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del 16/03/00

La Stampa
Malinconie del giovane Baglioni
Tecnologia e Zen

di Ilaria Ulivelli

FIRENZE Se fosse un dipinto sarebbe «Guernica» di Picasso. Ma quell'harem
ipereccitato di chitarriste figlie del demonio che, nel balletto liberatorio
di «Fammi andar via», dà fuoco all'anima bianca di Claudio Baglioni,
stravolge i colori e le geometrie della perfezione per perdersi nel sogno.
Nella meraviglia e nello stupore di un uomo che vede il mondo con occhi
nuovi. Baglioni lascia senza rancore un passato che non gli appartiene più -
salvo poi reinterpretarlo con nuovo impeto nei suoi «classici» - per
compiere il suo destino in un percorso senza limiti e confini, determinato
nella missione impossibile di fermare il tempo.
E' il quadro iperbolico di una realtà sfuggente, quello che Baglioni dipinge
a tinte forti nel tour che è partito ieri dal palasport di Firenze, dove si
fermerà per altri tre giorni. E' stata l'eco dolceamara dei «Tamburi
lontani», a regalare l'incipit a questa nuova scommessa del musicista
romano. La voce di Cloud, narratore virtuale, introduce i nuovi 12 brani
dell'album «Viaggiatore sulla coda del tempo» e descrive la rotta di un
viaggio nel tempo alla ricerca di sé. Quasi tre ore di concerto che
esplodono nella potenza dei loop dal vivo delle batterie di Gavin Harrison,
nelle luci allucinate e fascinose di un periscopio multicolore e di un laser
che spara a trecentosessanta gradi, nelle coreografie corali di Luca
Tommassini che fanno muovere ad arte le danzatrici-figuranti, nella voce
sempre fresca, sempre giovane di Claudio Baglioni che si muove agile sul
palco di acciaio, una scena scarna, al centro del parquet del palasport,
minimalista e tecnologica che cerca di dare un taglio agli sfarzi del
passato.
Con i veli bianchi - di due stanze, una piccola e una grande, di ispirazione
Zen - che salgono e scendono, nascondono e mostrano giochi di luci e ombre.
Si compie in questo tour il cammino iniziato negli anni Novanta e proseguito
da «Io sono qui». Baglioni dialoga con il suo pubblico, cammina e si muove
tra la sua gente, s empre vestito rigorosamente in nero, snocciola ad una ad
una le 31 canzoni in scaletta: «Gagarin», dedicata al babbo che non c'è più;
«Domani mai», fulminata dalle luci al neon rosse e blu di una notte
americana; «Mille giorni di te e di me», sette minuti di dolcezza che si
stemperano in un ritmo tutto argentino; «Cuore di aliante», con una ripresa
acustica nel finale per sole voce e percussioni. E ancora «Ninna nanna»,
«Bolero», «Avrai», «Quante volte», «La vita è adesso», «Io sono qui».
«Questo piccolo grande amore», poi è il trionfo indiscusso, il tripudio per
seimila fan, di tutte le età, in preda a un delirio collettivo.
Il tour prosegue il 20 marzo a Modena, il 23 a Milano, il 30 a Verona, il 3
aprile a Treviso, l'8 a Bologna, l'11 a Montichiari (Bs), il 14 a Trieste,
il 18 a Torino, il 26 a Caserta, il 2 maggio a Reggio Calabria, il 5 ad
Acireale, il 10 a Palermo, il 16 a Bari, il 20 ad Ancona, il 24 a Pesaro, il
27 a Forlì, il 30 a Perugia, il 6 giugno a Roma e il 15 a Genova.


Articolo segnalato da Sergio&Rita.