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Rassegna stampa - giovedì 14 dicembre 1995 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Sette - 14/12/1995

Ma chi l'ha detto che il Paese vero è quello descritto da sondaggi e tv? Baglioni & Tornatore l'hanno girato in lungo e in largo, in pullman e in camion, con un disco e con un film, cercando quello che nessuno cerca più.
In nome del popolo italiano
E strada facendo hanno fatto un paio di scoperte. Che qui ci rivelano.

di Ranieri Polese

foto Ci sono molte, moltissime cose in comune fra Giuseppe Tornatore, regista, e Claudio Baglioni, cantautore. Per cui non ci deve sorprendere troppo il trovarli insieme, nel laboratorio De Angelis di Cinecittà, fra le statue di vetroresina che contengono la memoria di tanti sogni cinematografici: c'è il Cristo della Dolce vita e ci sono le lampade di Salò, i delfini segna-giri della corsa di Ben Hur, i flabelli egizi di Cleopatra, le statue di Salon Kitty e i crocifissi di Marcellino pane e vino e quello di Don Camillo... Parlano, Baglioni e Tornatore, mentre il fotografo Guido Harari li ritrae in quel paese delle meraviglie che sta proprio davanti allo studio 5 di Fellini. E ritrovano, il cantautore e il regista, i tratti comuni di due storie che a prima vista non sembravano poi così simili.
"Sì, intanto c'è che questo mio nuovo album, Io sono qui, è strutturato come un film, con i titoli d'apertura e quelli di coda, i tempi, quattro addirittura, come una volta succedeva nelle sale di periferia; poi ci sono le didascalie che impiegano la terminologia del set: esterno giorno, carrello, flashback... Avevo un po' paura di sbagliare, di scrivere qualche imprecisione", dice Baglioni. "No, nient'affatto, non ci sono errori", risponde Tornatore, e aggiunge: "E proprio grazie al cinema che mi son trovato un altro punto di contatto con Claudio. Per un film di tanti anni fa, Fratello Sole, Sorella Luna: fu lì che ascoltai per la prima volta una canzone di Baglioni: era il '72, avevo sedici anni, facevo il proiezionista al cinema Excelsior di Bagheria. E chiuso nella cabina, tra un fotogramma e l'altro di Zeffirelli, sentii cantare Claudio".

STRADA FACENDO. Oggi c'è un altro film che li avvicina, l'ultimo di Tornatore, L'uomo delle stelle, candidato italiano all'Oscar. Stavolta la musica non c'entra, c'entra il camion. Nel senso che, se nel film di Tornatore il protagonista Joe Morelli (l'attore Sergio Castellitto) gira con un camion per la Sicilia della fine degli anni Cinquanta promettendo il successo nel cinema (un provino per mille e cinquecento lire), Baglioni ha da poco terminato un rapido giro del centro Italia con un camion giallo. Pochi concerti gratuiti qua e là (Castelluccio di Norcia e Ostia, l'AutoSole a Barberino di Mugello, una caserma, la marcia della pace di Assisi...), quasi una prova generale della grande tournée che sta per cominciare. On the road again, a tre anni di distanza dall'ultimo concerto del '92, a cinque anni dall'album Oltre, storie di quando c'era ancora la prima Repubblica. "Il mio camion", dice Baglioni, "è un mezzo antico, povero, popolare. Proprio come quello di Joe Morelli, il personaggio di Tornatore... Io mi rimetto in giro, vado a cercare la gente ma non voglio certo il bagno di folla, il megaraduno. Questa volta mi interessa un qualcosa che deve restare molto mio...".
"Ad andare in giro fra la gente vera c'è sempre qualcosa da guadagnare", ribatte Tornatore. "Ma il camion non è una semplice trovata, è qualcosa di più: non lo vedi che anche i personaggi della politica, oggi, scelgono il pullman? L'ha fatto Prodi, e mi sembra di ricordare che anche Berlusconi avrebbe detto di essere pronto a fare una cosa simile. C'è che per più di vent'anni i politici hanno vissuto in un Paese non reale: c'era il quiz tv o il sondaggio Doxa che aveva il posto del colloquio, dell'incontro. Risultato, il politico ha creduto che la gente fosse fatta in un certo modo, e la gente, non riuscendo a comunicare con i rappresentanti dell'ufficialità, si è stufata della politica. Non sa più come far conoscere il suo malessere. Per anni i titoli dicevano che la nave andava: non era vero, non andava. E nel Paese non si stava tutti bene, anzi. Ora gli exit poll fasulli e i tele-sondaggi virtuali cominciano a non incantare più nessuno. Forse è davvero il tempo del camion".
"C'è anche che i sogni, grandi o piccoli, non paiono esserci più", interviene Baglioni. "Meglio, manca un sogno collettivo, in cui tutti si ritrovano. Ci sono ancora desideri, ma piccoli piccoli, il Sogno non c'è. Mi ricordo il Sessantotto, io avevo 17 anni e le idee un po' confuse. Presi pure qualche scappellotto per via di questa mia mancanza di chiarezza. Però, nonostante tutto, io ai cortei ci andavo. Perché ero partecipe del sogno comune".

