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Rassegna stampa - giovedì 21 novembre 1996 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Sette - 21/11/1996


Il cantico dei romantici


di Antonio D'Orrico

Venticinque anni fa scrisse "Questo piccolo grande amore" e divenne l'idolo delle coppiette d'Italia. Ma qualcuno storse il naso accusandolo di essere troppo sentimentale e poco politico. Poi Veltroni, per primo, gli chiese scusa e oggi una rivista lo mette tra gli intellettuali che contano. Lui come risponde? Con un disco antologico e l'intervista che segue. Lunga un quarto di secolo.


"Fu Veltroni il primo". Il primo a fare cosa? "Il primo a dire che con me si erano sbagliati". In questi ultimi tempi il cantautore Claudio Baglioni è stato "sdoganato". Per anni l'hanno guardato con sospetto (l'intellighenzia nazional musicale di sinistra), per le sue melodie romantiche e per l'eccezionale successo presso giovani e giovanissimi. Ora (reduce dal successo dell'album Io sono qui, 700 mila copie vendute, e dei susseguenti concerti) Baglioni è stato addirittura eletto dalla rivista Liberal tra i grandi irregolari della nostra cultura accanto a gente come Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale ed Ennio Flaiano.
Lui, intanto, continua a fare il suo lavoro tirando mattina a Genova per mettere a punto il suo prossimo video (più di tre ore di racconto del suo Tour Rosso) e, da domani, lancia un'antologia delle sue canzoni dal titolo Attori e spettatori ("perché non so ancora oggi se sono l'uno o l'altro, se sono Amleto o uno dei cortigiani"), un doppio cd, 59 mila lire, con 26 pezzi, da Questo piccolo grande amore, in una versione nuova di zecca, a Le vie dei colori. E medita anche di fare un programma televisivo con Fabio Fazio, Anima mia come la canzone dei Cugini di campagna viaggio nei miti della televisione. "Non c'è nulla di definito ancora. Io la televisione l'ho sempre guardata. So che è uno strumento capace di grandi manipolazioni però i personaggi televisivi mi affascinano anche perché, forse, io non lo sono mai stato".
In un albergo di Genova, la patria dei cantautori, in un pomeriggio di maccaia, cielo coperto e vento di mare, Sette ha festeggiato con Baglioni i venticinque anni di Questo piccolo grande amore. Parlando dell'amore, naturalmente, e di altro in quest'ultimo quarto di secolo.

"Piccolo grande amore" ha venduto in 25 anni 18 milioni di copie e le ha dato la gloria canzonettistica. Però lei ha sempre mostrato ostilità verso quella canzone, come se se ne vergognasse. E' sembrato perfino che la odiasse come si odia un peccato di gioventù. La sua è pura ingratitudine o dietro c'è dell'altro?
"L'odio non era viscerale, si è costruito col tempo. Veniva dall'ansia del riscatto che veniva, a sua volta, da lontano. Ero un ragazzo di periferia e quando finii le medie mi iscrissi alla scuola per geometri perché non c'era un liceo a portata di mano. Ne soffrii molto. Perché non c'erano, ad esempio, classi miste e quindi si era tutti maschi, non ci si poteva nemmeno fidanzare. E poi la stessa figura del geometra non mi convinceva, ne avevo incontrato uno quando avevo 12 anni e lui, che ne aveva 19, mi sembrò un vecchio. Sentivo la tristezza della qualifica e non vedevo l'ora di finire la scuola e iscrivermi ad architettura, lì mi sarei riscattato. Nei confronti di Piccolo grande amore ho nutrito una voglia di riscatto simile. Perché questa canzone è diventata un mostro, una entità che fa quasi paura. E poi pensi alla persecuzione dei titoli dei giornali: "piccolo grande cantautore", "piccolo grande Baglioni". Peggio di un soprannome. Ciò non toglie che è una canzone bellissima con una bellissima costruzione musicale, una canzone vera. Però, intanto, ho scritto altre duecento canzoni che dovevano lasciare sempre il passo a lei, alla principessa. Ecco provavo fastidio più che odio".

