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del 16/03/00

La Stampa
«O si cambia, o si diventa pupazzi»
Baglioni si «discolpa» dei suoi flop prima del tour

di Raffaella Silipo

«La gente ti vuole sempre uguale. E invece tu nel frattempo sei diventato un altro...».
Quella sua maglietta fina, Claudio Baglioni non se la vorrebbe infilare più: «Si finisce per essere i pupazzi di noi stessi, se non si ha il coraggio di cambiare, e la mia adolescenza è finita da un pezzo, anche se ho cercato di farla durare il più a lungo possibile...». Ma non sempre il pubblico segue un artista sulle sue nuove strade, e il flop dell'Ultimo valzer, la seconda trasmissione in tandem con Fabio Fazio, brucia ancora. Così nel «Viaggio», ambizioso tour che parte il 15 marzo da Firenze, Baglioni farà l'equilibrista. «La gente ha bisogno di rituali - dice - è giusto assecondarla con un senso di festa. Ma anche alleggerire il passato con le nuove conquiste: sempre ricordando che io non faccio spettacoli di nicchia o di tendenza, ma 'generalisti': per accontentare tutti, dovrò fare un concerto lungo, in bilico tra vecchio e nuovo».

C'è un po' di paura, Baglioni, all'inizio di questo «viaggio»?

«Diciamo pure che ho un'ansia bestiale. Ogni volta è una scommessa: riuscirò a parlare al mio pubblico? Naturalmente, certi si perdono per strada, altri si aggiungono, proprio come nella vita. Ma finché non sei lì sul palco non sai come andrà. Comunque la coscienza di aver dato tutto quello che potevo: lo spettacolo è costruito con cura e attenzione, proprio come se fosse un racconto cinematografico basato sull'ultimo album, con molti flash back sul passato, ''ritagliati'' grazie al gioco di luci. Lo chiamo ''tour blu'' proprio per questi rimandi al cinema. E' l'ultima tappa di un percorso iniziato con il tour ''giallo'' nel 1995, puntato sulla spontaneità, seguito dal ''rosso'' nel 1996, più teatrale».

Uno spettacolo complesso, dunque. E' vero che ha rinunciato a Sanremo per prepararlo?

«Quella di Sanremo è una storia lunga: tre anni fa addirittura mi cercarono per presentarlo, ogni volta c'è l'offerta di fare il superospite. Presentare, nemmeno a palarne: non è il mio mestiere. Questa storia del superospite... non mi convince».

Sta dicendo che uno come Venditti ha sbagliato a cantare all'Ariston?

«Fino a un paio di anni fa tutti dicevano che Sanremo era uno schifo, una vergogna: ci vorrebbe un po' più di coerenza oggi. Si può anche cambiare idea, per carità, ma allora il modo giusto per andare al Festival è partecipare alla gara, mettersi in gioco come ha fatto Morandi: rischiare insomma. Le ospitate in tv, qualsiasi tipo di ospitata, non fanno bene alla musica».

Anche lei ha avuto un'amara esperienza con la tv quest'inverno, no?

«Intanto ridimensioniamo le cose: ci hanno visto cinque milioni di persone, parlare di fallimento mi sembra esagerato. Il fatto è che le aspettative dopo Anima mia erano talmente elevate che non era facile restare all'altezza».

Si è già pentito?

«Diciamo che, se Anima mia era stato divertente, L'ultimo valzer è stato molto faticoso, mi sono sentito sottoposto a un tiro incrociato, il che non è mai troppo piacevole. La verità è che la tv non assomiglia affatto alla musica: probabilmente siamo noi cantanti a non conoscere abbastanza bene il mezzo».

Il programma di Celentano però ha funzionato. E adesso ci riprova Renato Zero.
Lei che ne dice?

«Che sono belle operazioni, è un bene per tutti se hanno successo. Perché si riesce davvero a raccontare un artista, a fare un viaggio attraverso le sue canzoni e alla memoria collettiva di tutti. Un po' quello che cerco di fare io con il mio tour».

Come mai lei torna a scommettere sulla piazza?

«Bisogna stimolare le persone a uscire dalle loro case e dal circuito virtuale tv-computer-telefono. Il calore della strada, della piazza, sono cose che non vanno perdute. L'importante è offrire qualcosa per cui valga la pena di uscire».

Articolo segnalato da Ernesto.