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del 16/03/00

Corriere della Sera
IL CONCERTO Ieri in settemila per tre ore di show. Il cantautore accompagnerà il suo «viaggio» in venti città
Baglioni in tour, diario di canzoni
A Firenze tra giochi laser legge i suoi brani portando foglietti in scena

di Mario Luzzatto Fegiz

FIRENZE Un palco a croce che pare quasi sospeso al centro del Palasport. Nessuna transenna a separarlo dal pubblico. E un taglio deciso ai classici come «Poster», «E tu», «Sabato pomeriggio», «Notte di note», mentre sopravvive in una versione sincopata e percussiva «Piccolo grande amore» nel gran finale. Così Baglioni ha aperto il nuovo tour che lo porterà in una ventina di città.

I fan sono rimasti perplessi nel vedere che Baglioni ogni qualvolta arrivava una canzone del nuovo album ricorreva alla lettura di un fogliettino estratto da una macchina per scrivere. Si è poi capito che era un espediente scenico per alludere al concetto di «diario di bordo». Ma il dubbio che Claudio avesse bisogno di rinfrescarsi la memoria è rimasto. E in effetti la memoria lo ha tradito in «Le vie dei colori» dove si è inceppato su un verso. Ecco dunque «Il viaggio» di Baglioni partito davanti a 7.000 fan plaudenti, molti dei quali ammessi all'ultima prova generale in un clima allegro e informale (vedi file sonoro su www.corriere.it). Con lui, oltre alla band sparpagliata ai quattro angoli del livello inferiore del palco, nove ballerine e coriste.

A coronare il minimalismo solo apparente di un allestimento in verità sofisticato, i giochi di laser di Pepi Morgia, regista dello show e le «stanze giapponesi» di tulle bianco che avvolgono il palco. Un narratore virtuale, proiettato da un laser, introduce in clima da fantascienza i 12 brani dell'ultimo album, tutti implacabilmente proposti, pur diluiti con 19 canzoni del repertorio meno recente.
Durata tre ore. Lo spettacolo, nel suo mescolare il Baglioni di oggi con quello di ieri, conferma quel che già si sapeva: trattasi di cantante pop, popolare. Che la mette giù un po' più dura. Da almeno un decennio, pur non proponendo tematiche alla U2, Baglioni si presenta come chi ha una missione da compiere, una filosofia da sviluppare. E allora, niente sarcasmi su «in fila coi vassoi, davanti ai pisciatoi, c'è da aspettare o no per quando tocca a noi che siamo comici che piangono...» o sulla stella che «vaga invaghisce» o sui «prodighi di prodigi» sul tempo «che impazza e impazzisce». O sul look del macho pensante color bronzo concepito da Mimmo Verducci, lo stesso della Oxa.

«Ormai la meraviglia è contingentata - spiega Baglioni -. Io cerco di rinnovarla quanto posso in me e negli spettatori. Agendo sui suoni, gli arrangiamenti, l'atmosfera, i ritmi e, quando non trovo di meglio, perfino cambiandomi i calzini.
L'ultimo album è stralunato? Un bel punto d'arrivo per un geometra come me.

Il sipario si apre con la lugubre «Tamburi lontani». Al centro una strana acquasantiera illuminata di laser rossi che subito scompare. Poi, fra «un addio e un rinvio» di Hangar, «la culla di foschia di un piccolo mattino» di «Un mondo a forma di te» e incursioni in canzoni del passato pregevoli come «Uomini persi» (straordinaria: affronta il terrorismo da un punto di vista squisitamente estetico), o «Adesso pubblicità» (efficace spaccato di vita piccolo borghese anni Sessanta all'ombra della televisione in salotto), lo show decolla lento ma elegante, con frequenti bagni di folla dell'artista spintonato e strattonato dai fans, nonostante il servizio d'ordine, durante i brani «Noi no», «Avrai», «Mille giorni di te e di me»), «Gagarin» («Mi piace pensare a mio padre da poco mancato come a un uomo che vola») fino alla triste «A Clà» che apre la strada ai bis.

Show avvolgente e debordante, preceduto da mezz'ora di ragazzine cantanti con microfono stile Ambra in trenino fra la folla in un «alè oh oh» per surriscaldare una platea che ha tributato il prevedibile trionfo. Si replica fino al 18 a Firenze. Poi Modena (20, 21 marzo), Milano (dal 23 al 26).
Conclusione il 15 aprile a Genova.



Articolo segnalato da Ernesto.