penso tutto il bene possibile, ovviamente, mi interessa anche questa costanza, mi incuriosisce dal punto di vista umano capire come ci si leghi ad un personaggio. E' un rapporto non sempre facile da sostenere, ci sono momenti in cui c'e' anche il rifiuto delle persone, ma bisogna aver pazienza perche' non puoi approfittarne, non e' un rapporto alla pari, ci sono delle storture che tu stesso non riesci a gestire.

D.-Per lavoro sei costretto a fare spesso i bagagli ed a spostarti. Pensi che la dimensione del viaggio sia soltanto fisica o che sia piuttosto una condizione interiore, un'ansia di sorprese e bisogno di sfuggire alla noia? E quand'e' che si ha voglia di disfare la valigia?
R.-Il viaggio e' sia fisico che intellettuale, puo' esser fatto anche dentro se stessi, dentro una stanza, c'e' sempre qualcosa da immaginare. Mi interessa un po' meno viaggiare fisicamente, mi piace un po' piu' attraverso le parole. Il giorno in cui non si viaggera' piu' avremo finito di campare, viaggio e vita sono sinonimi.

D.-Dalle tue canzoni trapela il desiderio di appartenere ad un mondo e ad un tempo che non sono i nostri.
R.-Se tutto questo accade sara' per qualche alchimia. L'idea del tempo e dello spazio e' fisica, concreta. I sentimenti, l'mmaginazione sono i treni per uscirne fuori, per andare altrove. Mi e'capitato spesso di pensare che non so dove voglio andare ma che comunque non vedo l'ora di andarci.

D.-Ti hanno definito il cantante dei buoni sentimenti, l'alfiere del perbenismo. Qualcuno ha addirittura coniato per te: "Ascolta, si fa chiesa". Un luogo comune da
sfatare o un'etichetta di cui vai fiero?
R:-Il luogo comune e' un posto che imprigiona tutti. Tutti veniamo prima o poi ingabbiati in un luogo comune. Io sono uno dei pochi esempi di ecumenismo politico
mi hanno etichettato di destra, di centro, adesso di sinistra, ho accontentato tutti, insomma. Ma chi sta attento, si libera per primo da questa prigione.

D.-La vita di un artista e' invidiata da molti e comporta molte rinunce. Ti sei mai fermato a chiederti chi sarebbe stato Baglioni senza il successo? Quanto e' costato il successo a Claudio "uomo"?
R.-Non so, avrei fatto quello che mi piaceva fare, studiavo architettura, avrei cercato
di fare bene quel mestiere e non riesco ad immaginarmi quello che sarei stato. Mi sarei comunque immaginato meno di quello che ho avuto. Certo un prezzo va comunque pagato, mi e'costato vedere andar via alcune persone, non sono riuscito a
tenerle vicino.

D.-A chi ti rivolgi con la canzone "La vita e'adesso", soprattutto quando dici -Sei tu nel tempo che ci fai piu' grandi-?
R.-E' una canzone dedicata alla vita e a me stesso. Ho scritto i testi di questo album in un bar di Monte Mario: da lassu' si gode un panorama splendido e pensavo che ognuna delle persone che vedevo muoversi in basso avesse una sua storia e che si riflettesse in me come in uno specchio. Per me non e' solo un invito a cogliere l'attimo ma un cercare di abituarsi a mettere assieme ai nostri anche gli attimi degli altri.

D.-Non pensi che "Donna felicita'" e "La vita, la vita" le dovresti cantare mentre ti fai la barba e non in una sala di incisione?
R.-Puo'essere cantato quando ci si fa la barba anche un brano di Bach. Certamente "Donna felicita'" non e'mai stata una grande canzone, pero', invece, "E la vita la vita" ha una sua intuizione. Per fortuna ormai siamo un po' meno snob, magari perche' guardiamo a certe cose con nostalgia. Non bisogna perdonarsi tutto ma non ci si puo' nemmeno ammazzare per sostenere che quando cantavamo certe canzoni eravamo figli del sublime, siamo stati anche figli del futile.

Articolo segnalato da elvira.