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Rassegna stampa - domenica 5 ottobre 1986 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Radio Corriere TV - 05/10/1986

Claudio Baglioni i giovani lo amano piace alle mamme riempie gli stadi eppure qualcosa non gli va e protesta…
Non gioco più



di Guido Harari

Un Baglioni vestito di lontananza e ammantato di nostalgia quello che si avvia a calare il sipario sui suoi ultimi megaconcerti estivi. I fans non lo sanno ancora, ma è un addio: basta stadi, basta adunate oceaniche, basta disagi e polemiche come tristemente da copione. Baglioni arriva quasi a parafrasare l'intellettuale dell'8½ felliniano che, "soffocato dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto", si domanda se "ad un artista veramente degno di questo nome non bisognerebbe chiedere quest'unico atto di lealtà: educarsi al silenzio". Basta, quindi.
Sulla scena Baglioni ama darsi la pena di monologare col pubblico, elargendo riflessioni, aneddoti, battute. Sorridendo stancamente, ricorda un servizio d'ordine particolarmente zelante che, l'anno passato a Varese, gli rifiutò l'accesso in stadio poiché sprovvisto di regolare pass. Pensando ad uno scherzo più che ad un equivoco, l'artista fece notare che lui, proprio lui, avrebbe dovuto esibirsi su quel palcoscenico, invece gli risposero seccamente che no, manco a sognarselo, su quel palco quella sera ci avrebbe cantato Baglioni, non lui. Fu il primo d'una lunga serie di segnali, registrati durante la fortunata tournée dell'85, che lo indussero a riflettere sull'opportunità di sbarazzarsi di quel personaggio ingombrante e quasi irreale che tutti, pubblico e stampa soprattutto, gli avevano destinato.
Proprio per questo motivo, più che una semplice tournée quest'Assolo '86 era nata quasi come una sfida: per uscire una volta per tutte dal ghetto dei cantautori, per scrollarsi di dosso le mille etichette di "narratore delle piccole cose", di cantore di chissà quali "buoni sentimenti", di "eterno adolescente" che invece, tagliato già il traguardo dei trentacinque anni, pensa finalmente sul serio a "cosa fare da grande"; forse pure per la voglia di mollare il fatidico schiaffo in bocca a certa "critica becera" che da tempo immemorabile lo vede come fumo negli occhi, ciarlatano a trentatré giri, ingiustificabile sollevatore di folle senza eguali, poeta incorreggibile dei primi (e pure secondi e terzi) turbamenti di più d'una generazione.
Nella voce di Baglioni, solitamente pacata, s'avverte una rabbia e un'ironia feroce nei confronti di quanti gli chiedono soltanto di ripetersi, miste ad una gran voglia di provocazione, di spiazzare e mandare a gambe levate luoghi comuni ed etichette ottuse, modelli di una "fissità" che da anni continua a "punirlo".
