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Rassegna stampa - lunedė 1 settembre 1986 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Nomi di oggi - 01/09/1986

Anche quest'anno la sua tournée ha richiamato complessivamente più di un milione di spettatori e il suo prossimo "ellepi" ha già quattrocentomila prenotazioni.
Da qualche anno, nella musica leggera, non c'è personaggio che riesca a eguagliare il carisma di Claudio Baglioni.
Potrebbe vivere come le pių celebrate rockstar straniere e invece č il classico bravo padre di famiglia, tutto casa e sala d'incisione. In fondo, č proprio questa la chiave del suo successo: essere rimasto un ragazzo semplice e timido.

di Gianni Melli

foto Da qualche anno, nella musica leggera, non c'è personaggio che riesca a eguagliare il carisma di Claudio Baglioni. E' un cantante da venticinquemila spettatori a concerto. Quando cominciò, non lo capiva nessuno. Oggi lo capiscono tutti. Ogni sua iniziativa va a ruba. Notti di note, libro-diario di una sua tournée, ha venduto 180.000 copie e continua a essere richiesto. Più di un editore vorrebbe convincerlo a scriverne un altro, includendolo tra i suoi mille progetti. Lui, con la sua erre grattata, addolcisce le parole che rivelano venature di modestia e pudore.
"Io resisto. Mi vergogno di un successo commerciale così enorme. In fondo ho scritto solo un'autobiografia. Non una saga o un romanzo. No, non ho pretese di essere un Hemingway, o un Moravia. Dire che mi sento ridicolo, è poco".
L'ultimo album, La vita è adesso, ha raggiunto punte strabilianti. Oltre un milione di copie di fatturato. Baglioni detiene inoltre il record delle prenotazioni "a scatola chiusa": ha infatti già quattrocentomila richieste di un long-playing che deve ancora realizzare e che forse non ha ancora neppure pensato. Eppure lui lotta con gli altri e con se stesso per non diventare mai un prodotto commerciale, per non sentirsi come una marca di profumo o un dentifricio. Proprio per questo, dopo quasi vent'anni, Baglioni rappresenta la figura più interessante della nostra canzone, più di Gino Paoli, più di Lucio Battisti. Non a caso Questo piccolo grande amore è stata elevata ai fasti di "canzone del secolo" da una giuria di esperti, l'anno scorso a Fantastico.
Ma anche quest'anno Claudio Baglioni è stato capace di sorprese. Chiamato, per la seconda estate consecutiva, a una tournée negli stadi della penisola, ha vinto alla grande, sbaragliando le rockstar del momento. In ogni recital canta storie che vanno dritto al cuore. I suoi temi colpiscono. Canta contro l'apartheid messa in atto dalla nostra società nei confronti degli anziani: "I vecchi, se avessi un auto da caricarne tanti / mi piacerebbe un giorno portarli al mare / arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio tutti quanti". Canta l'entusiasmo di una coppia: "Gli innamorati pazzi / che vivono il più bello degli amori / gli occhi traboccanti cantano / più forte dei motori". Canta la solitudine: "L'amico mette su il caffè / e in fondo sa dentro di sé / se non sarà mai più lo stesso / si studia le scarpe e la strada dov'è". Ad ascoltare la sua voce che sa essere sussurro, invocazione e sinfonia, accorrono soprattutto i giovani. Più di un milione a tournée, tirate le somme. Una mega-comunità di adolescenti. Non scalmanati, non invasi da isterismi, ma bravi ragazzi attenti e silenziosi, appesi quasi alle sue strofe. Concerti "religiosi", dove neppure una parola di questo ultimo apostolo dell'amore, sempre vestito di bianco, deve cadere nel vuoto.
Fanatismo? Forse. "Parliamoci chiaro", osserva Giovanni Bruni, suo stretto collaboratore, "i minorenni, di sera, non vanno soli, a un recital. Quasi sempre sono accompagnati da un familiare, da un amico. E gli stadi li riempie solo Claudio perché sa richiamare buona parte del pubblico di una volta. Ripresentarsi e ottenere simili record di presenze significa avere una notorietà inarrestabile".
Aggiunge Elena Martelli, funzionaria della Cbs, la sua casa discografica:
"Tanta adesione al personaggio stupisce davvero. Molti suoi fans attuali, erano lattanti quando lui già conquistò per la prima volta le hit parade. Certo, Baglioni è un caso isolato".
