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Rassegna stampa - venerd́ 23 agosto 1985 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Gente - 23/08/1985

Claudio Baglioni, il dominatore dell'estate canora, racconta per la prima volta la sua vita

"Volevo cambiare mestiere, poi incontrai mia moglie e arrivò subito il successo"



di Giorgio Lazzarini

"La mia più grande soddisfazione", dice il cantante "è scoprire che piaccio non solo ai giovani, ma anche ai loro papà e alle loro mamme" - "Sognavo di fare l'architetto e ho cominciato a cantare a un festival parrocchiale" - "Mi chiamavano "Agonia" perché mi vestivo come Juliette Gréco" ­ "Devo tutto a mia moglie Paola, che ha un intuito musicale infallibile"


Pietra Ligure (Savona), agosto
Adesso dopo ogni concerto scappa via nascosto in un'autoambulanza, scortato dai carabinieri, per evitare l'assalto del suo pubblico e non creare pericolosi disordini. Perché tra i protagonisti di quest'estate canora lui, Claudio Baglioni, è senza dubbio il numero uno. L'unico capace di mobilitare, ovunque vada, come minimo diecimila giovani, offrendo due ore e mezzo di musica, senza un attimo di pausa. E alla fine, ormai è quasi un rito, quei diecimila giovani che conoscono a memoria le parole delle sue canzoni, si alzano tutti in piedi per cantare in coro Questo piccolo grande amore , il motivo che amano di più.
Lo hanno definito "cantante dei buoni sentimenti", "profeta dei giovani", "poeta della musica leggera", "principe azzurro degli anni Ottanta". Baglioni, che con il suo 33 giri La vita è adesso è in testa alle classifiche dei dischi più venduti, detesta le etichette, le sintesi che pretendono di liquidare in poche parole una carriera tutta in crescendo e una lunga gavetta. Eppure per pochi personaggi come per lui le etichette si sprecano: così, come per pochi cantanti, per Baglioni si è scritto che non ama raccontare l'uomo e cosa c'è dietro il successo. Invece questo trentaquattrenne cantautore romano, felicemente sposato da dodici anni e padre di un bambino di tre, quando accetta il colloquio non lascia nessuna domanda senza risposta. E poi è un giovanotto tranquillo, dai modi gentili, educato. A Pietra Ligure, la cittadina della Riviera di Ponente che con concerti di grande successo si è conquistata quest'anno il titolo di capitale estiva della musica leggera, ho cercato di scoprire chi si nasconde dietro Claudio Baglioni: un profeta dei buoni sentimenti, un poeta o un principe azzurro ? O chi altro?
Roma, popolare quartiere di Centocelle: il futuro "principe azzurro" è nato qui, il 16 maggio 1951, figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una sarta. Racconta: "Da bambino sognavo di diventare ingegnere o architetto. Sognavo di costruire case, nuove case per le famiglie. Vivendo in periferia la città cresceva sotto i miei occhi, vedevo giorno dopo giorno i prati "mangiati" dal cemento. Le case mi affascinavano perché capivo che erano gli "uomini" a crearle, per altri uomini.

