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Rassegna stampa - domenica 1 marzo 1987 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Blu and blu - 01/03/1987

Intervista
L'autore più osannato, il cantante più amato, ma anche quello più introverso e più difficile da avvicinare. A volte sembra che il personaggio Baglioni sia capace solo di macinare successo con un'overdose di sentimenti.
In questa intervista insolita e scottante, Claudio Baglioni si scaglia contro colleghi, discografici, istituzioni e giornalisti per sottolineare la sua voglia di rimanere solo con la sua musica. E i milioni di fans?

di Pierluigi De Palma

- Baglioni, per la prima volta dopo anni la critica non si é dimostrata benevola nei tuoi confronti. Qualcuno ha dubitato sul valore artistico di "Assolo".
Baglioni: Ho letto anch'io di questi dubbi avanzati da alcuni giornalisti. "Assolo" ha sicuramente un valore sentimentale per me, l'ho fortemente voluto per una serie di motivi, in testa ai quali c'era il desiderio di non vedere dispersa una esperienza che invece mi aveva appassionato come da anni non mi succedeva. Ciò non vuol dire che io non mi sia interrogato sul valore musicale del disco. Per mesi mi sono domandato se era il caso di pubblicarlo, ed in questa fase i sentimenti sono stati tenuti a distanza. Penso che nessuno mi possa rimproverare qualcosa a riguardo; in diciannove anni di carriera, non sono mai stato propenso ad esternare in pubblico i miei sentimenti, così come, a differenza di alcuni cantautori del passato, non ho mai utilizzato televisione o altri media per polemiche o ripicche personali, magari occultate nel testo di una canzone. "Assolo" è stato pubblicato perché mi è sembrata una operazione valida dal punto di vista etico-musicale.

- Non ti ha assalito il dubbio di approfittare dell'amore a volte cieco di chi ti segue?
Baglioni: No, e per una ragione ben precisa. Trovo che "Assolo" abbia un proprio valore autonomo, non è un doppione del precedente album live. Molte canzoni sono presenti in versioni completamente stravolte come approccio e come clima. A volte vi sono sonorità assolutamente diverse dagli originali e così pure gli arrangiamenti si dirigono verso altre direzioni. Non penso che le versioni presenti sul disco debbano essere considerate come reinterpretazioni di brani già noti: molte volte, mentre suonavo, ho avuto la sensazione che queste soluzioni fossero addirittura anteriori alle versioni arrangiate con il gruppo.

- Alcuni hanno pure detto che "Assolo" è un disco esagerato e quindi noioso...
Baglioni: Esagerato lo è sicuramente, ma non era mia intenzione pubblicare un "meglio di" o qualcosa del genere. Il disco aveva ragione di esistere solo in questo formato, in modo che potesse raccontare alla gente tutta la mia carriera, vista sotto un altro punto di vista.

- E qui si ritorna sul sentimento...
Baglioni: Certo. Il motivo per cui tengo a questo disco è molto semplice. L'anno scorso, dopo il tour de "La Vita è Adesso" e la pubblicazione di "Notti di Note", pensavo di sparire per molto tempo. Sono andato in montagna per qualche mese e lì ho praticamente riscoperto la chitarra ed il pianoforte. Ho avvertito una immensa voglia di suonare, di tornare al centro del mio mestiere nella speranza di diventare anche un buon strumentista. È stata una sensazione bellissima: c'erano giorni che suonavo in completa tranquillità per quattordici o quindici ore assaporando la sensazione tattile del tasto del pianoforte o della corda di una chitarra. Adesso vorrei studiare con un maestro classico e continuare ad indagare nel mio passato. Attraverso il lavoro sul passato mi sto creando un opzione sul futuro; chissà forse tra qualche anno Baglioni potrà essere ricordato anche perché suonava bene la chitarra o il pianoforte.

- Dimmi la verità, chi ha creduto in questo disco?
Baglioni: Nessuno al di fuori di me, mia moglie, Pasquale Minieri e poche altre persone del mio entourage. Alla CBS mi continuavano a dire che "non mi conveniva" "che non era il caso" "che mi avrebbe danneggiato in termini di popolarità". Superata questa fase, mi hanno creato altri problemi. Volevano assolutamente disco nei negozi prima di Natale ed ad un certo punto ho dovuto quasi nascondere i masters per poterci lavorare con calma.

