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del 01/04/83

Poster Music
L'artista

Cantastorie d'amore



GLI ANNI SETTANTA, che hanno imposto a livello massiccio un nuovo tipo di interprete - quello che è anche l'autore di ciò che canta - offrono vari livelli di lettura. Si è parlato di "scuole" per evidenziare, più geograficamente che non culturalmente, le varie caratteristiche dei cantautori, impegnati o meno, il contenuto non sempre sociale del loro cantare e, ovviamente, il successo decretato dal pubblico. Dai primi anni Settanta ad oggi non è mutata l'immagine del cantautore. Diciamo che si sono avute modificazioni anche troppo repentine, nel terreno d'azione: fermo restando il "modo di porgere", sono cambiati i contorni, quelli che portano, seppure in misura limitata, ad influenzare poi anche i contenuti. Lo sviluppo dei mass media e gli spazi sempre più grandi per i concerti, se da una parte hanno favorito l'approccio (più immediato che in passato) del pubblico con dischi ed esibizioni dal vivo, d'altra parte è pur vero che si è assistito ad una spersonalizzazione dell'evento musicale. Prima, l'artista era abituato a cantare le proprie composizioni in piccoli spazi, in contatto quasi diretto con il pubblico. Oggi si trova davanti migliaia di persone, che lo idolatrano aspettando di essere guidate, capite, attendendo, se non un "messaggio", almeno una parola che le consoli da tante ansie e frustrazioni.

DOPPIO DISCO. Al riguardo, per quanto detto sopra il caso di Claudio Baglioni è emblematico. Da tredici anni in attività, sta ottenendo un notevole successo di vendite con "Alé-Oò", il doppio disco registrato durante la tournée della scorsa estate che presenta un excursus della sua lunga carriera. Sono mesi d'oro, per Baglioni. Fin dall'uscita di "Strada facendo" è uno dei cavalli vincenti della musica leggera italiana. Soprattutto se si considera questo particolare momento discografico: il pubblico va "catturato", il mercato non "tira". In più, non è da trascurare la crisi dei concerti manifestatasi in piena estate 1982: molti nomi, anche noti, hanno fallito, forse a causa di spettacoli troppo standardizzati per richiamare folle numerose. Proprio in questo momento, tuttavia, in cui sembra di assistere a una svolta nel panorama musicale italiano, Baglioni è più che mai sulla cresta dell'onda, forte anche di un pubblico fedele che lo segue sempre. Della colonia "romana" dei cantautori, Baglioni è subito apparso meno intellettuale rispetto a Francesco De Gregori, meno arrabbiato se paragonato a Riccardo Cocciante (che romano è solo d'adozione), meno "radical chic" di Antonello Venditti. Rispetto ai tre nomi citati, Baglioni, all'inizio della sua attività, si distingue per la diversità delle sue canzoni: non ci sono messaggi né proclami, né formule magiche. E evidente invece un'abilità particolare nell'osservare il mondo che lo circonda, nel proporre storie decisamente normali, piccoli affreschi di vita anche quotidiana, in cui i testi dichiaratamente descrittivi fanno da veicolo alle emozioni. Le sue canzoni raccontano momenti comuni, resi toccanti da leggeri riferimenti autobiografici. Con poca rabbia e molto romanticismo, Baglioni non "violenta" il pubblico. Rifugge dalle forzature, lasciando a ciascuno di coloro che lo ascoltano la possibilità di riconoscersi nelle sue parole, oppure di godere liberamente di un semplice momento musicale.

TRADIZIONE. La produzione del cantautore romano è una sorta di sintesi tra la tradizione melodica italiana e la sua vena personale. In "Una favola blu", "Isolina" e "Notte di Natale" (che appartengono al suo primo LP, "Un cantastorie dei giorni nostri"), i versi sono in rima baciata secondo la migliore tradizione italica. C'è anche qualche tentativo di trasgressione, come in "Signora Lia", una ballata che accenna alla condizione della donna come moglie­casalinga, insoddisfatta e ignorata dal marito. L'approccio di Baglioni con varie tematiche è comunque filtrato attraverso quella sensibilità, tutta personale, che negli anni seguenti sarà una delle caratteristiche che lo imporranno al grande pubblico, ma che agli inizi si traduce in una visione della vita basata su di un'unica certezza: l'amore, il sentimento. E, di conseguenza, gli affari di cuore, le cotte, l'innamoramento, la lontananza, le fughe da casa. Le sue canzoni assurgono quasi a "inni" di una fascia di pubblico grazie a certe situazioni tipicamente adolescenziali: l'ingenuità, il divertimento, l'amicizia, la macchina, il servizio militare. Ovvio che i giovanissimi riconoscano, o comunque apprezzino, questo modo particolare di intendere l'esistenza. Di fare canzoni con un linguaggio sintetico ed essenziale e, soprattutto, con un supporto musicale che non cede mai, non si lascia influenzare dalle produzioni straniere imperanti nel nostro Paese. Le scelte melodiche di Baglioni, dunque, sono il degno accompagnamento di testi comprensibili, immediati, all'opposto di certo ermetismo alla De Gregori, del populismo alla Venditti o della squisita cultura alla Vecchioni.