Scomodo. Baglioni va rimosso perché difficile da maneggiare, come le cifre che si porta appresso, come il suo fenomeno, come il suo mito. Dice Pasquale Minieri, primo motore dell'operazione Assolo '86 sul piano della produzione dei suoni e degli arrangiamenti: non esistono altre spiegazioni. Lui stesso, passato con disinvoltura da operazioni di ricerca sulla musica popolare col Canzoniere del Lazio e con gli ottimi Carnascialia a divertissement rétro con Beppe Starnazza & i Vortici, sino alla De Sio "africana" firmata Brian Eno, è stato messo all'indice per l'eccessiva latitudine dei suoi interessi artistici e musicali. "Dobbiamo fare i conti ogni giorno con un inspiegabile rifiuto, principalmente da parte della stampa, a comprendere la nuova voglia di rischiare di Claudio, il suo nuovo potenziale", spiega Minieri durante l'ennesima verifica delle complesse apparecchiature elettroniche collegate tra loro sul palco. "Mettere in piedi una tournée come questa, uno spettacolo di tre ore, in soli quindici-venti giorni, a casa mia, con un'ansia di rinnovamento che ci ha portati a realizzare una forma di concerto senza precedenti dal punto di vista tecnologico ed artistico, non è uno scherzo, eppure soltanto un ristretto gruppo di musicisti venuti ad assistere allo show hanno rilevato l'effettiva portata dell'operazione. Pochi vogliono ammettere che Baglioni è molto più musicista di quanto si immagini: non è soltanto un semplice cantautore in grado tutt'al più di strimpellare pochi accordi al piano o alla chitarra. Tutto in questo spettacolo è stato concepito su misura per lui, per il suo gusto, per il suo talento, per il suo rapporto unico col pubblico. L'idea di applicare su di lui questo sistema di connessione tra vari strumenti elettronici (il termine tecnico è Midi e consente di comandare più tastiere suonandone una sola) non è casuale poiché s'adatta molto di più al lavoro di un compositore che a quello di uno strumentista, il quale ne farebbe un'esibizione di tecnicismo gratuito. La ricchezza e la varietà di soluzioni di un sistema simile (sul palco sono presenti otto Expander DX7, due MK80 stereo Roland, un DX7, un Roland RD1000, un pianoforte Kurzweil, due campionatori di suoni Akai 612 ed un campionatore Akai 900, più diverse chitarre acustiche ed elettriche) garantiscono una libertà totale dal vivo e la possibilità di improvvisare arrangiamenti ed esecuzioni secondo l'umore della serata e in virtù di una vera e propria reazione a catena tra i diversi strumenti".
Ma come era nata in origine l'idea di una tournée "a due mani", in chiara antitesi col progetto dell'anno passato? "Fu per caso", prosegue Minieri, "in occasione dell'esibizione di Claudio al Teatro delle Vittorie per Fantastico. Per consentirgli di eseguire da solo Notte di note gli proposi di interfacciare due o tre tastiere, cui avrebbe sovrapposto voce, chitarra e batteria elettronica con ottimi risultati. In seguito, indeciso se proseguire sulla via di un cambiamento ma desideroso di "riappropriarsi" delle sue canzoni in maniera del tutto personale e intima, mi rese partecipe dei suoi dubbi: lasciarsi sopraffare, dopo il clamoroso milione di copie vendute da La vita è adesso, dall'ennesima crisi creativa e chiudersi in un silenzio di due-tre anni oppure lanciarsi subito alla ricerca di una strada diversa? Decise di riprendere il discorso appena terminato esattamente da dove lo aveva lasciato, cioè dall'esibizione a Fantastico, senza rinunciare per questo all'enorme bagaglio di musicista accumulato in tanti anni ma piuttosto andando a riscoprire tutto ciò che poteva considerarsi ancora valido e attuale, come ad esempio lo sfortunato album Solo del '76. Il mettere mano a strumenti del tutto nuovi per lui, come le tastiere elettroniche, ha fatto il resto, scatenando una vera e propria frenesia creativa".
Per Baglioni però Assolo '86 è nata più che da un semplice caso da una ben calcolata smania di smuovere un certo deserto di idee, la ben nota inamovibilità della musica italiana. Per far tutto questo era necessario soltanto un pretesto: "rientrare" dentro la propria musica, ritrovare di nuovo la scintilla creativa che lo ha sempre motivato a continuare, a tener duro. "Quando ho cominciato a provare a casa di Pasquale", si inserisce Baglioni, "sono andato a ritrovare le mie canzoni, le migliori e le peggiori, senza alcuna parzialità. E' vero che tutti gli artisti hanno una lacrima da piangere e si cerca di farlo sempre di nascosto perché magari si è stati rivalutati, si sono affinate le capacità e quindi si preferisce passare oltre. Io invece ho acchiappato qui e là ciò che era rappresentativo di tanti anni di rapporto tra me e il mio mestiere, tra il mio mestiere e il mio pubblico. Ho organizzato così, anche per me stesso, un viaggio umano, sentimentale, non strettamente musicale, con la sensazione dell'esserci da molto tempo e d'aver coniugato negli ultimi anni le mie ricerche con un enorme successo popolare. Questo mi ha anche un po' spaventato, specie da quando pare che il mondo della discografia si auguri che Baglioni non esista, che sia un'invenzione della fantasia perché qualunque cosa faccia funziona, perché vende un milione di copie quando nessuno vende più, perché con lui i botteghini degli stadi sorridono mentre si assiste al naufragio generale degli spettacoli dal vivo, e così via. Questo assoluto che ha dato fastidio a tanti altri, beh, ha dato fastidio anche a me. Non dico questo per compiacere gli altri (questo favore non lo farei proprio a nessuno!), ma piuttosto perché a volte può accadere di sentirsi prigionieri dei numeri, della paura di non riuscire più domani a cambiare radicalmente, perdendo così il successo e la compagnia di tanta gente. Tra un sentimento di polemica verso un insieme di cose, la stanchezza per un ambiente al quale non ho mai sentito d'appartenere veramente, il disagio per il "così tanto", per l'entusiasmo precostituito e preventivo di parte del pubblico, ho sentito che finiva qualcosa. Ho pure cercato di dare un nome a questo finale, ma non è una situazione facilmente analizzabile".