Un momento, per favore. Non vorrei esagerare ma qualcuno ha paragonato "quella tua maglietta fina" ("tanto stretta al punto che immaginavo tutto"), l'incipit magistrale di "Piccolo grande amore" ad altri celebri feticci erotici. Uno per tutti, la canottiera di Marlon Brando in "Un tram che si chiama desiderio". Se ne rende conto?
"La maglietta fina, sì, un mostro nel mostro che finì per prendere il sopravvento. Ero quello della maglietta fina. E diventato un feticcio erotico? Lo è sempre stato, forse. Di sicuro lo era per me, prima ancora di trasformarsi in verso di canzone. Perché quella maglietta fina e stretta è esistita davvero, io l'ho vista. La storia raccontata nella canzone è una storia vera. Forse per questo ha colpito tante persone. E una storia qualsiasi di persone qualsiasi ma con una musica che non è qualsiasi. Nella versione di Attori e spettatori l'ho graffiata come se fosse una persona, una prima fidanzata. Quella canzone, negli anni, mi ha ispirato invidia e gelosia. Ora l'ho licenziata. E un addio".

Sono passati 25 anni da quando l'ha scritta. Lei ne aveva venti. L'amore allora era quello che lei cantò?
"Per me era quello, l'amore dei falò sulle spiagge, delle corse a chi arriva primo fino al muro. Da ragazzi innamorarsi è anche uno status symbol, bisogna per forza innamorarsi nella vita, a un certo punto, se no non sei nessuno. Poi questi amori finiscono nella polvere. Per motivi stupidi, per un malinteso. E uno più tardi ci ripensa. E gli mancano"

Venticinque anni fa nei cinema usciva "Arancia Meccanica", storia di stupri commessi da una banda di balordi, e Alberto Moravia pubblicava "Io e lui", storia di un uomo che dialoga e litiga con il suo organo genitale. Il fatto incredibile, in questo contesto, è che "Piccolo grande amore", una canzone casta e innocentissima, fu censurata. Cosa che da sola dà il segno dei tempi. Cosa successe?
"Bisognò fare una versione purgata per le radio e la televisione. Così "voglia di essere nudi" diventò "voglia di essere soli" e "mani sempre più ansiose di cose proibite" diventò "mani sempre più ansiose, le scarpe bagnate".

Scarpe bagnate? Che significa?
"Non lo so nemmeno io, fu la prima cosa che mi venne in mente. Ma allora mi fecero censurare anche Trilussa quando usai una sua poesia per una canzone. Così andava il mondo".

Venticinque anni dopo (mi faccia assumere un tono solenne) Claudio Baglioni, nato a Centocelle (Roma) nel 1951, professione cantautore, appare sulla rivista "Liberal" e viene riabilitato (come accadeva alle vittime dello stalinismo) e inserito nel pantheon con dei grandi artisti irregolari dell'Italia del dopoguerra, con Montale, Gadda, Parise. Come l'ha presa?
"Brindando con lo champagne. Ringrazio qui pubblicamente l'autore dell'articolo Giuliano Zincone. Prima di Piccolo grande amore ero considerato un estremista di sinistra. Poi perfino un democristiano, poi un qualunquista. Confesso che un po' mi dispiaceva".

Ora però c'è stato lo sdoganamento, come qualcuno lo ha chiamato rifacendosi a quando Silvio Berlusconi rimise in gioco Gianfranco Fini.
"Per la cronaca, tutto cominciò negli anni Ottanta con un pezzo di Walter Veltroni sull'Unita' che diceva: ci siamo sbagliati sui tipi come Baglioni, erano quelli che stavano nel banco zitti e non alzavano il pugno o la voce, però c'erano anche loro e andavano avanti e pensavano".

Torniamo all'amore negli anni Settanta. Nel 1978 sulla prima pagina del "Corriere della Sera" appare la lettera di una casalinga che scrive: "Mi sono sposata in bianco e in chiesa ma dopo sette anni i sogni se ne sono andati ed è rimasta la realtà di ogni giorno. I bambini, i conti che non tornano, la lavatrice, il pranzo domenicale con la suocera. Così si comincia a tradire il marito, come ho fatto io". La cosa all'epoca fece sensazione. A me, rileggendola, ha ricordato una sua canzone "Signora Lia": "Signora Lia stasera stai con tuo marito".
"È una delle mie primissime canzoni, risale al 1969. Era anche quella una storia vera, una persona che avevo conosciuto al mare. Però quando parlo delle mie canzoni mi viene sempre la tentazione di citare Edoardo Bennato, "Sono solo canzonette" e metterlo lì come epitaffio. Sono solo canzonette o no?".

