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del 30/09/95

Il Messaggero
Mare, proteggimi

di Claudio Baglioni

Quando, su quel trenino che portava a Ostia, qualcuno mi chiedeva - quanti anni hai, bambino? - io, con il permesso degli occhi di mia madre, tiravo fuori una mano e mostravo quattro dita un po' storte, esitanti, come se fossero spuntate allora. Oggi mi ci vorrebbero tutte e due le mani, quattro dita per parte. Da mettere una a fianco all'altra, e non per fare otto. Quando quel trenino apriva le sue porte a soffietto davanti al tanto sospirato sogno marino un esercito di secchielli, asciugamani, sandali e berrettini si catapultava fuori. Con l'urgenza colorata di arrivare presto. Davanti agli altri. Gli altri ragazzini, mamme, zie, nonni, papà. Come se non ci fosse abbastanza mare per tutti. E si correva con il cuore e con le gambe. Più con il cuore che con le gambe. Il cuore avanti a tutto il resto, che tirava, che tagliava il traguardo per primo. E qui iniziava la litania accaldata e gioiosa degli stabilimenti. Quei nomi in fila. Sempre la stessa successione. Gambrinus, Venezia, Kursaal, Pinetina, Nuova Pineta, Vecchia Pineta, Lega Navale, Tibidabo, Plinius, Belsito, il Delfino, Il Capanno, Marinella, Lido, Battistini, Elmi, Urbinati, la Conchiglia, Italia, Vittoria...
E la preghiera durava tanto o poco, a seconda del bagno scelto. E più corta era, meglio andava. Se per accedere al paradiso c'era meno marciapiede da consumare. Meno cabine in cui curiosare. Meno gridacci di voci materne. Meno schiaffoni da evitare. Meno tempo da attendere. Per giungere finalmente al mare. Perché il mare non è come la montagna. In montagna ci sei comunque, dovunque tu sia. Più in là, sopra o sotto, più in qua. Basta trovarsi in quel territorio. Al mare, no, non puoi essere vicino, dalle sue parti. Devi starci dentro, o al massimo, accanto. E quanto sole c'era. Dappertutto. Allora c'era più sole. Molto più sole di adesso. Partivamo ogni giorno da Roma con un po' di sabbia del giorno precedente (che tanto tutta non si riusciva mai a toglierla). Con ancora più voglia, più smania del giorno prima, arrivavo a quelle case, quelle strade sembravano di un posto lontano. Così diverso dalla città. Africano.
Forse per via delle palme. Qualche volta veniva con noi mio zio Enrico. "S'annamo a scoccià" diceva. E "scocciarsi" stava per rompersi la coccia. La testa. Per le capriole che mi faceva fare. Lui me le aveva insegnate. E poi me lo ripeteva sempre. "Quando s'annamo a scoccià?". E io ridevo, ridevo come se quelle parole avessero i polpastrelli e mi facessero il solletico ai fianchi. Ora "non s'annamo più a scoccià". Forse siamo già troppo scocciati. Da ciò che accade. Che ci gira attorno. Che ci addormenta i sogni e ci sveglia gli incubi. Che ci truffa il mare dei pensieri e ci inquina quello degli spruzzi. Che ci butta giù il nostro castello di sabbia e ce ne costruisce, accanto, uno tangentato e abusivo. Scocciati da quei salvatori della gente che ci bucano il salvagente mentre tentiamo di andare a nuotare da soli, distante. Scocciati dal fatto di non avere più quegli occhi che cercavano il mare già venti chilometri prima. Non lo vedevi ma lo sentivi. Con un sole interno che si specchiava nel sole di fuori. Infine, all'improvviso, laggiù una immensa piastra d'argento. Te lo dicevo che il mare c'era davvero. Te lo dicevo ma tu già lo sapevi. Il difficile è saperlo oggi.
E oggi Ostia cos'è? Mi hanno detto: una città sul mare. Senza essere una città di mare. Con le storie di una città-città. E come in tutte le città del mondo, stranezze e contraddizioni. I giovani senza pace o senza problemi. I vecchi senza denti o senza compagnia, i disoccupati senza lavoro, gli extracomunitari senza famiglia, gli sfrattati senza casa, gli spacciatori senza anima, i ladri senza vergogna, i fortunati senza i senza. E poi tante persone senza resa, senza paura di vivere, senza muri. A proposito: ci sarà ancora il muretto? Oggi torno ci cantare e suonare, senza liturgia, spalle al mare, rubandogli un po' di energia. Che mi aiuti, mi protegga, azzurro fondale infinito fino a dove finisce ed è più fondo. Ma non avrò tempo per stare a guardarlo. Giuro che un giorno di questi ci torno e in un momento in cui nessuno mi guarda mi piego sulle ginocchia, appoggio le mani e la testa, mi spingo con le gambe e via... Mi vado a scoccià.


Articolo segnalato da Antonio .