TRIONFO. Baglioni si avvia a diventare un big: nel 1972 "Questo piccolo grande amore" è il suo primo trionfo a livello di vendite (il 45 giri resta in classifica per diversi mesi). Due anni dopo la colonna sonora dell'estate è "E tu..", che riscuote un successo incondizionato, enorme, portando al romano una popolarità da "divo". Il perché di un tale seguito non è poi così difficile da trovare: le canzoni di Claudio Baglioni espongono temi e situazioni che tutti hanno vissuto, puntano l'obiettivo sulle emozioni di un incontro, su quelle atmosfere create da spiagge e tramonti ("Accoccolati ad ascoltare il mare/ quanto tempo siamo stati/ senza fiatare...": è l'inizio di "E tu..."), da sempre tema ricorrente nelle canzoni dell'estate. L'amore è puro, mai contaminato, idilliaco e soprattutto romantico. In questa direzione muovono le canzoni di Baglioni, anche "Sabato pomeriggio", un altro successo. Nel 1975, però, il ritornello è quasi urlato a squarciagola ("Senza te/ morirei/ senza te/ scoppierei/ senza te/ brucerei/ tutti i sogni miei..."), inserendosi efficacemente nel clima appassionato della canzone. Solo di rado ci sono variazioni sul tema, ad esempio in "Poster": la fuga dal quotidiano, senza scavare troppo in profondità, è analizzata prendendo spunto da chi aspetta il metrò per andare a lavorare, e guarda gli altri: le donne con le borse dell'Upim, il bambino che "si tuffa dentro ad un bignè", sullo sfondo di un invito ad andare lontano che arriva da un manifesto "Vieni in Tunisia". La facilità di imporre un tale quadro di vita è evidente: non si offrono soluzioni, non si danno "messaggi" (magari sul come migliorare questa vita). L'amore, sempre presente ("... e due ragazzi stretti stretti/ che si fan promesse per l'eternità..."), è visto in un'ottica di candore, è atemporale e lontano dalle brutture di tutti i giorni.

NUOVA ETICHETTA. Dopo i primi sei album, tutti incisi per la RCA, Claudio Baglioni, con risvolti polemici e accuse di presunte violazioni contrattuali, cambia etichetta. Approda alla CBS, filiale di un'altra multinazionale che tenta di conquistare il mercato italiano con artisti nostrani. "E tu come stai?", realizzato in Francia nel 1978, ottiene un notevole successo, dimostrando come il pubblico segua costantemente Baglioni. Dopo, un lungo periodo di inattività, Claudio supera le sue crisi e arriva, nel 1981, a "Strada facendo", che sembra quasi un invito a vedere la vita sempre e comunque con grande ottimismo. E ciò che fa lui, d'altronde, gettandosi con entusiasmo in un avventura "live" che darà poi vita ad un doppio album. Nel mezzo, il magico momento di "Avrai". Magico perché "cattura" la sensibilità anche di insospettabili rockettari, che si scoprono ad apprezzare quella lucida sensibilità che crea la "poesia" di Baglioni. Entra in ballo anche il "privato" del personaggio, e, dopo tanti anni di segreti difesi con i denti, è certamente un ulteriore elemento di contatto. L'Italia che compra i dischi, che va ai suoi concerti, si sente più vicina a lui. E il brano, inutile dirlo, è un successo. A trentadue anni, Claudio Baglioni è un big in piena regola. Tiene in pugno il suo pubblico, con sensibilità, intelligenza, delicatezza. Quelle stesse doti che lo hanno portato, da quel lontano 1970, a diventare uno tra i più amati cantori italiani.