Anni Ottanta, il tempo dello yuppismo, dei mito dei soldi, della carriera. Anni di egoismo e di edonismo, come si diceva. Lei scrive proprio allora una canzone sui vecchi con gli "occhi annacquati dalla pioggia della vita", "soli come pali della luce", con le "povere patte sbottonate". Controcorrente, mi pare.
"Per capire gli anni Ottanta bisogna ricordare che il decennio precedente fu davvero duro, furono anni perduti in cui non si capiva niente: chi commetteva le stragi, chi erano le Brigate rosse. Gli anni Ottanta furono una reazione, anche sciocca, scellerata, a tutto questo. Si acquisì una bella dose di cinismo, che dura ancora. Anche l'amore ne ha fatto le spese. Scrissi quella canzone sui vecchi perché anche io procedevo nella mia carriera (umana), invecchiavo, non era più tempo di falò, di serenate".

Però continuava ancora a cantare di un ragazzino e di una ragazzina e di "una folla di baci lievi e brevi/come cerini spenti".
"Avevo trent'anni e non più venti. Uno rimpiange i bacetti e, a trent'anni, i bacetti non si possono più dare, quasi non si danno più nemmeno i baci e si salta subito a qualcos'altro. Il tempo passa e tenti di sconfiggerlo almeno con la memoria".

Anni Novanta. "L'amore batte l'utopia" è il titolo che le dedica "Liberal". Lei scrive canzoni sulle donne in cui dice: "Io ne ho avuta una che era un guaio più delle cambiali e piangeva alle feste e rideva ai funerali". E aggiunge che le donne sono "insolite insolute insalate capricciose". Lei mi diventa ironico.
"Parlo come rappresentante del vasto e variegato mondo maschile. Io come altri mi ero illuso di avere compreso le donne, di essere un femminista, di essere stato meglio dei maschi precedenti. Invece non è così, prendi sette maschi, mettili a cena e si ricomincia a dire: “Ma non potremmo domani organizzare una festa”, “non è che conosci qualcuna”. Allora hai la consapevolezza netta che non tanto è cambiato. Le donne sono veramente per gli uomini degli oceani lontani nei quali è bellissimo avventurarsi. Però noi uomini siamo anche dei capitani fasulli. Allora l'unica risposta è l'ironia, l'accettazione delle cose come stanno. È difficile che si cambi".

A proposito di donne, lei ha anche cantato: "Cerca di non metterti nei guai/ abbottonati il paltò per bene". Questo é paternalismo.
"Mi è successo di pronunciarla nella vita quella frase. Sono le parole che dici nei piccoli grandi addii. Ti senti morire (sei geloso del futuro, che lei troverà un altro, che un altro le aprirà lo sportello per farla salire in macchina) e allora fai il padre perché non sei riuscito a essere l'amante".

In una can zone dell'85 scrive: "Oggi é quasi un secolo di noia". Perché?
"La noia è la polvere di ogni giorno. Vivi in una società asfittica, sogni il grande amore. Le donne, specialmente, che sognano anche a 90 anni di innamorarsi come a 12. Nell'89 quando crollò il Muro pensavamo a un grande rinnovamento, ci fu chi nell'occasione riverniciò la casa tanto per partecipare a quel clima, poi è tornato il torpore. Lo stesso successe con Tangentopoli. La noia sono le cose che non cambiano".

Con amarezza oggi canta: "Ma da soli si è in ogni copione".
"A me piace la solitudine, quando non è costretta, non è coatta. Quando è una scelta. Un lusso".

Chiudiamo con "Piccolo grande amore". Ricky Gianco l'ha accusata di plagio tempo fa. Come è finita?
"Non è finita. Continua. D'altra parte non sappiamo ancora chi ha messo le bombe in Piazza Fontana, possiamo anche non sapere chi ha scritto una canzone. Siamo sempre nell'Italia dei misteri".

segnalato da Antonio

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