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Rassegna stampa - domenica 10 gennaio 1993 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su TV Sorrisi & Canzoni - 10/01/1993


Ho fatto pace con la musica


di Claudio Baglioni

foto Con sincerità Claudio racconta in prima persona un periodo difficile della sua vita: quando, uscito l'album "Oltre", dovette affrontare dubbi, incomprensioni, incertezze. Ha accettato la lotta, ha trovato il coraggio e l'umiltà di ricominciare tutto daccapo. E l'esito trionfale del tour 1992 gli ha dato ragione. Il cantautore ieri e oggi, dentro e oltre la musica, ancora e sempre assieme al suo pubblico.


Era il dicembre del '90. L'album "Oltre" finalmente usciva. Mesi e mesi a stargli dietro con passione, rabbia, scoramento, entusiasmo. E quanta musica, quante parole, luoghi e vicende. Un disco di confine, pioniere e scellerato, ma sincero e non contrabbandiere.
Come al solito alcuni doganieri pigri e prevenuti lo aspettavano al varco. Io lo sapevo e vivevo tra la felicità e la malinconia di aver finito. Si deve pur arrivare in qualche posto per ripartire nuovamente. Per andare dove?
Bisognava, prima di tutto, far pace con la musica. Con il suo mondo, con quegli aspetti così routinanti, sciatti e avvilenti. Perciò chiamai degli amici musicisti e dei musicisti amici e, con loro, passai giorni a provare canzoni, suoni, esecuzioni, aspettando non so cosa. Un po' come agli inizi, venticinque anni prima, in una cantina, stretti e speranzosi, tra pochi strumenti.
Poi cominciammo a girare l'Italia, a sorpresa. in discoteche e balere, come un gruppetto qualsiasi. Era bello suonare senza annunci, manifesti, senza orari e responsabilità. cercando il locale in fondo alla nebbia, in mezzo alla neve, tra liscio e feste mascherate, niente camerino e, una volta, una bomba intimidatoria del racket. Curioso cantare per chi non ti aveva scelto e non era preparato, per chi si stupiva, per chi continuava come se niente fosse. E noi a darci dentro, a conquistare gli applausi e, chissà (?), qualche nuova scrittura. Non potevamo finirla lì.
E allora, una mattina, mettemmo su un camion gli strumenti e girammo le periferie di Roma. Come saltimbanchi di strada, per un pubblico di pensionati e giornali sotto il braccio, fattorini e pacchi che arrivano in ritardo, donne del mercato, scolari che uscivano, malati in pigiama sui balconi di case di cura. Fu una bella festa.
A un certo punto mi trovai a cantare per un passeggero di un autobus, io e lui, che non sapeva se guardare, dietro il vetro, bloccati nel traffico. Andammo avanti per ore tra odori di pranzi, giardinetti e bambini a colori e i nostri sguardi esaltati.
Ora però occorreva pensare a cose più "serie". Quindi giù a lavorare per un grande spettacolo. Un palco al centro di uno stadio. Un cuore di luci e di canti in mezzo a tanti altri cuori.
E via, in una lunga corsa e foglietti di calendario come in un vecchio film strappati e sotto immagini di folla, applausi, risate, cialtronerie, salti, grazie, grazie ancora.
Che vuoi di più? Fai quello che ami, scaldi la tua voglia e magari questo piace a qualcun altro. Se sei fortunato, a molti altri.
Così è passato un altro inverno, la primavera, un'estate ancora, l'autunno. Sempre a correre, a incontrare nuove persone e giovani musicisti, a riempire di gioia e di soddisfazione i giorni, le sere, le notti. Con tanti compagni di avventura e uno che non viaggerà più con noi.
Ora anche questo è finito.
Di quel tempo ci restano i ricordi e di tanto in tanto dei dischi da ascoltare.
Si torna a casa, a respirare calmi e ci si ritrova alle prese con la quotidianità; quella propria e quella di tutti.
Quella tua te la risolvi come meglio puoi, come ti riesce. Ma l'altra? Come la metti con le miserie del mondo, la fame, le tribolazioni, la violenza, le guerre, le ruberie, il cinismo, il razzismo, la sfiducia, le cose che non vanno, che non sono mai andate, che non andranno? E che dire ancora che non sia stato detto e aggiungere la tua voce a un disperato coro senza più suono? Oggi il cielo è pieno di rancori. Il cielo è un vecchio pazzo con un violino in mano. A qualcuno capita ogni tanto di essere un primo violino.
Certo il privilegio di suonar da solista, a volte, ti salva. Ti fa fare pace con la musica. Forse un giorno anche con la vita.
Non perdiamoci di vista. Accordiamo gli strumenti. E dentro tutti, pure gli stonati. E suoniamola per bene. Per non essere suonati.