Microfono aperto
Mister Semplice


E PENSARE che è un "big" grazie a una scommessa, a un polemico atto di testardaggine. Un singolo e un album alle spalle, una partecipazione alla Mostra di Venezia, la vittoria a un Festival in Polonia non erano sufficienti perché Claudio Baglioni, giovane semi­sconosciuto con occhiali e chitarra sulle spalle, si sentisse realizzato. Nel '71, gli mancava la fiducia di chi lavorava con e per lui, dei responsabili della sua casa discografica. Per tante cose da dire, erano poche le speranze che qualcuno le capisse: al punto che stava per chiudere un capitolo della sua vita senza ripensarci due volte. Ma la tenacia ebbe il sopravvento. E nacque la scommessa.
"Entrai in studio quasi di nascosto - ricorda Claudio - in pochi giorni registrai tutto il materiale preparato in mesi di lavoro. Cantai e suonai con rabbia. Ecco, sentite quello che so fare, pensavo. Ma ero anche convinto che nel mio futuro non ci sarebbe stata più musica. Diventerò architetto, mi dicevo mentre incidevo "Questo piccolo grande amore...". Non era destino, evidentemente. Fu successo grande, furono vendite, popolarità. Fu l'inizio del lungo cammino, ormai ultradecennale, di Claudio Baglioni.