"Assolo '86 è stata uno spettacolo di transizione, di crisi, non di arrivo né tantomeno l'autocelebrazione di un'intera carriera, come qualcuno ha scritto", dice Baglioni. "Come tutti gli artisti narcisisti, inizialmente l'ho fatta per me stesso. Come avrei potuto tenerla confinata nella mia stanza o nelle dimensioni ridotte di un teatro? Poi la grande esagerazione è stata quella di tornare sugli stessi luoghi del delitto, cioè della grande tournée dell'anno scorso, con la voglia di verificare eventuali differenze di numeri, di gradimento, di rapporto, di calore e di attenzione. Non era una tournée d'addio, lo è diventata. Per buttar via il mio stesso essere protagonista, il mio essere personaggio pubblico. A metà ho avvertito strani sintomi di autodistruzione e quasi mi sarei augurato qualcosa di negativo per il bisogno di una scudisciata che mi rimettesse alla ricerca di qualcosa di diverso. Poi il tutto s'è trasformato in una mezza protesta contro le strutture e la loro cronica inadeguatezza a trattare con rispetto un pubblico che ama la musica, che paga un biglietto sostituendosi così ad uno Stato che preferisce sovvenzionare altre forme di intrattenimento più o meno "culturale", un pubblico serio che apparentemente ha meno diritti di altri. Così ho anche provato un bisogno di eroicità, non quella plateale e provocatoria, ma piuttosto una sorta di possibile, ridicola sofferenza interiore. Gli ultimi dischi sono stati fatiche indicibili, veri e propri muri da scavalcare, a volte reali, a volte fantomatici, con l'eterno desiderio di dare al mio mestiere una precarietà avventurosa. Ecco perché quest'anno anche nella dimensione che amo di più, quella di suonare dal vivo, credo d'aver desiderato un finale ineluttabile, un cambiamento: non tanto per protesta, quanto perché da quando ho cominciato a suonare da solo mi sono sentito più coraggioso, diverso. Mi piaceva stare in scena "fino in fondo", con responsabilità e gusto, con meno vincoli. Questa eccitazione mi ha messo addosso smanie diverse e forse la consapevolezza che avrei potuto guadagnarmi sul campo quello che mai avrò su un pezzo di carta o nella considerazione di certe persone. È stato come dare un'accelerata in curva per verificare la tenuta della macchina, con coraggio ed anche con incoscienza. Mentre l'anno passato mi aveva appassionato molto l'esperienza di una tournée intesa come viaggio in sé e intorno allo spettacolo, assieme ai musicisti, col piacere di suonare insieme, stavolta le emozioni più grosse sono arrivate sul palco. Il viaggio ha perduto d'importanza a favore di uno spettacolo rischioso, totalmente in mano mia. Non più un'esperienza collettiva, ma qualcosa di più intimo e profondo, cui hanno fatto seguito considerazioni più serie".