* * *

Claudio è un poeta. E anche se rifiuta questa qualifica, sostenendo che la poesia e una cosa e la musica è un'altra, il suo modo di esprimersi è sempre poetico. Perciò deve essere interpretato. Dicembre '90. Ho vissuto anch'io, sia pure da lontano, quei momenti. Da tempo si parlava del suo nuovo album. Era stata annunciata l'uscita mesi prima. Ma l'album non usciva. Dove era Claudio? A Roma, a Londra per finire di registrare?
Circolavano le voci più allarmanti. Le musiche ci sono, mancano i testi. I testi ci sarebbero, ma Claudio non é soddisfatto e sta rifacendo tutto. "Passione, rabbia, scoramento, entusiasmo": ecco come lui definisce quel periodo. Passione perché ce la metteva tutta: rabbia quando le cose non riuscivano come le sognava: scoramento davanti al risultato deludente; entusiasmo quando invece faceva centro.
Come lo capivo! Lo stesso succede a chi scrive un libro, dipinge un quadro, persino a chi scrive un articolo. "Un disco di confine, pioniere e scellerato...". Confine perché non percorreva sentieri già battuti; pioniere perché voleva fare del nuovo; scellerato perché a fare del nuovo, ci si rimette sempre, si irrita la gente. Si dà scandalo.
"…ma sincero e non contrabbandiere", conclude Baglioni. Cioè un disco che non intendeva contrabbandare merce sospetta, moneta falsa.
Eravamo noi i doganieri pigri e prevenuti che lo aspettavano al varco? Forse, ma non tutti. L'attesa era ansiosa, ma benevola. Al varco di frontiera c'erano tanti amici e il suo pubblico.
"Felicità e malinconia di aver finito…".
La fine di un viaggio o di un lavoro porta sempre malinconia: fa parte del destino umano. Vedete quante cose sa esprimere Claudio in poche righe. E con quanta semplicità. Ma perché far pace con la musica? Sulle prime l'esito dell'album parve deludente. Mise in crisi un po' tutti: critici, esperti, fan, persino la casa discografica. E Claudio ne soffrì moltissimo. Non era il solito Baglioni, si disse. Troppo difficili i testi. La vena melodica era diventata astrusa, preziosa, ma francamente poco orecchiabile. La musica sembrava averlo tradito. Si litiga con chi ci tradisce. Fu un duro scontro.
Ma all'improvviso venne fuori il Claudio Baglioni delle origini, capace di trangugiare l'amaro e reagire da par suo. Fu un bagno di umiltà. Claudio trovò la forza di ricominciare daccapo. Per capire la sua reazione bisogna riandare a questo Baglioni ventenne. Un breve viaggio a ritroso nel tempo, un confine capovolto. Ricordo come l'ho conosciuto. Fu in un teatro romano. Vi era andato per assistere al concerto di un collega. Nell'intervallo mi presentai. Gli dissi quanto mi fosse piaciuta "Porta Portese". Gradì il complimento da parte di un milanese, ma mi parve piuttosto stupito. Non era ancora così famoso.
"Questo piccolo grande amore", la canzone più nota di quel periodo, parlava d'estate e di mare: uscì in autunno, fuori stagione. "Un disco per l'estate" sarebbe stato la giusta collocazione. Ebbe ugualmente un successo immenso. Nonostante ciò, Claudio era considerato un cantautore di categoria B. Forse nemmeno un vero cantautore, ma un interprete bravino. A quel tempo i testi li scriveva Antonio Coggio, scopritore di talenti.
La cosiddetta "scuola romana" era dominata dalla triade De Gregori-Cocciante-Venditti. Quelli erano cantautori, e per un verso o per l'altro "impegnati". Ma dove era l'"impegno" di Claudio? Oggi lo si definirebbe un "minimalista". Parlava di cose semplici, cose di ragazzi: un amore adolescente, un mercatino romano, l'aspirazione a passare le vacanze in Inghilterra. Canzoni per tutti, non ermetiche come l'"Alice" degregoriana, non passionali come la "Bella senz'anima" cocciantiana; non romanescamente celebrative come la "Roma capoccia" vendittiana. Anche il paragone con Battisti non reggeva. Lucio era l'interprete di un mondo giovane, ma non adolescente. Mogol, l'autore dei testi, ci metteva la propria realtà di trentenne. Nei "Giardini di marzo" c'è il ricordo, non il presente dell'adolescenza.
Intanto Claudio cresceva. Si era emancipato da Coggio, voleva fare da sé. Nacquero canzoni più mature, come "Strada facendo", "La vita è adesso", "I vecchi", "Avrai". E divenne un numero uno, affiancandosi ai colleghi, eguagliandoli nei concerti, veri bagni di folla nei palasport e negli stadi. Il resto è storia recente. Ma dopo "Oltre" e aver messo l'intera carriera in gioco, Claudio ha avuto il coraggio di girare l'Italia, a sorpresa, "in discoteche e balere... senza annunci, manifesti, senza orari e responsabilità... di cantare per chi non ti aveva scelto… come un saltimbanco di strada... Fu una bella festa".
Ha avuto ragione lui, a furore di pubblico. E sono tornati gli stadi, le immagini di folla, gli applausi.

