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del 01/03/87

Chitarre
PASQUALE MINIERI
Intervista all'alter ego di Baglioni


di Augusto Veroni

Che la definizione migliore per Pasquale Minieri sia "l'Archimede Pitagorico dell'elettronica" me l'ha suggerita Elena Martelli, promoter della CBS, alla quale devo anche la tempestività di contatto con Claudio Baglioni. Minieri è ben conosciuto non solo dagli addetti ai lavori: prima una lunga militanza in gruppi legati al circuito folk italiano, come il Canzoniere del Lazio e i Carnascialia; poi la collaborazione con Fare Musica, una rivista che ha meriti anche storici non indifferenti. E poi la creazione di sigle, la collaborazione con musicisti e tecnici. A Pasquale Minieri, che della tournée e del successivo disco di Claudio Baglioni è stato il principale ideatore ed artefice tecnico, abbiamo chiesto di spiegarci in modo approfondito l'aspetto meramente tecnico di questa esperienza.

MINIERI: Il palco era progettato in modo che ci fossero tre punti-chiave: uno per la chitarra, uno per un piano acustico (diciamo così, anche se in realtà le cose erano diverse) ed un terzo punto per la postazione elettronica. Nel "piano acustico" c'era una tastiera Roland MK 1000, una master keyboard; nella postazione più elettronica c'era una RD 1000 e su tutto il palco c'era una rete MIDI che ci eravamo fatta da noi perché allora non c'erano ancora scatole di derivazione ed altre cose che sono entrate in commercio di lì a pochi mesi. Il che vuol dire che ovunque Claudio andasse, alla chitarra, al piano o all'RD 1000, venivano comunque comandate sedici tastiere che erano sistemate da un'altra parte, controllate da un addetto a questo compito. Le tastiere che abbiamo usato erano: l'RD 1000, che aveva campionati i suoni del piano, piano Fender e via dicendo; il Kurzwail, due Roland MK80 Super Juppiter, sei expander della DX-7, di quelli a rack, due TX-7, una DX7, due campionatori Akai 612, un campionatore Akai 900, una batteria RX 11 e un QX-1. Come chitarra abbiamo usato, nelle prime date, la mia Steinberger con i pickup per il guitar-synt Roland. In seguito abbiamo preferito usare il convertitore Shadow collegato ad una Stratocaster Squier.
Abbiamo invece avuto dei problemi per quanto riguarda l'acustica: esclusa la Ovation, che Claudio trovava troppo dura, abbiamo optato per la Gibson Chet Atkins, che è una chitarra fenomenale. Il problema è che avrebbe avuto bisogno di qualche modifica per pilotare le tastiere attraverso il MIDI. Durante la tournée ne abbiamo fatte parecchie, ma questa non abbiamo trovato il tempo di farla, anche se ci ripromettiamo di provvedere per il futuro. Il punto è questo: lo Shadow prende il segnale da rilevatori ceramici singoli posti sotto ogni corda. La Chet Atkins funziona con lo stesso sistema, per cui abbiamo tentato di pilotare lo Sbadow direttamente con quei pickup, visto che non volevamo modificare una chitarra così preziosa: sarebbe stato un peccato, nonostante tutto. Abbiamo allora provato ad aprire la parte elettronica della Chet Atkins per vedere se era possibile fare quello che avevamo in mente. In realtà si potrebbe fare, ma il segnale che esce dalla chitarra è troppo alto per il multiplex dello Shadow, per cui sarebbe stato necessario inventarsi un piccolo circuito che abbassasse tutti i livelli.
C'è anche da notare che internamente la Chet Atkins ha sei piccoli potenziometri a rotella che permettono di regolare individualmente il volume di ciascuna corda, ma anche al minimo l'uscita era sempre troppo alta. Non abbiamo avuto il tempo di sistemare questa faccenda durante la tournée, ma la prossima volta non ci saranno problemi. Ne abbiamo parlato anche con i tecnici della Shadow e della Gibson, anche perché sarebbe una cosa interessante da produrre in serie, senza alcuna controindicazione. Oltretutto all'interno della Chet Atkins, c'è posto per la scatola del multiplex Shadow. Si tratta di un circuito non molto complicato che però, come ti dicevo, non abbiamo avuto il tempo di progettare e costruire durante la tournée. Quindi la Chet Atkins era l'unico strumento collegato normalmente, come pure la Takamine. Tra l'altro la Takamine avrebbe un modello già predisposto per essere collegato allo Shadow, ma qui in Italia sembra non sia ancora disponibile, purtroppo; o comunque non lo era quando ci sarebbe servito.
Il concetto, insomma, era che, tramite derivazioni, dovunque Claudio si spostasse, quella postazione diventava master keyboard, ossia lo strumento destinato a pilotare l'intero complesso di apparecchiature. Le tastiere pilotate dalla master keyboard erano a loro volta regolate dal computer QX-1. E' chiaro che ad ogni brano i timbri di tutte le tastiere dovevano cambiare, per cui avevamo presettato ... Insomma, non volevamo fare una cosa alla Howard Jones, dove ci fossero parti musicali già scritte, ma l'idea era di avere un rapporto assolutamente umano con l'elettronica e i computer. Quindi noi avevamo splittato la tastiera in modo che ogni nota comandasse un determinato suono, ovviamente, sempre con quella nota. Per esempio: tutta la tastiera di base, ti dava il suono del piano. Poi sulla sinistra c'era il basso, separando dal resto quella parte di tastiera che andava bene per quei particolare brano e con il giusto timbro di basso, sempre per quel brano. Da quel punto in poi, la tastiera ti dava un altro suono, mentre dall'ottava in alto partivano altri strumenti per quinte e per seste ... Insomma, era tutto un vivisezionare la tastiera.