Baglioni sorride di nuovo. Sa di mettere una volta di più il dito in una piaga annosa, tormentata, forse incurabile, ma tant'è. Il circo della musica esige spettacolo, a qualunque prezzo. Malafede tanta e fantasia poca, stanchezza e disperazione, crescita zero di una industria che ha perso ogni colore, il malessere di correre a rimorchio di mode già in via d'estinzione, demenziale sociologia del look e dell'effimero. Per Claudio sembra essere arrivato il momento di guardare altrove, "oltre".
Dice: "Mi fa rabbia questo grigiume, quest'assenza di spessore ormai comunissima ovunque, in tv, sui giornali, in questi fantomatici e truccatissimi premi alle voci, ai best-sellers camuffati, in questa abominevole crisi del disco che è diventata come una malattia che si sopporta senza nemmeno cercare più di capirla, di curarla. Non ho mai preteso di essere paladino di nessuno, ma me la sono presa sempre di più quando m'è parso di leggere spocchia e presunzione da parte della critica cosiddetta "musicale" nei confronti del tanto pubblico: un'entità che, a sentir loro, va osteggiata e derisa. A leggere certi articoli si scopre che anche l'Italia ha il suo negro, e questo è la ragazzina (intesa come simbolo di tutti i giovanissimi) che ha forse come unico torto quello di non tirare sassate sui palchi, di non pretendere la musica gratis, di sopportare i disagi di uno spettacolo rock in un megaspazio con servizi d'ordine troppo nervosi, di non usare droghe, di non cercare la violenza fine a se stessa, di strillare con frasi esagerate il suo entusiasmo per il personaggio che ama e magari non per il critico che scrive su questo o quel giornale. Esiste ben chiara una sorta di risentimento nei confronti del mondo giovanile. Di tanto in tanto leggero e superficiale, ma come siamo d'altro canto tutti. E poi questa banalità del sottolineare sempre i "buoni sentimenti" delle mie canzoni, come se se ne desiderassero davvero di cattivi. Questi che scrivono non sembrano poi tanto "profeti del Male" e quindi la loro mi sembra una borghesissima celebrazione in negativo. Ecco perché, a costo di inimicarmi ancora di più alcuni personaggi, devo ribadire che la critica musicale è ignorante (con le dovute eccezioni, ovviamente, tutte da benedire). Che molto poco sa di tecnica, armonia, vocalità. Che ancora meno conosce e s'informa di una intera vicenda di un autore. Ormai si leggono sempre più spesso articoli che sono compitini di sociologia, analisi di costume, caratterizzati da una non voglia di educare il pubblico, anche quello che viene ai miei concerti. Dal canto mio sono io stesso caduto nel tranello dell'educatore quando ho voluto affinare le mie canzoni con arrangiamenti, sonorità e accordi nuovi, cercando di ampliare i gusti del mio pubblico. Inutile dire che mi sono visto accusare anche stavolta, e con me pure i fans, dei soliti torti. A me pare francamente più banale chi scrive sempre le stesse cose alla stessa maniera".