- Mi vuoi far credere che i problemi con la propria casa discografica costituiscano la realtà anche di un artista del tuo calibro?
Baglioni: Purtroppo è così. Io per anni ho dovuto difendere la mia autonomia, persino la mia personalità, ma devo dire che anche oggi, che sicuramente posso permettermi più voce in capitolo, le pressioni sono tremende. Quando uscì il disco mi rinchiusero per due giorni in una camera a rilasciare interviste: è stato tremendo.

- Perché lo hai fatto? Che bisogno hai della promozione?
Baglioni: In termini diciamo così mercantili assolutamente nessuno. Il disco ha venduto bene e penso che sarebbe stato lo stesso anche senza interviste. Lo faccio perché ogni volta ho la speranza che quella conversazione con il giornalista di turno possa servire a spiegare alla gente chi è Baglioni, chi è veramente. Molte volte però è fatica sprecata.

- Umana incapacità o falsità dell'interlocutore?
Baglioni: Forse tutte e due. Niente è più difficile che spiegare se stesso. D'altra parte in questi anni ho avuto mille dimostrazioni della falsità di molti giornalisti. Gente che davanti a me sorrideva e mi adulava e che il giorno dopo sputava veleno sui giornali.

- Non ti sembra assurdo che una persona che ha a disposizione possibilità comunicative enormi debba ancora combattere per far capire alla gente chi è veramente?
Baglioni: E assurdo ma è così. Ho avvertito questa sensazione anche in occasione del tour di "Assolo". Per l'ennesima volta mi accingevo a spiegare Baglioni alla gente, nel tentativo di convincerla di non avere di fronte un impostore, un uomo che vive sull'amore altrui. Dicevo alla gente che spesso mi chiedevo che impressione potevo dare lì, su un palco, e ogni notte tentavo di dare delle risposte. Dicevo loro di voler parlare chiaro una volta per tutte ed invece
immediatamente avvertivo che stavo riversando su di loro altri misteri, altra retorica. Oggi mi sono convinto che questo mestiere non offre delle occasioni di totale confessione né possibilità per la comprensione altrui. L'unica cosa utile può essere il tempo, ma, evidentemente, nel mio caso non ha funzionato visto che ancora oggi dopo quindici anni di professionismo alcuni si chiedono: chi è Baglioni; una persona sincera o un falso?

- Dietro ogni tua mossa c'è il pericolo che la gente possa fra intendere...
Baglioni: Esatto, e questo è piuttosto avvilente. Penso che nessuno salga su un palco con spirito francescano. Ci sono decine di componenti e tra questi sicuramente una buona dose di narcisismo, motivi economici ed anche la necessità di uno sfogo. Su un palco ci si sente forti e magari anche utili. C'è tutto questo dietro questo mestiere, ma perlomeno, per quanto mi riguarda, c'è anche tanta buona fede.

- Non pensi di essere stato un po' troppo presente ultimamente? Quasi che la tua dimensione di uomo pubblico stia valicando quella di artista.
Baglioni: Mi sono chiesto anche questo, stai sicuro. Non volevo né voglio diventare il prezzemolo per ogni occasione. Ma spesso chi dice questo non accetta una questione molto semplice: questo è il mio lavoro e perché non dovrei farlo quando sono sicuro delle cose che propongo oppure quando sono legato ad esse da motivi sentimentali? E facile parlare quando si è assenti: gli assenti non sbagliano mai. Ma ci sono delle occasioni in cui bisogna scegliere e magari anche rischiare: alcune volte mi sono ritirato per anni interi, questa volta ho rischiato.

- Baglioni, molti dicono che tu sia un Messia, un Segno dei Tempi, un Faro per le masse giovanili...
Baglioni: Ho letto anch'io di cose simili. Ho una grande fortuna: possiedo ancora una buona dose di autoironia che mi consente di restare ancorato alla realtà. Non mi sento addosso questa condizione che altri mi hanno attribuito e sono sicuro di non aver fatto niente per avvalorarla. Ricordi il tempo in cui si diceva che i cantautori dovevano trasmettere il messaggio? Bene, a quel tempo io cantavo il privato, il quotidiano, cose e sentimenti dell'intimo; ed anche oggi che i temi si sono allargati, non sono lì a sentenziare, a fare sparate: la mia è sempre una indagine condotta con la lente d'ingrandimento. Mi rimproverano di usare un tono predicatorio ai concerti, ma dimmi tu cosa dovrei fare, visto che anche un semplice grazie detto di fronte a cinquantamila persone appare retorico e predicatorio. Quando sei in uno stadio non puoi dialogare; sembra sempre di essere a Piazza S. Pietro.

