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Rassegna stampa - venerd́ 19 giugno 1998 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Corriere della Sera, MONDIALI - 19/06/1998
rcs.it/corriere/

Alé-Oò

Quel grande potere di far saltare insieme
milioni di persone



di Claudio Baglioni

Scrivere di calcio, soprattutto in questi giorni, nei quali i mondiali
     invadono le nostre case con tutto il loro bagaglio accumulato per mesi
     e anni e più di un secolo di storia, è davvero troppo pericoloso.
     Tracimare nella retorica, nel luogo comune, nel già detto è così facile
     che l'unico modo per scongiurare questo rischio è evitare di unirsi al
     coro dei milioni di commissari tecnici, esperti e centravanti che
     animano salotti, bar, strade e piazze. Anch'io amo il calcio così,
     semplicemente come qualsiasi altro tifoso, stordito e sballottato dalle
     suggestioni che trasmette. E come potrebbe essere altrimenti? È
     qualcosa che tutti portiamo iscritto nel Dna; parla di noi, ci
     accompagna e ci rappresenta in misura maggiore di quanto noi stessi
     siamo disposti ad ammettere. Sarebbe davvero difficile raccontare la
     nostra storia senza fare almeno un cenno al piatto destro con il quale
     Rivera siglò quello straordinario 4 a 3 contro la Germania
     nell'interminabile notte dell'Azteca, o al volto trasfigurato dalla
     rabbia gioiosa di Tardelli nella sua corsa pazza nella finale dell'82
     al Bernabeu o - ancora - allo sguardo di pietra di Roberto Baggio, dopo
     il rigore fallito nella finale americana contro il Brasile e il pianto
     inginocchiato di Franco Baresi. Certamente, più del calcio parlato e,
     forse, ancor più di quello giocato è portentoso il suo riflettersi
     nelle vite, ordinarie e anonime, di quanti lo seguono. Guardando la
     partita della nazionale contro il Camerun, sentivo i miei pensieri
     cercare di sintonizzarsi con i pensieri, le reazioni, i sentimenti che
     attraversavano occhi e cuori di quanti seguivano la partita dagli
     spalti, vicino alle radio, davanti ai televisori o ai megaschermi
     allestiti nelle piazze, cercando di capire in che modo un pallone che
     rotola tra 44 gambe su un tappeto verde e bianco possa diventare
     rilevante nel rapporto tra le generazioni, nel passaggio di testimone
     tra padri e figli. Ho sempre invidiato al calcio il potere di far
     saltare - nello stesso istante - milioni di persone e credo di aver
     compreso solo qualche sera fa, in uno stadio Olimpico gremito come per
     una finale mondiale, cosa significhi incarnare i desideri, le attese e
     la voglia di emozioni di tutta quella gente. Nella prima partita, dopo
     l'urlo di liberazione della curva italiana per il rigore centrato da
     Baggio, e l'altra notte all'inzuccata di Di Biagio e alla posa di Vieri
     accanto alla bandierina del calcio d'angolo, ho capito che il calcio,
     più che evento, «è vento». Vento che muove l'aria immobile di certe
     giornate nelle quali le domande sono sempre una in più delle risposte
     che ti sembra di aver trovato. E, allora, che venga questo vento. Vento
     di momenti, colori ed energie condivise. Venga, spettini i pensieri,
     rompa gli argini, ci sollevi come siamo e ci depositi altrove, magari
     diversi e, forse, con dentro qualcosa che non c'era. O c'era da sempre.
     Alé-oò.

segnalato da Sforzini Massimiliano

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