Possibile? Come è riuscito a superare anche i salti di generazione? Cantautore gradevolmente semplice, senza enfasi e senza certezze acquisite, lui sorride e fa: "La soddisfazione non è mai completa. Canzone dopo canzone, cerco un traguardo che non è mai l'ultimo. E, per questi tempi di osanna, una ragione precisa non c'è. Ma nelle mie esecuzioni più fortunate, vibrano forze e sentimenti di anni di passione, di giorni passati a montare e a smontare i castelli dei miei sogni, dei miei continui dubbi e delle mie incertezze. E la gente ha capito che non speculo, che non cerco rapporti fasulli al pubblico. Non mi esibisco controvoglia solo perché ormai mi sono arricchito. I soldi sa goderseli solo chi li ha sempre avuti. A me va bene così, con i vantaggi e gli svantaggi di questo mestiere. Del resto non mi interessa avere consensi e applausi. Mi interessa comporre brani che abbiano dei significati. Ed è così da 18 anni".
Mai un sorriso di troppo. Con tutti ha rapporti di trattenuta e ostinata timidezza. Ma è proprio per quel suo modo di essere romantico che ha un vasto seguito di fedelissimi. E che può vantare anche un ruolo da rubacuori. Flotte di signorinelle d'Italia lo vedono in sogno come il compagno ideale e nell'attesa di un loro principe azzurro custodiscono gelosamente la sua fotografia. Amatissimo divo, Claudio Baglioni è esattamente l'opposto del divo. Pur continuando con la sua musica a popolare di sogni il mondo di due generazioni, non s'è mai mostrato schiavo del proprio personaggio. Uno stile di vita, senza guizzi di follia o improvvise cadute da nevrosi di notorietà. Con lui i riti del mito naufragano miseramente. Di nuovo cosa c'è allora in Baglioni? Niente. O meglio, c'è la novità della normalità: è riuscito a proporre il fascino del ragazzo qualunque. Per ciò è malvisto da troppi belli senz'anima della musica leggera. Il trionfo della normalità li irrita.
Racconta Libero Venturi, l'amico-impresario che gli è a fianco dal 1973: "E' l'esempio più clamoroso della regolarità diventata successo. Ed è di una onestà esemplare. Un pochino di cattiveria non gli farebbe male, ma lui è fatto così. Professionalmente è preciso, scrupoloso. Quando sono vicini un debutto o la registrazione di un disco, Baglioni diventa il mio incubo. Per giorni, è capace di tenere in prova il complesso, anche dodici ore filate, senza fermarsi mai".
La sua storia è normale e magica come una sua canzone. Perfino il cognome è abbastanza scontato. Non ha voluto saperne di dare retta a quei discografici che lo consigliavano di trovarne uno a effetto. A lui, Baglioni, piace. Baglioni Claudio, nato a Roma il 16 maggio 1951, un diploma da geometra nel cassetto, l'iscrizione alla facoltà di architettura. Per vocazione sceglie di progettare non case, ma canzoni. Figlio d'arte? No. Viene da gente comune. La mamma, Silvia, s'ingegnava da sarta. Il padre Riccardo era un maresciallo dei carabinieri. Da lui Claudio ha preso, da bambino, il gusto del racconto. Stava ore ad ascoltarlo. Parlava di sé, del periodo passato a fare il contadino in Umbria tra viali e campi ben curati. Gli raccontava anche il presente, una cronaca di avventure da guardie e ladri. E il giorno che Claudio, nell'appartamentino popolare di Centocelle, gli confessa la sua scelta: "Ho deciso. Il mio domani è la musica", lui lo guarda pensieroso ma non gli dice: "Lascia stare" né l'ostacolerà mai. E poiché l'amore costituisce il pane dei poveri, a ventidue anni Claudio Baglioni regolarmente approda al matrimonio. Sposa Paola Massari, che ha una fede incrollabile nel suo uomo, non ancora consacrato artista.
A completare il ritratto di famiglia, quattro anni fa è arrivato Giovanni. E col suo bambino, che Baglioni trascorre ogni minuto di libertà, affascinato dall'euforia dei suoi sorrisi. "Anche con la paternità", confessa, "tante certezze vanno in fumo. Un figlio non è soltanto sangue del tuo sangue. E' di più, è un mondo nuovo che si aggiunge al tuo. Un figlio cambia tutte le prospettive. Inizi a correre su un'autostrada parallela destinata ad arrivare più lontano. Per ora m'accontento di intrufolarmi nei suoi capricci, di esaudire le sue curiosità. Una volta mi ha tenuto mezz'ora al telefono. Era solo per farmi sentire che aveva imparato a fischiare. E per rispondere ai suoi perché, trovo pensieri nuovi. A volte mi scopro a guardare al domani. E non è mai il domani che vedevo prima".