CHITARRE: E tutto cio', naturalmente, cambiava per ogni brano.

MINIERI: Certo, e quella era la cosa più difficile, per Claudio, perché lui stava lì dal vivo a cantare e ogni volta che toccava la tastiera i suoni che ne uscivano erano diversi. Mentre quella che lui suonava era la stessa chitarra del brano precedente o la stessa tastiera. Da un punto di vista mentale era uno scoglio difficilissimo da superare, pensaci bene. In alcuni brani per avere delle parti ritmiche senza dover ricorrere alla batteria avevamo ulteriormente complicato le cose. Diciamo innanzi tutto che non abbiamo mai cercato di fare giochi di prestigio tentando di riprodurre suoni conosciuti: abbiamo piuttosto tentato di inventarceli. Ora, quando Claudio faceva un accordo sulla tastiera o sulla chitarra ne veniva fuori, diciamo, un suono di piano; quando sollevava la mano veniva generato un altro impulso musicale di basso e con questo gioco di colpire la tastiera della chitarra e sollevare la mano si creava la base ritmica. Le cose si complicavano ancora di più quando avevamo programmato dei suoni ribattuti, che suddividevano ulteriormente le note. Tutto questo, però, era pilotato esclusivamente da Claudio, che poteva così cambiare a suo piacere la velocità dei brano senza avere il problema di suonare su parti predeterminate in modo ferreo.

CHITARRE: Quindi per Claudio voleva dire suonare con una tecnica completamente nuova.

MINIERI: Sì,, e se poi calcoli che fino all'aprile dello scorso anno Claudio non aveva mai praticamente suonato un sintetizzatore, ma in prevalenza pianoforte e piano Fender ... E' stato un lavoro enorme. Non solo, ma è stato anche molto rischioso fare una cosa simile dal vivo.

CHITARRE: Parliamo dell'amplificazione e dei monitor.

MINIERI: La marca dell'impianto era Maryland Sound, di proprietà della Britannia Row. Anche i monitor erano della stessa marca, assolutamente eccellenti. E' lo stesso impianto che usano Laurie Anderson, Eric Clapton, gli Eurithmycs, un impianto da alta fedeltà dalle caratteristiche eccezionali. Apparentemente il modulo è banale: la cassa dei basso ha quattro woofer JBL, per i medio alti ci sono quattro JBL da dodici pollici più un drive per le frequenze più acute. Ma la cosa più importante dell'impianto è che ogni cassa è alimentata da un SAE P.500, che in Italia non esiste. Ogni sezione ha un immenso stabilizzatore di corrente più un altro stabilizzatore solo per il palco. Ogni finale è alimentato direttamente dallo stabilizzatore con cavi di enorme portata tutti della stessa lunghezza. I cavi tra finali e casse sembrano tubi per l'acqua, tanto sono di grande sezione, per cui ti rendi conto che è un impianto curato in ogni particolare, come dovrebbe essere sempre.

CHITARRE: Finalmente qualcuno ha capito che i discorsi dell'alta fedeltà non sono validi solo tra le quattro mura di una stanza, ma vanno applicati anche durante i concerti.

MINIERI: Certo. E' incredibile vedere la cura che hanno posto in ogni particolare: i cavi sono addirittura marchiati Maryland Sound, perché loro vendono solo l'impianto completo e non i singoli componenti che poi tu magari colleghi con cavetti da niente che impoveriscono il suono. L'impianto comunque, l'abbiamo preso a noleggio dalla Britannia Row che ha l'esclusiva per l'Europa della marca americana. La Britannia Row, per inciso, è una ditta di service che appartiene ai Pink Floyd.