- E tu sei il Papa, magari
Baglioni: E' questa civiltà dell'immagine che lavora ogni giorno per creare sempre nuovi personaggi, nuovi simboli. Per quanto mi riguarda ho un privato che mi salva, che mi ricorda costantemente il senso della misura.

- A proposito di privato: non pensi che "Avrai" ed "Il Sogno è Sempre" costituiscano due momenti di un'unica biografia dei sentimenti?
Baglioni: Sì, potrebbe essere ed uso il condizionale perché in tutta sincerità non l'avevo mai pensato prima. Sicuramente "Il sogno è sempre" è una canzone autoriflessa, che nasce da un momento di calma ma anche di imbarazzo, la tipica condizione che ti assale quando finisce un concerto oppure termina il lavoro su un disco; ti guardi intorno e dici: "E adesso che si fa?" E' anche un mezzo per spiegare alla gente il vero significato de "La Vita è Adesso" un testo che è stato spesso frainteso, svilito in un semplice carpe diem e questo mi ha onestamente dato fastidio. Non voglio negare l'importanza di vivere la quotidianità con grossa tensione, ma altresì ritengo che vivere senza un progetto futuro, un sogno nel cassetto, sia fatica sprecata o quasi. "Avrai" era ancora una riflessione personale però più generica, anche se in quel caso l'input era costituito da un avvenimento strettamente privato.

- Sinceramente penso che la versione di "Questo piccolo grande amore" presente su "Assolo" avrebbe faticato non poco ad essere scelta come canzone più bella del nostro dopoguerra.
Baglioni: Non sei il primo a dirmelo anche se penso che sia soltanto una questione di abitudine. Alcuni fans addirittura l'hanno ritenuta una offesa alle proprie memorie, un attentato a qualcosa che era divenuto patrimonio di tutti. Mi è nata così, per sbaglio nel vero senso della parola: durante le prove successe che una volta sbagliai il primo accordo e ne venne fuori un suono che mi piacque moltissimo. Da lì continuai sino a che la canzone non prese forma in maniera spontanea; accetto il tuo giudizio, ma penso che la versione di "Assolo" sia di gran lunga più bella dell'originale.

- Cambiamo discorso. Hai visto scorrere dinanzi a te quasi venti anni di discografia italiana: cosa è cambiato nel tempo, ammesso che qualcosa sia cambiato?
Baglioni: Qualcosa purtroppo è cambiata, anche se in questi giudizi proprio il decorrere del tempo ti inganna perché fa sembrare il passato sempre più bello di ciò che è stato in realtà. Comunque, sicuramente la discografia italiana da anni non propone più nulla, non ricerca più talenti ed in generale non fa arte. Siamo prigionieri delle regole del marketing: quando è uscito il disco, andavo in CBS e sentivo sempre le solite cose, bisogna sbrigarsi, bisogna vendere, vendere. Ecco la discografia oramai è tutta qui, è una industria spesso gestita da persone che ignorano completamente le regole del proprio mestiere. Di questo ne ho fatto le spese anch'io: non per scaricare colpe sugli altri, ma sono convinto che alcuni errori del passato sarebbero stati evitabili avendo a disposizione un interlocutore valido.

- Non hai mai pensato di imitare Venditti e di incidere per una tua casa discografica?
Baglioni: Ci sto pensando adesso anche se ritengo che questo potrà risolvere solo una parte del problema.

- Baglioni, molti tuoi colleghi vanno all'estero e poi raccontano di grandi trionfi: tu che ne pensi?
Baglioni: Non li capisco, non comprendo l'utilità di queste tournée in America o in Canada, tese a conquistare un mercato che è invece precluso per questioni di organizzazione. Il mercato americano non è penetrabile da un cantautore italiano e men che meno è avvicinabile attraverso queste tournée della speranza. Invece loro vanno lì e poi quando ritornano raccontano di grandi accoglienze, successi strepitosi, anche se poi tutti sanno che li hanno visti solo gli emigrati.

