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del 13/04/84

Il Messaggero
Quando mi chiamavano agonia

di Claudio Baglioni

C'è stato un tempo in cui vestivo maglioni neri a collo alto e venivo chiamato Agonia. Era il mio soprannome. E spartivo quei giorni col Sorcio, il Volpe, il Mastino, il Galleggiante (detto così perché faceva l'idraulico), Belli-capelli, Rodolfo "Lavandino", il Playboy, il Pacifico e il Sommo. Che farebbe pensare a qualcosa di eccelso, di altissimo, grande e sublime, invece Sommo era la contrazione di Sommergibile, a cui tanto si avvicinava e assomigliava la testa craniosa e allungata in orizzontale di quel nostro amico. Per lo stesso motivo diventò in altre occasioni il Sigaro e persino il Siluro. Così ci piaceva chiamarci e scherzare tra noi.
Mi ricordo che lo stesso avveniva dalle parti di mio zio contadino dell'Umbria. Là, usavano da così tanto tempo questi nomi inventati, e addirittura li ereditavano i figli dai padri, che s'era persa memoria del vero cognome e si conoscevano quasi solo col nuovo. E a me, che ero piccolo piccolo, quella gente che si chiamava Pipetta, Tappo, Brillo, Calzetta, Muccifora, Serpicone, Picchietto, Meconero, Burbicone, Bagnorea e Mollichella. mi sembrava un po' strana ma pensavo che cognomi cosi buffi e ridicoli fossero messi apposta per distinguere le persone della campagna da quelle della città, che li avevano più seri, importanti e normali.
Pure gli artisti, e i cantanti fra questi, usavano spesso (adesso un po' meno) nomi di fantasia che, nel caso in questione, si chiamano, noblesse oblige, nomi d'arte. E certi cognomi un po' troppo lunghi o difficili, magari, da dire o da ricordare o quelli che si prestassero a scherzi e a impronunciabili rime vengon presi, limati, riverniciati, tolti o cambiati del tutto. In altri casi c'è un nomignolo che porta bene o che si è avuto da sempre. In altri ancora è un po' voglia di emulazione. Rammento una ragazza ammiratrice incondizionata di Rita Pavone, uguale a Rita Pavone, che cantava come Rita Pavone e che sostenne un provino per incidere dischi con il nome d'arte di Rita Tacchino.
A me, quando mi presentai, ripeterono in tanti: "Complimenti per le canzoni e anche il nome va bene". Così me la cavai. Sennò ci sarebbero stati uffici stampa, impresari ed agenti, pronti a fare, disfare, creare e donarmi, come al fonte battesimale, quella parola magica e quel modo nuovo con cui la gente mi avrebbe chiamato per tutta la vita. Pensando, chissà, se ad un diminutivo o a un liquore o a quei nomi che si usano tanto nei fotoromanzi e sceneggiati tivvù. O, magari, un nome che potesse essere buono per l'estero e una pronuncia straniera.
In questo problema precipitò un cantante esordiente che partecipava, con poche speranze, mormorò un concorrente rivale, a un festival degli sconosciuti di Ariccia. Alberto Guadagnini erano il nome e cognome che mamma e papà gli avevan lasciato. Si ribattezzò, se medesimo, Berto De Guadagnis e così andò avanti per un po' di tempo. Poi, cercando una dimensione più internazionale passava, mi disse, giornate di dubbio tremendo non sapendo più scegliere tra Joe California e Frank Colorado.

Articolo segnalato da Cristiana.