Claudio ha saputo sempre difendere la sua vita privata, senza le prese di posizione di Battisti e senza la noncuranza di Mina. Il suo matrimonio fu a lungo tenuto nascosto forse per ordine della casa discografica. Il ragazzo Baglioni non poteva risultare felicemente sposato. Ma quando lo si seppe, non accadde nulla di particolare. La sua vita si svolgeva tranquilla, addirittura un po' "pantofolaia", secondo i maligni: lui, la moglie, i cani, i soggiorni sul lago di Alleghe, nel Bellunese. Poi è venuto il figlio e una memorabile canzone: "Avrai". Ora il matrimonio è finito. E Claudio accetta la nuova condizione con stile e riserbo.
E' stato il primo cantautore a porsi un problema d'immagine. Nasuto, occhialuto, spilungone, non era bellissimo. Ma quando lo conobbi io pareva un arcangelo: lenti a contatto, chioma fluente, profilo d'aquila. Oggi l'immagine è quella di un prestante quarantenne senza velleità giovanilistiche.
"Si torna a casa, a respirare calmi e ci si ritrova alle prese con la quotidianità; quella propria e quella di tutti. Quella tua te la risolvi come meglio puoi… Ma l'altra? Come la metti con le miserie del mondo? Oggi il cielo è pieno di rancori. Il cielo è un vecchio pazzo con un violino in mano. A qualcuno capita ogni tanto di essere un primo violino. Certo il privilegio di suonar da solista, a volte, ti salva. Ti fa fare pace con la musica. Forse un giorno anche con la vita". Il ruolo del violinista Claudio ha voluto rievocarlo in queste foto. Non è uno scherzo, perché lui è sincero e ha serbato intatta la schiettezza dell'adolescente. Ma nelle sue parole, anche in quelle "impegnate" sulle miserie del mondo, si avverte il lungo, travagliato cammino dell'artista.



segnalato da Cecilia

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