FIGLIO UNICO
"In famiglia mi hanno dato un'educazione abbastanza severa ma papà, comunque, non ha mai sognato un figlio carabiniere, non mi è mai stata presentata l'Arma come meta della mia vita. Né io pensavo alla musica. Il fatto, poi, che abbia studiato da geometra, e mi sia diplomato, è stata una scelta un po' obbligata. Abitando così fuori mano, non avevo molte scuole vicine alle quali iscrivermi, l'istituto per geometri era in pratica l'unica alternativa. Sono stato un ottimo studente, il primo della classe. Ma non un "secchione" vero e proprio: studiare mi piaceva, però spendevo tutte le mie energie nei primi tre, quattro mesi dell'anno. Poi vivevo di rendita, perché ormai mi ero fatto un nome. E nel terzo trimestre i professori mi promuovevano sulla fiducia, a volte senza nemmeno interrogarmi. Quando sono diventato il geometra Baglioni, non ero per nulla contento. "Geometra" mi sembrava perfino brutta come parola e ho fatto di tutto per iscrivermi ad architettura. Era il momento delle prime fiammate sessantottesche, e quella facoltà fu subito al centro delle contestazioni".
In una biografia di Baglioni un capitoletto ha questo titolo lapidario: "Infanzia felice, adolescenza un po' meno". E' una di quelle sintesi che lui non ama, ma spiega: "L'infanzia pone meno problemi, è per forza più "pulita". La mia adolescenza è stata l'adolescenza di figlio unico, con momenti di solitudine, difficoltà a stare con gli altri e voglia di starmene per conto mio. Con un fratello o una sorella sarebbe stato un periodo più felice, forse".
La musica allora entra nella vita del solitario Claudio per colmare un vuoto? Risponde: "No, assolutamente. E' stato un fatto del tutto casuale. A Centocelle avevo un amico, che si chiamava Adriano, e noi due facevamo tutto insieme come spesso succede quando due ragazzi diventano amici per la pelle. Bene, un giorno Adriano si iscrisse al festival parrocchiale di Centocelle, quota di iscrizione 1000 lire. Naturalmente per non essere da meno mi iscrissi anch'io. All'ultimo momento però Adriano si ritirò, mentre io partecipai alla gara cantando Ogni volta di Paul Anka. E mi classificai secondo. Avevo quattordici o quindici anni e questo successo mi fece venire voglia di saperne di più sulla musica.

LA PRIMA CHITARRA
"Così decisi di andare a lezione da alcuni maestri, a studiare chitarra: mi affascinava avere uno strumento sotto le mani. E subito partecipai a piccoli festival un po' dappertutto. A quei tempi il mondo della musica leggera non era come adesso: un giovane per arrivare all'incontro giusto impiegava anni, mentre ora c'è gente che dopo tre, quattro mesi che canticchia pubblica già il primo 33 giri. E tutto questo sarà anche bello, però non dà la possibilità di farsi un'esperienza, di vivere sofferenze utili.
"Io in quegli anni andavo avanti di testa mia, perché il mio futuro di cantante non aveva una strada ben definita, nessuno mi consigliava, accettavo tutte le esperienze. Così, per esempio, andavo a cantare in chiesa l'Ave Maria e una volta a una messa funebre cantai perfino With a little help for my friends, un motivo dei Beatles, e i frati della parrocchia rimasero impressionati perché non ricordavano di averla già sentita cantare in nessun'altra cerimonia.
"In casa mia il fatto che pensassi a cantare, continuando comunque a studiare seriamente, non suscitava nessuna opposizione, nessuna perplessità. La prima chitarra "scolastica" me la regalò proprio mio padre, la seconda invece mio zio. E siccome studiando musica facevo progetti, arrivò per forza il momento del primo spettacolo, in un teatrino romano di periferia, compenso mille lire per quattro canzoni. Era avanspettacolo "classico": c'erano le soubrette, i pattinatori, il pianista nella buca. Cantai un "minestrone" musicale nel quale c'era un 45 giri di Consolini, gli urlatori, complessi del momento".
Raccontano che in quegli anni dei primi passi nel mondo della musica leggera, Baglioni avesse un curioso soprannome: "Agonia". Il cantante conferma e spiega: "Mi chiamavano così perché sembravo Juliette Gréco. Il nome mi venne dato quando presi a frequentare un bar di un'altra periferia. Ero l'unico studente del gruppo e cominciai ad assumere atteggiamenti ombrosi, a vestirmi sempre di nero, a portare occhialoni scuri. Sembravo Juliette Gréco, sprizzavo malinconia esistenziale da tutti i pori, e perfino dal modo di camminare. In realtà era tutta "tappezzeria", tutta scena. Andavo in giro conciato in quel modo perché credevo che con quell'abbigliamento e con quell'atteggiamento sarei stato più sexy agli occhi delle ragazzette. Ma in quel bar c'erano giovani che avevano ben altri problemi, e fu inevitabile che facessero dell'ironia su di me, ribattezzandomi "Agonia".
"Intanto avevo sempre più voglia di diventare cantante, e sempre meno di studiare da architetto. E poi avevo voglia di scrivere non solo musiche, ma anche i testi, io che a scuola non scrivevo nulla, non tenevo un diario, non scrivevo nemmeno bigliettini. Il giorno in cui finalmente andai a firmare il primo contratto alla RCA, che doveva essere la mia prima casa discografica, mi presentai con il mio bel vestito tutto nero, tanto per far capire che se mi volevano mi dovevano prendere così. Credevo che non mi avrebbero preso, e invece appena mi sentirono cantare tutti a dirmi "bravo". I "bravo" si sprecarono proprio. Però dissero anche che mi dovevo vestire in modo giusto e mi portarono immediatamente in un carissimo negozio del centro di Roma a comprarmi il primo vestito da cantante: un orrenda giacca color vinaccia e tremendi pantaloni in tinta, acquistati con un anticipo sui miei futuri guadagni. Dopo qualche settimana i pantaloni riuscii a riciclarli a una parente, che li usò per farne una splendida gonna. Comunque era cominciata la marcia verso il cosiddetto successo.
"Per tre anni però non accadde nulla di particolare. Incisi il mio primo 33 giri, che non ebbe grande fortuna. Ma proprio perché non sfondavo la critica mi voleva bene. Imparai così che i critici non amano ciò che ama la massa. E infatti presero a volermi meno bene quando le mie canzoni ebbero successo".
Già, ma il momento magico per Claudio Baglioni stenta ad arrivare, nonostante qualcuno abbia intravisto in lui un sicuro talento, nonostante una gavetta sofferta.

