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del 25/08/00

La Gazzetta del Sud
Straordinaria "notte di note" nel concerto taorminese

Il "sogno" di Claudio Baglioni

di Sergio Di Giacomo

TAORMINA - Sembrava tutto sospeso, quasi rarefatto, con quell'aria sbarazzina d'agosto, le candele accese tra le colonne, come per un rito d'altri tempi, e quello sguardo tra cielo e mare, un unicum che rende speciale questo lembo di Sicilia. Un'atmosfera rarefatta che ha accolto la favola di melodie e versi del «Sogno di una notte di note», il tour acustico che Claudio Baglioni sta effettuando tra i siti artistici e storici del nostro Paese. Un viaggio speciale nel repertorio del cantautore che ama continuamente mettersi in discussione e che anche questa volta ha voluto dare un tocco nuovo e levigato alle sue creature poetiche. Uno spettacolo lungo tre ore e un quarto - come solo Baglioni sa creare instancabilmente senza vuoti e con la solita verve dialettica - acclamato da cinquemila spettatori che hanno affogato rigorosamente in piedi - come mai si era visto al teatro greco - ogni più piccolo spazio dell'arena: ragazzi, giovani fan fedelissimi, intere famiglie, quarantenni alla ricerca di emozioni antiche e di entusiasmi nuovi, e con loro un richiestissimo Fabio Fazio con consorte. Sul palco, a simboleggiare la semplicità della proposta artistica che - annota l'artista - vuole regalare «note, parole, suggestioni in tempo reale», una lavagna, un mulino a vento, una ruota di carta, un leggio, tutti di legno, a coronare il podio troneggiato dal pianoforte nero e dalla band velata dalle luci sincretiche curate con maestria da Pepi Morgia. I versi shakesperiani di «Sogno di una notte di mezza estate» e la polvere magica di una fatina dà il via tra fumi rosa e blu al fiume del malinconico sguardo sul mondo di «Notte di note» che evoca ricordi rimbalzi a bruciapelo, stelle distratte, «risvegli salati di mare», cuori affaticati, giornate che si aprono e si chiudono tra «nubi d'inchiostro» e «curve di cielo». Quasi una parabola della «speranza di luce» che echeggia in «Io dal mare» e le visioni oniriche delle «stanze di Nettuno», del mare «che fu madre», mentre in «Naso di falco» ritornano domande assordanti scavate di scottante attualità (Ustica Chernobyl, l'Italicus...) a ricordare l'animus impegnato e poco valorizzato di molte delle sue canzoni. «Poster» scivola come una marcia cadenzata, a introdurre l'ariosa e nostalgica «Ragazze dell'est» che Baglioni canta come una cartolina di versi di quei «laghi gemelli» mai dimenticati. «La piana dei cavalli bradi», inedito dal vivo, serve a ricordare quegli «stenditoi del cielo» di chi cavalca praterie di vita in libertà e nostalgie del futuro, come camminano leggeri nell'«aria puttana» i protagonisti dell'allegra filastrocca di «Io lei e la cana femmina». È l'ora del medley («sono canzoni nate con la chitarra che mi porto sempre al letto», dice con simpatica sincerità) il primo dei cori profumati d'adolescenza eterna: «Ragazza di campagna», «Chissà se mi pensi», «Doremifasol», «Lampada ad Osdram», «Puoi», «Un po' di più», la struggente «Reginella», che si sospira come un ballo lento. La recentissima «Un mondo a forma di te» scarnificata con la sua «malia» si addobba di cantilena dolce, «Noi no» è un coro travolgente, lo stesso che qualche anno fa gridò alla Favorita di Palermo la rabbia contro la mafia. Entra la seconda parte, una clessidra ricorda la levità del tempo e Baglioni in gilet e il suo piccolo tamburo crea i ritmi balestrati e di alto lirismo di «Tamburi lontani» e la sua «malattia di vivere» tra paternità, amicizie incrociate, amori rincorsi, gli stessi che si incontrano leggeri in quel dipinto alla Renoir che è «Fotografie». La «notte» si apre alle nuove versioni di «Bolero», quasi un canto soul, «Domani mai dance», «E adesso la pubblicità» che ricorda il jazz freddo. «Fammi andare via» - allungata e quasi stappata - è un grido strozzato di un'eutanasia d'amore che i ragazzi ascoltano in rigoroso silenzio e poi salutano con applauso commosso. «Avrai» (forse la vera «canzone del secolo»), ha 18 anni come il figlio a cui è dedicata («un omaggio che ha contagiato tutti i miei colleghi, per fortuna poco prolifici!»), è una ninna-nanna rap che si beve al soffio delle candele. Prima che «Via» mandi giù il teatro e che i «Titoli di cosa» nel lungo bis e il saluto alla straordinaria band (Danilo Rea al piano, Paolo Gianolio alla chitarra, Paolo Costa al basso, Giovanni Boscariol alle tastiere, Gavin Harrison ed Elio Rivagli alle batterie) come un pianto antico e la voce rauca accompagnata dal singhiozzo del pubblico chiuda il sipario di questo speciale «sogno».

Articolo segnalato da Aurora.