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Rassegna stampa - mercoledì 2 settembre 1998 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Corriere della Sera, Spettacoli - 02/09/1998
rcs.it/corriere/

L'INTERVISTA - Vacanze, sport, extracomunitari, Ulivo, amori, spettacolo: parla un protagonista della musica italiana. E lancia una provocazione
«Punta sui megaconcerti chi ha paura dei tour. Deluso da Baglioni, non mi ha voluto all'Olimpico»
Venditti: non credete agli eventi da stadio
«I cantautori, analizzati e sezionati anche se dicono cose di normale buon senso» «Non bastano le tribune stracolme per misurare il successo di un artista»

di Luzzato Fegiz

DAL NOSTRO INVIATO

CAGLIARI
«Ci sono quattro cose che hanno dominato l'estate 1998: le prodezze di Clinton, l'«uscita» di Fabrizio De Andrè sui posti di lavoro creati dalla 'ndrangheta, gli sbarchi dei clandestini sulle coste e poi, a scelta, integralismo irlandese o musulmano». Così commenta Antonello Venditti all'indomani di un singolare tour estivo completamente autogestito costruito sui classici della sua carriera, che ha toccato di preferenza luoghi sul mare o con porto come Ischia, Siracusa, Messina e Cagliari. Il motivo di queste preferenze «costiere» è Musica, un panfilo di 26 metri e 170 tonnellate acquistato d'occasione qualche mese fa in Francia dal cantautore, che fino a due anni fa vomitava alla vista di un materassino (e che dichiara di non saper nuotare), folgorato dalla passione per il mare.
La barca ospita spesso la nipotina Alice, nata da Francesco Saverio, unico figlio di Venditti, che l'ha reso nonno insieme ad Alessandra Occhini.

Venditti, una reincisione dei suoi successi con grande orchestra che non ha avuto grandi echi di classifica e un'estate dominata da altri suoi colleghi negli stadi o negli autodromi. Lei dov'era?

«Dall'esterno la gente giudica momenti di crisi di un artista quelli che in realtà sono i periodi più felici della sua vita. E' il mio caso. Faccio quello che voglio e la musica che voglio. Il disco serviva a guardarmi intorno: vedere tutto il mare per individuare il proprio porticciolo per il prossimo album. Comunque ha venduto 200 mila copie che non sono poche per un disco praticamente senza inediti. Solo 1% ai miei fan, il resto, secondo un sondaggio, ad acquirenti occasionali. Quanto agli stadi... I miei colleghi ci hanno puntato per avere la freccetta che sale nei vostri borsini dell'estate. Insomma non rischiano con un tour ma puntano su un evento. La verità è che parlare di trionfo e giudicare un megaconcerto solo in base all'afflusso è riduttivo. Bisogna valutare non solo il livello della musica, ma l'efficienza degli addetti alla sicurezza, la sistemazione degli handicappati, le toilettes, qualità e prezzi dei cibi in vendita. Con questi criteri non so in realtà di quanti trionfi si possa parlare. E vorrei precisare che mi rende felice essere un outsider in ottimi rapporti con i miei colleghi: De Andrè, De Gregori, Dalla, con cui ci sentiamo al telefono molto spesso, Pino Daniele e Zucchero».

Ma a lei la faccenda di Baglioni all'Olimpico è andata di traverso?

«In qualche modo sì. Io la prima domanda per quello stadio l'ho presentata 15 anni fa. Di fronte al silenzio degli interlocutori ho desistito. Improvvisamente si prospetta la possibilità che venga assegnato. Una specie di gara d'appalto. Gara a che cosa, a chi scrive meglio la domanda? Poi inizia un gioco, un balletto di date. Propongo a Baglioni di fare il concerto assieme. Lui rifiuta dicendo che ha un progetto particolare. Poi con mossa finale a sorpresa si fa assegnare la prima data disponibile, una settimana prima di Ramazzotti. Un gioco che non merita commenti. E, ciliegina sulla torta, un quotidiano della capitale pubblica una tabella dei grandi concerti storici a Roma e non mi menziona. I miei raduni al Circo Massimo, a Piazza San Giovanni, quelli al Flaminio o al Palaeur non sono mai esistiti».

Stadi o non stadi i cantautori continuano ad essere considerati maestri di pensiero?

«Sì, e alla fine ci stanno. Assomigliano un po' al protagonista di "Oltre il giardino". Dicono cose di normale buon senso che vengono analizzate e sezionate. Quando mi chiedono cosa penso dell'Ulivo io rispondo: "L'Ulivo per fare le olive buone ci mette molto. Prende forme nodose, tortuose e per l'olio bisogna aspettare. Ma intanto è un buon ulivo e se sta nel posto giusto si mantiene"».

Qual è il suo obiettivo immediato?

«Essere, a marzo 99, un magnifico 50enne».

Lei che ha scritto canzoni attente al sociale come vede il problema degli sbarchi dei clandestini?

«Mah, io penso alla fatica, al dilemma dei poliziotti quando queste persone arrivano. Il poliziotto ha il dovere di salvare la gente. Li deve portare in una specie di lager da dove poi verranno probabilmente espulsi. Penso a questi poliziotti che vedono in faccia la disperazione vera, gente senza più casa, senza più denaro. Se fossi poliziotto penserei: se il mio compito è quello di salvarli allora, per raggiungere lo scopo, devo lasciarli scappare».

Sono proverbiali le sue canzoni d'amore. Alle soglie dei 50 ha avuto nuove intuizioni sul tema?

«Certamente. L'amore non può aspettare. L'amore non è enunciazione, ma è quello che dai, è esserci».

Dove va la musica?

«Ha perso la sua funzione primaria. Serve agli spot pubblicitari, serve a far vendere riproduttori di dischi, cassette e CD Rom. L'industria ha svenduto la musica alle radio, invece di creare lei stessa canali radiofonici musicali. La Tim ha smesso di sponsorizzare il megaconcerto in piazza a Napoli trasmesso ogni anno da Raiuno, ed è un passo indietro».

segnalato da Cecilia Lombardino

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