Insieme, loro due vivono sempre in un paese dei balocchi. Seguire passo dopo passo Giovanni è inebriante come scrivere un nuovo brano. La voce di Baglioni s'affievolisce, è lontana. Lui vuole ritrovarsi tra i fogli delle sue centosessanta canzoni, contemplarsi, riavvertire le prime emozioni di autore. Ecco, il ricordo torna vivo. E l'anno del suicidio di Luigi Tenco, simbolo del malessere sociale dell'Italia del boom. Anche Claudio Baglioni, cresciuto in borgata, è un disadattato dal sorriso difficile. Le parole, dette con toni ispirati, sono intervallate da lunghi silenzi. "Mi chiamavano Agonia perché avevo un'aria sperduta. Quasi come quei cani bastardi in cui ci s'imbatte per strada. Desideravo sentirmi meno solo allora entrai nei primi gruppi di contestazione. Erano i tempi dell'utopia, della dissacrazione. Di giorno correvo per strada in cortei incandescenti. Di notte m'inebriavo ad ascoltare Yesterday di Ray Charles. Una passione. D'istinto cominciai a portare occhiali grossi e scuri, a indossare maglioni neri. Facevo esplodere la mia ribellione abbracciando una chitarra. Possibile, mi dicevo, che non riesca a mettere giù tre accordi di seguito? Volevo dire in musica quanto avevo nel cuore: amori infiniti, destinati a non tornare mai più; immagini di una Roma da poveri diavoli; dimensioni di un giorno nuovo per noi ragazzi. Provavo ma riascoltando le note appena scritte storcevo la bocca. Mi sembrava che fosse fatica sprecata. Ritentai dodici mesi dopo. Questa volta a infatuarmi fu la Patetica di Beethoven. Inventai una contromelodia. Scrivevo cancellavo, aggiungevo, evitando i sincopati di moda. Nacque un brano che chiamai Interludio. Beh, quella è la mia prima creazione. Il certificato di nascita della mia identità musicale. Segue Signora Lia. Sono al settimo cielo ma ho bisogno di consigli. Enrico Zeppegno, allora direttore artistico della Rca, mi rispedisce all'inferno. Sentenzia: “Questo non farà mai niente” ".
Anche gli inizi da cantante erano stati privi di quei colpi di scena così frequenti in artisti velleitari. "Ho sei anni quando salgo sulla sedia destinata ai soliti bambini molto petulanti e poco promettenti. L'evento avviene in un bar di Posta, paesino in provincia di Rieti. Mio padre in cambio della mia esibizione ottiene un'aranciata. Ma l'esordio vero avviene nel 1964. Al Concorso voci nuove di Centocelle. Gorgheggio Ogni volta di Paul Anka. Nessun "bravo" esplosivo. Anzi si sbracciano in pochi. L'anno dopo, però, mi prendo la rivincita. Con I miei anni più belli di Gene Pitney ottengo in premio una medaglia di latta. Ma il ricordo più esaltante è una chitarra augurale avuta in dono da mio padre. Costo 12.000 lire. Un pesante sacrificio. Però permettermi di suonare voleva dire darmi aria di libertà. Poi passo dal cantare l'Ave Maria di Shubert in occasione di un matrimonio di parenti al Festival degli Sconosciuti di Ariccia, patrocinato da Rita Pavone. Il risultato è sempre lo stesso. Non lascio traccia. Mi illudo quando la Rca mi dà fiducia, ma raccolgo soltanto delusioni da perdere la parola. Con Una favola blu vado incontro a un vero fallimento. Partecipo a varie manifestazioni e colleziono una serie di ultimi posti. Da "Un disco per l'estate", alla "Mostra internazionale di Venezia", alla "Caravella dei successi" di Bari. Sono predestinato a chiudere la graduatoria dei partecipanti. Come se non bastasse, il long-playing intitolato Claudio Baglioni, finisce al macero. Neppure mille copie vendute. Una sola lettera di complimenti. A spedirmela è un'ammiratrice, tale Irene di Altopascio. Troppo poco...".