CHITARRE: Quali cambiamenti ci sono stati nel corso della tournée?

MINIERI: Ce ne sono stati soprattutto sugli arrangiamenti, tenendo presente che per noi gli arrangiamenti erano gli splittaggi della tastiera. Sì, c'erano anche cambiamenti melodici, ma cercavamo soprattutto trucchi per dare maggior spessore ritmico: molte tastiere, le avevamo programmate per dare una specie di ribattuti a tempo, per esempio ... Era tutto un modo molto strano di concepire gli arrangiamenti anche perché la cosa più interessante del tutto, a parte la tecnica che abbiamo usato, è stata la disponibilità di Claudio ad abbandonare completamente gli arrangiamenti originali dei brani, riconsiderandoli come se fossero pezzi nuovi.

CHITARRE: L'unica cosa che non siete riusciti a superare, almeno per ora, è l'ostacolo nato con la chitarra acustica.

MINIERI: Non proprio. A quel punto abbiamo preferito usare l'acustica solo in quanto tale, mentre in altri brani che potevano essere "acustici" abbiamo preso il segnale solamente dai rilevatori ceramici applicati alla Squier, i rilevatori Shadow che, se ci pensi bene, sono rilevatori acustici, per cui anche lì siamo riusciti a fare cose notevoli. In "Uomini persi", ad esempio, si parte con un armonico solamente, però fatto dalla DX-7.

CHITARRE: Che cosa intendi con "fatto dalla DX-7"?

MINIERI: E sì, perché attraverso Shadow noi continuavamo a pilotare tutte le tastiere con la chitarra. Quindi il suono di partenza era quello acustico dei rilevatori ceramici della Squier, poi questo armonico andava al sintetizzatore Shadow, alla DX-7 e solo verso la fine ne usciva un suono simile a un tappeto.

CHITARRE: Insomma, era tutto un fatto di preprogrammazione.

MINIERI: Certo, oppure anche di splittaggio, nel senso che decidevamo quale suono dovesse avere ogni corda della chitarra. Per essere più chiari, il basso continuo Claudio lo faceva sulla sesta corda, con il pollice. A quel punto doveva studiarsi una serie di rivolti che consentissero al basso di salire sempre sulla stessa corda, senza mai sconfinare sulla quinta corda. Doveva sempre salire di posizione. Nella parte centrale della tastiera c'erano poi dei cori di donna e in altre parti delle percussioni che lui poteva richiamare colpendo determinate note. Quindi era anche una questione di sintonia tra me e lui, di accordi presi tra di noi in modo che io non aprissi il canale delle percussioni prima di un certo momento del brano. Prima di quel momento Claudio poteva usare quella stessa nota, se gli serviva per un accordo: poteva usarla tranquillamente. Il problema era quindi quello di trovare sempre i rivolti giusti, che spesso erano anche quelli meno comodi.

CHITARRE: Dev'essere stato un lavoro mostruoso, perché per ogni brano avete dovuto decidere quali fossero i rivolti più convenienti per ciascun specifico momento dell'esecuzione.

MINIERI: Esatto. Sì, è stato un lavoro mostruoso. (ride).

CHITARRE: Quanto tempo c'è voluto?

MINIERI: Mah, in pratica abbiamo cominciato ad aprile passando venticinque giorni a casa mia per fare il grosso del lavoro. Poi abbiamo fatto un concerto a Lecce, che doveva essere unico; dopo quel concerto abbiamo deciso che ci andava di provare a proseguire per quella strada e siamo andati avanti.

CHITARRE: A questo punto parliamo della realizzazione del disco, che è digitale.