- Non pensi che faccia parte di un tipico atteggiamento dell'artista italiano, spesso ignorato dai media a vantaggio delle stars anglosassone; quasi un voler vincere, con finta spavalderia, un decennale senso di inferiorità
Baglioni: Sì, probabilmente è così. D'altronde la spavalderia, la guasconeria, esce fuori sempre quando ci si sente penalizzati, ed è indubbio che l'attenzione dei media -in questo paese si rivolga soprattutto a proposte straniere. Ora il punto è che in effetti questo atteggiamento dell'informazione non è sbagliato anche se a volte è un tantino esagerato. Voglio dire, non è assolutamente vero quello che spesso si sente in giro che i più bravi siamo noi che gli artisti italiani scrivono i testi migliori; non è vero perché ora come prima nelle nostre liriche ci siamo sempre rifatti a questo o quello scrittore anglosassone ed inoltre ci siamo ostinati a suonare una musica che non è la nostra. I ritmi tribali possono essere suonati anche da un gruppo svedese, ma non sarebbe la stessa cosa, ne uscirebbe fuori sempre un prodotto rimediato. Da qui l'invidia, il senso di inferiorità, le imprecazioni ogni volta che arriva uno Springsteen e tutta l'informazione giustamente si mobilita, dimenticando però che anche altri negli anni hanno riempito S. Siro o hanno addirittura girato con lo stesso successo tutta l'Italia.

- Hai tirato in ballo la stampa musicale: come la giudichi?
Baglioni: Devo essere sincero?

- Come vuoi
Baglioni: Devo dirti che provo un certo disgusto per l'ambiente. Molte volte ho avuto dimostrazione di come molti giornalisti non abbiano più credibilità, violentino le esigenze dei lettori per poter soddisfare il proprio ego. Ho letto recensioni di concerti da parte di gente che aveva soggiornato al bar per tutto lo spettacolo e giudizi su dischi mai ascoltati. Non li credo più, salvo le dovute eccezioni.

- Meno male, forse possiamo continuare. Cosa è che ti ha spinto per due volte in un anno a sopportare le fatiche di un tour?
Baglioni: Un tour è come una ubriacatura che ti stordisce completamente, che magari ti involgarisce, perché a quei ritmi di vita perdi ogni regola di disciplina personale, ma che riesce anche ad esaltarti tanto che vorresti che quella esistenza si perpetuasse all'infinito. C'è qualcosa di eroico nel musicista che va in tournée; sembra un soldato che passa di trionfo in trionfo e si trascina da un posto all'altro sempre più stanco, ma mai con il desiderio di abbandonare.

- Capita però che il musicista-soldato a volte si trova di fronte spettacoli desolanti come centocinquanta metri di prato tra sé e la folla.
Baglioni: Esatto. E' stato il cruccio più grande durante le ultime due tournée. Non è giusto che il pubblico sia penalizzato in questo modo, accolto in strutture completamente inadeguate, quasi tenuto a distanza di sicurezza. L'estate scorsa ho assistito a scene che a mio parere sarebbero da codice penale. Durante il tour de "La vita è adesso" avevo sopportato sino alla fine sperando che qualcosa in futuro potesse cambiare e le serate al Flaminio di Roma avevano rafforzato questa speranza. L'anno dopo invece, mi sono trovato di fronte agli stessi problemi e questa volta ho capito che non c'è proprio niente da fare, che non c'è un reale interesse ad ovviare a questa situazione di pregiudizio.

- Come intendi regolarti su questo problema?
Baglioni: Voglio evitare delle corresponsabilità. In fondo sono io, con i miei spettacoli a creare queste occasioni, no? Ed allora la soluzione viene spontanea: niente più concerti finché non si pone rimedio a questa situazione discriminatoria, il che potrebbe anche dire mai più un concerto in vita mia. Se devo essere sincero questo è un altro motivo che ha sotteso la pubblicazione di "Assolo": quella potrebbe rimanere l'ultima testimonianza di Baglioni dal vivo.

- Baglioni, ho l'impressione che non ti vedremo per molto tempo…
Baglioni: Penso di sì. Voglio ricominciare a suonare, voglio esercitarmi ancora, voglio riposarmi. Non ti so dire al momento quanto durerà, ma è certo che non si tratterà di mesi. Forse qualche anno. Sì, un lungo silenzio.


segnalato da Enrico

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