Certo, bisogna essere indovini per prevedere un giorno la Baglionimania. Nel 1972, Claudio è il primo a temere di non avere le carte in regola per l'avventura di cantante. Meglio cambiar aria. Non sono gli altri a convincerlo. Si è autoconvinto. Ha il contratto per incidere ancora un disco, però già pensa di riprendere gli studi di architettura. Va a comprare i libri, a informarsi sulla data del prossimo esame che dovrà sostenere. Prima di lasciar perdere definitivamente, però, vuole incidere una canzone scritta da lui. E così affida alle note di Questo piccolo grande amore la propria sinfonia di addio. Musiche, parole le ha nell'animo, nelle orecchie, nel cuore. Gli bastano sette giorni per comporre quel motivo, come se fosse un testamento artistico. Comunque vada, si sente sul filo del traguardo. La sua sana matrice contadina non gli consente di patire complessi da sconfitto. Invece la sorte ribalta tutto. E' un trionfo e da allora il successo non lo ha più abbandonato.
Ha momenti di nostalgia nel rievocare quei giorni di inaspettata euforia che sembrava dovessero finire subito e che invece continuano ancora oggi. Dice: "Se mi chiedono come può essere successo, io rispondo: non ho seguito le mode, sono rimasto fedele nelle mie idee, cercando sempre la vetta con carattere e buona volontà. Questo piccolo grande amore riuscì così sorprendente nel panorama di quegli anni, che la gente cominciò a volermi bene, quasi fossi un cantautore irripetibile".
Quell'exploit è l'inizio di una cavalcata travolgente. In tempi di rockstar ambigue e divi ribelli, lui spicca, garbato e generoso, come l'eroe di un lontano poema cavalleresco. E' il cantante più amato dell'estate, tanto da diventare l'oggetto d'indagini e studi da parte di sociologi e psicologi. I primi sostengono. "Ai minorenni, le sue canzoni servono da strumento per capire i vuoti morali dei genitori". I secondi, più ottimisticamente, affermano: "S'identificano in lui i buoni sentimenti dei ragazzi dell'86".
Ma se Baglioni deve analizzare quanto gli è capitato, per ritegno cerca semplici scorciatole. Spiega: "Mi sento appagato quando in uno stadio riesco a creare un'osmosi tra me e il pubblico, nel senso di propositi, di insicurezze, di progetti. L'unica sfida ingaggiata con me stesso, e sono contento d'averla vinta, è stata quella di non riporre la chitarra che mi regalò mio padre. E' orgoglio, desiderio di coraggio e di emulazione. Ma il successo, quello non me lo sono mai sentito addosso. Forse perché ho evitato tutti i trabocchetti nei quali cadono gli uomini arrivati. Perdersi è facile come illudersi. Ho una massima: meglio convincere che vincere. La conquista presuppone la difesa di quanto hai ottenuto. Io non ne sono capace. In quel ruolo sarei un uomo finito. Non so scrivere su ordinazione. Mi riesce quando i fantasmi dentro me, prendono corpo e anima. La vita è adesso è uscito dopo quattro anni di silenzio. Prima di realizzare Strada facendo ero rimasto altri tre, a pensare. Correre non porta a nulla. Per creare, bisogna isolarsi".
A chi lo critica perché le sue ballate sono troppo lontane dai problemi sociali, Baglioni non dà ascolto. Cantare l'amore, l'amicizia, il rispetto civico non è già impegno?
C'è chi sostiene che la poesia del Novecento passa attraverso Paoli, Endrigo, Battisti, Baglioni. Diverso è però il loro modo di costruire le linee melodiche. "Non è casuale", dice lui. "Oggi si dà più importanza alla musica. Paoli, Endrigo, Battisti, erano più chansonnier. Prediligevano le parole al giro armonico. Non è un caso che ci trovino delle affinità. I miei motivi, in sintonia con le esigenze dei tempi, nascono prima in musica. Dopo scrivo i testi. Tanti anni di addestramento m'hanno permesso di avere tecnica e mestiere invidiabili.
"Oggi i brani si costruiscono in sale di registrazione sofisticate, con l'ausilio dei computer. Di conseguenza m'è toccato applicarmi nella laboriosa ricerca di ogni segreto del mestiere. Un mestiere che a volte ti fa sembrare più ingegnere elettronico che cantante. Ma per riaccendere la carica inventiva, mi rifugio nella mia bottega d'artigiano. Con pazienza e con umiltà confeziono le canzoni con le mie mani. In quel mio mondo di balocchi ritrovo fantasie, sogni, magie. Mi sento giovane, vitale. Bisogna sentirsi sempre come quando si era adolescenti per non essere consumati dal tempo".
Come un falegname costruisce mobili, lui scrive canzoni, dice cose che agli altri servono. Ad ascoltarlo corrono in ventimila per sera e per chi l'ascolta la solitudine è già lontana. La vita che sognava è adesso. E i giovani lo vogliono così. Il boom è solo una coincidenza.

segnalato da Antonio

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