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del 16/03/84

Il Messaggero
Metti il cantante nel video

di Claudio Baglioni

Ai tempi di scuola, l'unica cosa che alla fine valesse realmente era la promozione. E, quanto è vero che gli esami non finiscono mai, pure adesso che faccio il cantante, la promozione è un problema ogni volta. E non è come quella di un tempo, che era chiudere un anno ed un foglio con i voti e la firma del preside e passare alla classe seguente. Promozione oggi, invece, è cosa fare per fare re-clamizzare un disco. E' la pubblicità, le interviste, i programmi al-la radio e specialmente "il passaggio in tv". La tv, ecco quello che conta. E' per questo che, nelle case di dischi, sta emergendo, ogni giorno di più, la figura del datadòr. Che sarebbe poi come un goleador che invece di segnar punti e portare pericoli alle reti avver-sarie, si segna le date sul taccuino e porta più cantanti che può alle reti televisive.
Ogni data, siamo in pieno Far West, è una tacca. E costui, meglio detto promoter (questo nome non vi dà un po' l'idea di quei tetri guerrieri degli anni Duemila nel film di fantascienza e di azione?), temutissimo da programmisti braccati e funzionari tv, coccolato dai "suoi" discografici che ne controllano in speciali classi-fiche, tipo capocannoniere, lo stato di grazia, si arrabatta, da mane a sera, a cercare spazi in televisione e promuovere il disco. Combattendo, implorando, strillando, singhiozzando od usando ricatti, ogni giorno s'inventa occasioni per riuscire a infilare il cantante in rubriche di cibi e bevande in notiziari televisivi, tra quiz, test e sport, allunaggi, sfilate di moda e risultati delle elezioni. Così può cantare, alzandosi dalla poltrona, un "pezzo" tratto dall'ultimo album. L'importante non è come si fa, basta solo che questo si faccia e la faccia sia sempre in tv.
Senza contare le manifestazioni. Quelle solo canore. Quelle cose mostruose, tentacolari che durano tre o quattro giorni, per quat-tro-cinque ore ogni volta, con centoventi cantanti ciascuna, a cer-car di fare bene il play-back e a non sciogliere il trucco ad intona-co. I conduttori che chiamano a terne, quaterne e cinquine gli arti-sti, così si risparmia del tempo. Le canzoni sfumate proditoria-mente al refrain col cantante che come un pesce continua a muovere la bocca, senza voce né musica, finché non lo portano via (il cantante-pesce dopo tre minuti puzza) e l'altro che arriva di corsa, con la canzone iniziata già da un minuto. E quelli che restano dietro le quinte, attenti a non perdere il posto in fila, conquistato dopo un'enorme bagarre per l'ordine d'uscita, prima che il telespettatore si ritrovi le orecchie divelte. Si consigliano ai signori cantanti nomi più corti o nomignoli monisillabici per guadagnare secondi.
Il mio primo e impossibile amore con la grande tv fu per un "Quindici minuti con …" che sarebbero, poi, che sarebbero diventati sette e mezzo perché li dovetti spartire con un'altra cantante. Fu a Milano dopo un viaggio in vagone-letto, una notte di sete, di caldo, di freddo e di claustrofobia. Poi, due occhi alla Ezechiele lupo, cantai guardando dentro il buco di vetro di una telecamera accesa, e dietro tutti parlavano, ridevano e gliene fregava assai poco. Ne fui deluso. Ed è per questo, può darsi, che ancora oggi, andare in tv mi mette a disagio e lo faccio di rado.
Ma ora arrivano i video. Quei film fatti sulle canzoni, che hanno sempre lo stesso colore un po' grigio, violetto o blu notte. Con le donne che guardano, enigmatiche e dure, tacco a spillo su asfalto, muri e nebbie che non hanno fine, distruzione di vetri e di auto scoperte, pipistrelli, tarantole e lupi mannari, lombriconi e altre schifezze. L'ho sentita chiamare: musica da vedere. Resta sempre e comunque importante fare buona la musica da sentire e lasciare a chi ascolta di usare la sua fantasia e inventarci ogni volta un'immagine nuova. Mio zio nelle sere di tanti anni fa guardava il fuoco. Adesso accende la televisione e poi chiude gli occhi così gli sembra di sentire la radio.

Articolo segnalato da Cristiana.