MINIERI: Aspetta, è necessario dire prima altre cose. Eravamo rimasti al fatto che qualunque fosse lo strumento suonato da Claudio, questo diventava una master keyboard. Il segnale, attraverso il MIDI, faceva suonare tutte le tastiere che, chiaramente, subivano prima dell'inizio del brano l'impostazione del patch e cioè l'assegnazione di quali suoni dovessero stare su quale ottava della tastiera, il modo di splittarli e via dicendo. Quando abbiamo cominciato a pensare di fare un disco io mi sono chiesto: "Come faccio a mettere sedici tastiere, la maggior parte delle quali stereo, su ventiquattro piste?". Senza contare che c'era anche la voce, alcune percussioni, le chitarre acustiche ... Era una cosa impossibile. A quel punto mi sono fatto un'altra domanda: "Perché devo registrare su nastro le sedici tastiere?". E in effetti non c'era nessun obbligo di farlo, perché potevo registrare su computer, attraverso il MIDI, l'intera esecuzione strumentale di Claudio.
Il mio computer, il QX-1, ha una definizione altissima: divide un quarto in 385 parti; ha un controllo di livello da 0 a 250 e cos¡ via ... Se registri su floppy l'esecuzione e poi la riascolti ti rendi conto che a tutti gli effetti è un vero e proprio registratore, tanto che lo chiamerei registratore MIDI, più che sequencer. In pratica mi registra nel computer quale nota è stata suonata, con quale tocco e quanto è durata. Allora registro l'esecuzione su floppy e poi faccio comandare dallo stesso floppy le stesse tastiere: in questo modo ho una perfetta e completa riproduzione dell'esecuzione. là chiaro che non mi conveniva più usare un normale registratore per le tastiere. In pratica, quindi, abbiamo registrato sul ventiquattro piste il pubblico, la voce di Claudio, un mix di tastiere per poter poi controllare la perfetta sincronia del tutto, una linea di frequenza per sincronizzare il ventiquattro piste col computer e basta. Sera per sera, poi, registravamo sul computer l'esecuzione strumentale.

CHITARRE: Sera per sera, quindi con le identiche possibilità di scelta dell'esecuzione migliore che avreste avuto con un normale registratore.

MINIERI: Esatto. Su ogni floppy disk c'entrava un'intera serata. Teniamo presente che avevo registrato le serate anche in un altro modo: con il V 8 della Sony. Il V 8 è un videoregistratore che può anche essere usato come un registratore audio digitale. E' relativamente economico, perché costa circa due milioni e duecentomila lire; può registrare digitalmente su sei tracce stereo (senza la possibilità di registrare singolarmente un solo canale dei due che compongono il suono stereofonico) e si registra solo una traccia stereo alla volta. Con una cassetta da novanta minuti puoi registrare anche tre ore di musica, perché anche a mezza velocità non hai alcun decadimento del segnale visto che il campionamento è fatto sempre alla stessa frequenza; il tutto vuol dire che su una stessa cassetta, visto che hai sei piste stereo a disposizione, puoi registrare fino a diciotto ore di musica digitale. Se pensi che una cassetta costa ventisei o ventisettemila lire ... Un'ora di registrazione digitale ti costa 1500 lire.
Tutto questo poi è venuto utile per il disco perché non abbiamo sempre avuto a disposizione il ventiquattro piste, l'abbiamo avuto per dodici concerti, mentre con il V 8 abbiamo registrato tutte le serate. Il segnale registrato dal V 8 era quello che proveniva dal mixer, e quindi registravamo tutto già in stereo digitale con risultati tali che cinque o sei brani del disco vengono proprio dalle registrazioni fatte con il V 8, perché abbiamo notato che in quei casi l'esecuzione era magica, c'era qualcosa che ci affascinava in particolar modo, così, anche se qualche errore c'era, abbiamo preferito usare per il disco quelle esecuzioni.
Ritornando al punto, ascoltando le registrazioni delle serate fatte con il V 8 sceglievamo i brani che ci sembravano migliori per il disco. Fatta questa scelta prendevamo il ventiquattro piste della serata, il floppy di quella serata, si risincronizzavano attraverso la frequenza di sincronizzazione e il gioco era fatto. In studio è andata così: ho portato le tastiere, le ho ricollegate tutte come nello spettacolo, il computer mi riproduceva esattamente l'esecuzione di Claudio, il ventiquattro piste mi dava la voce, il pubblico e il mix di tastiere, che mi serviva solo per controllo, per capire se la linea di sincrono era sempre perfetta ...

CHITARRE: Quindi ti limitavi ad ascoltarlo in cuffia ...


MINIERI: Sì, era solo un controllo che facevamo all'inizio per vedere se l'aggancio era perfetto o se c'erano disturbi di registrazione sulla linea di sincronizzazione.

CHITARRE: Quel mix potevate usarlo anche per ottenere un effetto ambiente.

MINIERI: Sì, esatto. Infatti abbiamo avuto dei problemi con il ventiquattro piste perché lo usavamo ad alta velocità e magari una parte dell'esecuzione era finita sulla coda del nastro ed era inutilizzabile. Per noi non costituiva un problema perché prendevamo la parte dal computer. Il problema nasceva solo con le parti cantate. In studio, quindi, le tastiere le mandavo direttamente sul 1630 Sony, sul master digitale, senza neanche registrarle sul ventiquattro piste; per cui si può tranquillamente dire che è un disco a metà tra il digitale e l'analogico. Il compact, in pratica, è un DDD, a parte la voce di Claudio e il pubblico, che sono le uniche due cose registrate in analogico, fatta eccezione per i brani ripresi dal V 8.