REGINELLA. Succede spesso agli artisti di restare legati a un titolo, a una categoria. Che è quella del primo successo, per cui il pubblico da allora continua a chieder loro quella cosa e basta, a identificarlo solo ed esclusivamente con un genere. Anche in questo, Baglioni e Tornatore hanno un destino comune: il primo è da sempre e per sempre il cantante del Piccolo grande amore, l'altro il regista del Nuovo Cinema Paradiso. "Ci etichettano come quelli della melassa, del sentimentalismo: Claudio deve restare fermo agli amori adolescenti stile “passerotto non andare via”, io alle nostalgie di un cinema e di un'Italia che non c'è più. E un po' dura, no?".
"Durissima, assurda", dice Baglioni, "perché la gente non vuole che tu cambi, e invece è impossibile non cambiare. Ma insomma, Piccolo grande amore è del '72, e come facevo io in tutti questi anni a non cambiare... Va detto anche, però, che per me la canzone è essenzialmente canzone d'amore, e meglio è se questo amore non è del tutto felice. Per questo, nel mio nuovo album, ho scelto un titolo, Reginella, in omaggio a una famosa melodia: così volevo dimostrare la mia teoria, che la canzone nasce come una serenata d'amore dedicata a qualcuno. Ma è un amore, aggiungo, che non è mai pieno e condiviso nello stesso momento: lui l'amava tanto, e anche lei, ma un giorno se n'è andata; lui continua a rimpiangerla, lei invece pensa a lui solo per caso, distrattamente...".
"Tu con l'amore, io con le memorie di un'Italia provinciale, anni Cinquanta, povera ma piena di sogni che il cinema può regalare", interrompe Tornatore. "C'è la voglia, la necessità di cambiare, lo so. Figurati per uno come me, che ha il complesso dell'esordiente, ogni film deve sembrarmi il primo, del tutto nuovo, se no non riesco a farlo... Poi, però, quando ho fatto un film davvero diverso, che non aveva niente a che fare con gli altri, il pubblico non l'ha gradito: era Una pura formalità , con Polanski e Depardieu come interpreti. Io, invece, a quel film ci credo ancora parecchio, forse non è stato visto bene, non lo so...".
"Sì, le cose che si aspettano da te diventano un po' un ricatto, una prigionia", spiega Baglioni. "Così, intitolando Reginella un pezzo del mio nuovo album volevo anche liberarmi dall'incubo delle canzoni d'amore. Ne ho scritte tante, troppe forse. Fino ad arrivare al punto di non saperne scrivere più. Ora, è vero, è difficile narrare bene la realtà collettiva, cercare la giusta attenzione per i fatti politici, così per le mie canzoni nuove ho preferito raccontare me stesso, il me stesso di oggi, quello che vive qui, nel malessere contemporaneo, e che se torna in scena dopo un po' di anni non è per riproporre ricordi invecchiati e stagioni andate. Un me stesso che ha sperimentato lo star male, la depressione, le grandi passioni finite; che a volte gioca con le parole, le contorce in strani calembour perché oramai non si fida più delle parole, tutte dette e tutte consumate. Certo, ho sempre un po' pensato che la canzone politica in senso stretto si riducesse a uno slogan e basta, per questo ho ritenuto di dover dire il malessere mio, di portarlo come una testimonianza".

KARAOKE. Fra pochi giorni, per Baglioni sarà di nuovo tournée: e il concerto, col suo contatto ogni sera col pubblico, con la gente vera, servirà da verifica. E il sentimento che c'era nel disco si comunica, se chi ascolta riesce a percepire le emozioni che l'autore voleva suscitare. "È un po' come il film quando va in sala, col pubblico vero", dice Tornatore. "Per quante proiezioni di prova uno possa fare, solo l'impatto con i veri spettatori può dare il responso. Per esempio, ne L'uomo delle stelle c'era una scena che lasciava tutti in dubbio: quando Castellitto-Joe Morelli, dopo che gli hanno rubato il camion e la macchina da presa, si mette a correre per la strada urlando li mortacci contro tutto e tutti. Molti mi dicevano che l'effetto non sarebbe scattato: invece, in sala, ho visto che funzionava, che faceva ridere. Ma non è solo la risata a fornire l'elemento di giudizio. Anche nel silenzio c'è come una vibrazione, una tensione fisica che fa capire tutto. Certo, la proiezione in una sala vera è un momento bello e terribile, in cui si vedono chiaramente gli errori e le cose ben fatte. Ma allora non si può più cambiare".
"Il concerto, invece, si può ripetere la sera dopo, e quella dopo ancora", dice Baglioni. "C'è un margine in più, un paracadute rispetto al disco, dove lì davvero ti prende il panico, non sai davvero mai quando è il momento giusto per dire basta con i ritocchi. Per me, oggi, il problema è un altro, ed è quello di cercare di capire che gente è quella che viene ad ascoltarmi, che cosa si aspetta da me. Per chi sta sul palco, lo so, la tournée è un modo per dire che si è sempre giovani, contemporanei, per dimostrare che si riesce a reggere ai salti di generazione. Prima, agli inizi, ero coetaneo del mio pubblico, oramai da tempo non è più così. Già, il pubblico chi è, che cosa vuole? Ecco, in quelli che oggi vengono ai concerti c'è qualcosa che mi lascia stupito. L'ho visto nei pochi concerti del camion giallo, è un nuovo rito, come se lo spettatore volesse anche lui salire e stare sempre sul palco. Chi sa, forse sarà l'effetto del karaoke, ma oggi tutti cantano per tutto il tempo. Io mi domando perché solo la canzonetta incoraggia la vocalità collettiva? Ve la immaginate un'opera con tutto il teatro che canta insieme a tenore, soprano ecc.? E un pianista che si ritrova in platea tanti ascoltatori ciascuno con una propria tastiera? Ma in fondo, chi conosce a memoria tutto il tuo canzoniere e te lo canta vuole testimoniarti il suo affetto, restituirti la memoria di quello che hai fatto e dirti che non si è perduto. Insomma, è un qualcosa che fa piacere. Che mi ha sorpreso, è vero, che ho trovato quando sono tornato in giro dopo tutto il tempo che me n'ero rimasto da solo. Ecco, così ho scoperto davvero che non si è mai soli".

segnalato da Antonio

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