Come mai, quando si parla di te, non si riesce mai a prescindere dal passato, da "quella sua maglietta fina" che diventò il simbolo di una nuova libertà?
"Forse perché, da quel passato, non mi sono mai staccato neanche io. L'ho dimostrato nei concerti: quasi tre ore di musica, per sacrificare il minor numero possibile di canzoni, per accontentare tutti".
In dieci anni, allora, non sei cambiato?
"Maturato sì, cambiato no. La sincerità con cui ho sempre composto i miei pezzi mi permette di cantarli ancora con entusiasmo".
Tutti, nessuno escluso?
"Beh, qualcosa non la riscriverei, oggi. Ma è logico che a vent'anni, cedessi a impulsi infantili".
Veniamo al concreto. Quali sono i titoli che butteresti giù dalla torre?
"Come faccio a dirli? Sarebbe la classica zappa sui piedi, visto che mi vengono richiesti ancora, che li eseguo ancora, sia pure con nuovi arrangiamenti...".
Un titolo solo, allora, tanto per capire.
"Due: “E apri quella porta”, “Miramare”. Ma non li rinnego, perché avevano e hanno una loro dignità. Mi fanno tenerezza, ecco".
La tua carriera è segnata da lunghe pause. Più di una volta Claudio Baglioni è stato in crisi: smette, non smette, si diceva. Cambia casa discografica, cambia genere, cambia lavoro. Perché tanti ripensamenti? Perché parlare di crisi, quando il pubblico è sempre stato dalla tua parte?
"Sono stato ingannato dall'ambiente. Il mio amore per la sincerità si scontrava spesso con l'esigenza di fare un disco all'anno. Un disco significa promozione, interviste passaggi televisivi. E io non me la sentivo di lavorare a scadenza di occupare tanto del mio tempo in cose che consideravo superflue".
Era una questione di ritmo dunque?
"Sì, ma non solo. Dipendeva - e dipende - dal mio carattere, dalla mia attitudine a non dare niente per scontato, a rimettere in discussione ogni cosa. Forse qualcuno potrà sorridere, ma io sono sempre stato sincero, quando ho parlato di crisi, anche drammatiche. Non voglio dire che stavo in casa tutto il giorno a piangere sui miei guai: le crisi, a volte, possono essere perfino di felicità. Ma i dubbi che ti impediscono di vedere chiaro nel presente, nel futuro, per uno che fa il mio lavoro possono essere veramente ostacoli insormontabili".
Uno che fa il tuo lavoro, però, è anche un privilegiato.
"E io lo sono, privilegiato. Lo scoprii tanto tempo fa, quando mi cominciarono ad arrivare valanghe di lettere. A parte le richieste di autografi, di foto, ogni lettera portava con sé una piccola storia; ogni amico mi raccontava un pezzetto della sua vita, guidato dal desiderio di farsi conoscere, di comunicare. Ecco, io per farmi conoscere, per comunicare, ho i dischi, i giornali, la radio, la televisione. Sono un privilegiato, sì. Ma non riesco a non pensare alle responsabilità che comporta il mio privilegio. Al pubblico che è sempre stato dalla mia parte devo perlomeno la coerenza".
Era coerenza anche l'abitudine di offrirti col contagocce, in rarissimi concerti, poche interviste, sporadici passaggi televisivi?
"Allora pensavo di essere nel giusto. Poi per fortuna ho capito che sbagliavo. Dico per fortuna perché sono convinto che a guadagnarne sono stato soprattutto io. Avevo un idea totalmente errata dei concerti...".
E cioè?
"Non mi piaceva il concetto dell'“idolo” che sale su un palcoscenico per farsi adorare. Che scambio ci può essere, mi chiedevo, tra me che canto, isolato, lassù in alto, e una miriade di "capoccette" appena distinguibili nel buio?".
Oggi puoi dire che scambio c'è?
"A parlarne si diventa retorici. Comunque c'è molto più di uno scambio. Ripenso alla mega­tournée della scorsa estate e ancora mi vengono i brividi. Il pubblico, tutto quel pubblico, mi ha fatto capire molte cose. Mi ha dato la carica per realizzare un doppio album dal vivo. Mi ha dato il titolo, per quell'album. Non avrei mai pensato di chiamare un disco "Alé-Oò", eppure alla fine della tournée mi è sembrato l'unico titolo giusto. “Alé-Oò” era la canzone con cui si chiudevano quasi tutti i concerti. Ma il bello è che partiva dal pubblico, che l'ha insegnata a me, per cantarla insieme, perché potessimo dire "noi", e non più io e “voi”".
E adesso? Quella festa appartiene al passato. Cosa c'è nel tuo futuro?
"Un po' di sana promozione all'estero, per il momento. Ho inciso un disco in francese, ad esempio. Per quanto riguarda l'Italia, posso dire che manterrò fede alla promessa racchiusa in quella sestina sul retro di "Avrai": un modo per dire che... "strada facendo" arriverò a un capitolo secondo di questa mia nuova giovinezza".
Perché sei così geloso della tua vita privata? Oppure il segreto mantenuto per anni sul tuo matrimonio con Paola, ad esempio, era un calcolo preciso, per rimanere il fidanzato di tutte le tue fan?
"Per carità! Hanno detto di me che sono un divo, ma il divismo è la cosa più lontana dal mio modo di sentire. La vita privata... Non è esatto dire che ne sono geloso. E' che mi sembra ridicolo parlarne. Che senso può avere una... cronaca dei miei sentimenti, della mia vita di tutti i giorni?".
Eppure, i riferimenti di "Avrai" alla nascita di tuo figlio Giovanni erano precisi.
"Seguii l'istinto, in quei giorni. Partii per andare a registrare il disco, abbandonando tra l'altro mio figlio, che era appena nato. Devo dire che, a cose fatte, mi pentii un po'. Mi sembrava, appunto, di aver messo in piazza la mia vita privata. Ancora una volta, però, il pubblico è stato dalla mia parte: ha capito che non era il papà Claudio che parlava del bambino Giovanni. Ha capito che ero solo uno dei tanti giovani che, davanti a un figlio, sono divisi tra la nostalgia dell'infanzia e la paura del futuro. Ma che nonostante tutto esprimono il loro atto di fiducia nei confronti della vita".
Porti le lenti a contatto e ti stiri i capelli. Sei vanitoso?
"Sì. Non credo ci sia niente di male. Lo siamo un po' tutti, no?".
Cosa consiglieresti a un diciottenne che, come te nel '68, decidesse di vivere con la musica?
"Da "anziano" quale sono, mi spaventa la facilità con cui i nuovi artisti entrano in sala di incisione per un 33 giri. Ai miei tempi, un album era il frutto di anni di lavoro, di esperienza. Oggi ho l'impressione che, se un giovane si presenta per incidere un 45 giri, lo guardino storto. Ecco, a un ragazzo io consiglio di pensare prima di tutto ad arricchire se stesso, di guardare il mondo, le cose semplici. E impossibile "dire", se prima non si è incamerato niente".
Chi è Claudio Baglioni, secondo te?
"E' un uomo fortunato. Uno che ha la fortuna, cioè, di non essere mai soddisfatto, pago. Di nutrire sempre una profonda curiosità per le cose della vita, di non avere mète prefissate. Ed è convinto che questo sia un vantaggio".


Articolo segnalato da Antonio.