CHITARRE: Anche il pad percussivo che Claudio aveva sul petto durante lo spettacolo era comandato nello stesso modo?

MINIERI: E' successo con "Ninna Nanna", dove avevamo bisogno di un altro gene-
re di percussioni, e non c'era altro modo per ottenerle. Sì, era comandato nello stesso modo. Era un po' come fare del solfeggio, per lui, e ha funzionato bene. In "Ninna Nanna" serviva una specie di colpo di cannone, e quello era, tutto sommato, il sistema più semplice per ottenerlo.

CHITARRE: Ne risulta un uso molto umano dell'elettronica.

MINIERI: Certo. Il punto focale di tutta la storia era proprio questo: Claudio doveva avere il massimo di libertà nell'esecuzione, doveva essere lui a controllare tutto.

CHITARRE: Ora cosa può fare Claudio? Questo mi sembra un punto di non ritorno.

MINIERI: (ride) Infatti. Indietro non ci può ritornare. Non può farlo né credo che voglia, perché è molto affezionato al risultato musicale del tutto. Al fatto di aver studiato tanto: ora suona in maniera totalmente diversa e --- migliore ---di prima. Quando Celso Valli ha ascoltato le registrazioni ha notato subito che esiste una simbiosi perfetta tra la voce e lo strumento, cosa che sarebbe molto difficile ottenere ricorrendo ad un altro musicista. Al tempo stesso queste soluzioni gli hanno permesso di non presentarsi come il "solito" cantautore con chitarra e voce, che può anche essere noioso, dopo due ore che lo ascolti. Ha scoperto un altro mondo musicale, un modo diverso di arrangiare, di suonare. Vedi, c'è anche un'altra cosa. lo credo - e l'ho spiegato a Claudio prima ancora di iniziare - che uno strumentista non potrebbe usare bene questo sistema, perché inevitabilmente cadrebbe nella tentazione di usarlo per fare dei giochi di prestigio, cose sbalorditive, ma inutili. E' il compositore quello che può davvero avvantaggiarsi da questo sistema, perché è lui che ha l'idea della composizione in testa e si limiterà ad usare il sistema solo per dare corpo al sogno musicale. Uno strumentista perderebbe la testa, in tanta abbondanza, e poi comincerebbe subito a chiedermi il suono di quello o quell'altro strumento, il che è sbagliato.
Claudio non aveva questo vizio mentale tipico degli strumentisti: quando gli proponevo un suono si limitava a dirmi se gli piaceva o no, se poteva utilizzarlo e in che modo. Non mi ha mai chiesto i fiati o altri riferimenti su strumenti reali, come invece - lo so per esperienza - accade regolarmente con gli strumentisti. Credo che questo sia una chiave di lettura molto importante, e anche per questo non penso che Claudio possa tornare indietro. Tieni anche presente che lui ha studiato, ha suonato sette, otto ore al giorno, per sei mesi; era questo il ritmo. Questo gli ha consentito di fare progressi incredibili, che in gran parte, però, erano finalizzati a suonare con questo sistema; è difficile buttar via questo bagaglio prezioso, un'esperienza che ¬ stata grande da ogni punto di vista.

CHITARRE: Un'ultima domanda. E' possibile che sia tutto così bello? Quali sono i prezzi da pagare? La paura che un floppy si rovini o che una macchina impazzisca?

MINIERI: Sono cose accadute davvero, dal momento che stavamo al limite della sperimentazione. Tanto, per dirtene una: normalmente si consiglia di non usare cavi MIDI lunghi più di otto metri, quando noi in alcuni casi stavamo sui dieci metri. Abbiamo avuto problemi anche con il "fumo" scenico, che sporcava i floppy disk, ma ... Avevamo due di tutto, o quasi, e all'occorrenza, in una decina di secondi, potevamo cambiare tutto. Anche le Squier erano due, senza contare che avevamo di riserva anche una chitarra synth Roland. Per buona parte della tournèe avevamo doppio anche il computer; insomma, i problemi che potevamo avere ed abbiamo avuto non sono certamente stati superiori a quelli che si hanno in una normale tournèe. Permettimi, infine, di citare e ringraziare i miei due collaboratori alla realizzazione del disco: Marco Ruffa e Gianrico La Rosa.

Articolo segnalato da Cecilia.