Dalla stampa alle organizzazioni che producono musica, Baglioni pare non voler risparmiare nessuno. "Qui la "ruralità", la disattenzione e il brancaleonismo che si respirano sono insostenibili", afferma il cantante tutt'altro che rassegnato. "Tante buone intenzioni vanno a farsi friggere quando ti ci vai a scontrare. Ogni giorno ti trovi coinvolto in battaglie campali con le autorità locali ed è qui che scopri che l'esercizio del potere è un vizio scabroso. Chiunque sia investito di un incarico o di un ruolo di controllo perde immancabilmente la testa. Cantare per tre ore è faticoso, certo, ma io canterei anche nove ore pur di non avere a che fare con giunte guerrafondaie, tutori dell'ordine che vogliono remare controcorrente, ecc. Non che io tenga ad esagerare questo stato di cose, ma trovo che a questo punto sia l'unico modo per far capire una realtà insostenibile. La musica è gestita malamente a tutti i livelli, anche da parte di chi ruffianamente la vorrebbe rilanciare in nome del "No playback, si musica dal vivo". Non è così che si risolve il problema e benedetta la musica registrata se registrata bene! A volte sarebbe meglio cantare dal falso (!), piuttosto che dal vivo! C'è troppa musica in giro e troppo a buon mercato; giornali, tv, radio, tutti vivono di musica e chissà se davvero a proposito, un po' come già è capitato di recente col calcio. C'è troppa musica non italiana che arriva da fuori e da dentro il Paese. Credo che ci troviamo in una situazione che non fa certo del bene ai nuovi autori e ai nuovi musicisti, dove ci si riduce a ricopiare tali e quali modelli di una cultura diversa che non può essere vissuta allo stesso modo e che ci si riduce a scimmiottare in modo molto discutibile. Credo che questo fenomeno sia da imputare alla proliferazione di trasmissioni tv del tipo "salotto" o "contenitore" sempre ostentatamente debordanti di ospiti musicali. Il peso del conduttore e del programma, salvo rare eccezioni, è sempre più relativo, e chiunque venga invitato come ospite viene automaticamente iperbolato per rilanciare la propria trasmissione come la migliore in assoluto, la più varia, la più completa. Di qui un progressivo appiattimento e perdita di spessore. Il discografico ha perduto la funzione dell'editore d'inizio secolo, di propositore di cultura, di mecenate quasi, di pigmalione, mentre gli artisti stessi dovrebbero fare molto di più e meglio. Troppi dischi italiani vengono fatti sulla scia dei prodotti stranieri più fortunati. Francamente trovo che sia meglio un disco brutto ma originale che uno riuscito ma scopiazzato qua e là. Oggi, con i campionatori di suoni, si corre incontro a una sclerosi poiché tutti potranno confezionare al meglio dischi e concerti copiando letteralmente il lavoro degli altri! Vestiremo insomma tutti alla cinese! Ecco perché, eliminata ogni differenza sostanziale sul piano della musica, la battaglia della diversità si svolge tutta su quello del look e delle sparate promozionali. Ad esempio, lui ha fatto la diretta tv, beh io ne faccio due! Bisogna togliersi dalla testa di procedere sempre a senso unico. Quando negli anni Settanta si recuperò il termine cantautore si creò una nuova primavera di sedicenti cantautori. Io stesso ne conoscevo cinquecento! Fu uno dei tanti marchi di pura musica vergine che arrivò a funestare il mercato discografico con prodotti pazzeschi e razzismi ingiustificati. Oggi bisognerebbe tornare ad apprezzare nuovamente le "differenze". E combattere con forza ogni forma di speculazione sull'immagine e la popolarità dei personaggi. L'uso, l'abuso della faccia stampata su posters, cartoline, magliette, specchi, libri di pessima qualità e informazione. E io a tentare di convincere personalmente la gente, visto che non ci sono leggi che difendano un rapporto corretto fra artista e pubblico, che è tutta una truffa. Le mie canzoni svendute e schiaffate dentro fustini di detersivo. E le persone giù a spendere soldi e a pensare che tu ci guadagni sopra".
Baglioni si ferma un attimo a riprendere fiato. Ripone con cura i vestiti di scena nella valigia azzurra e con essi gli appunti della giornata, stilati con scrittura minuta e precisa. C'è un lampo di smarrimento nei suoi occhi. Cosa seguirà a questo grande finale, a questo "lungo addio"? "Sicuramente una frenata", sembra riflettere tra sé e sé. "Certi ritmi ossessivi sono anche inebrianti, lo stare per strada è un mito da sempre, un sogno ambito. Ma ho sempre detto che la musica non è tutta la mia vita e non vorrei che la mia vita fosse tutta la mia musica, anche se è da vent'anni che mi ci trovo dentro. Non vorrei che un giorno mi capitasse di smettere di pensare. Non posso rinunciare ai miei dubbi e quando vai troppo veloce non c'è tempo per i dubbi. Questa nuova voglia di fare con le mani, di suonare da solo, per me che non sono un musicista assoluto ma semmai un autore ed esecutore delle mie canzoni, ecco, questo mi affascina. Vorrei quindi il tempo di studiare, di migliorare questo fare "con le mani, con le dita"".

segnalato da Critiana Borghi

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