IN POLONIA
"Tanto sofferta", confida ora Baglioni "che a un certo punto ebbi la sensazione di non farcela. Anche perché il momento non era dei più facili. Io ero cantautore quando non esistevano i cantautori: era, infatti, l'epoca delle ultime Canzonissime storiche, degli ultimi Festival di Sanremo in grande stile, i cantautori genovesi non c'erano più e i nuovi non piacevano ancora. E così decisi di incidere il mio ultimo disco: una sfida alla mia casa discografica e a chi non mi aveva capito. Dissi a tutti che con quel disco avrei chiuso per sempre.
"Solo che nel frattempo mi capitò l'occasione di una tournée di due mesi in Polonia. E mi trovai a vivere per tanto tempo in un Paese straniero, a cantare ogni sera in grandi teatri che per me facevano il tutto esaurito e con un pubblico che a volte mi costringeva a 8 o 9 bis. Alla fine della tournée ero un cantante popolarissimo in Polonia e ricco, perché mi avevano anche strapagato. Mentre in Italia continuavo a non essere nessuno. Ci fu un momento in cui pensai addirittura di stabilirmi per sempre in Polonia, convinto che il destino mi avesse condotto nella mia isola fortunata.
"Non rimasi in Polonia, però quella tournée mi insegnò una cosa importantissima per la mia carriera: io fino ad allora avevo scritto testi molto ermetici e invece dovevo usare un linguaggio più semplice, più immediato, più vivo. Una volta tornato in Italia, però, non volevo più nemmeno saperne di quell'ultimo disco. Poi però mi convinsero e in otto giorni scrissi diciotto canzoni. Un tempo record per chiunque. Una settimana e mezzo dopo l'uscita, Questo piccolo grande amore era già primo in classifica.
"La notizia che il disco stava andando forte scombussolò tutti i miei piani. Perché io avevo già ripreso in mano i libri di architettura e mi ero perfino informato sulle date degli esami. Questa cosa che il disco vendeva mi lasciò per un momento confuso, non sapevo cosa fare. Anzi, appena me lo dissero, non capii nemmeno bene che cosa volesse dire primo in classifica. Poi capii e allora ricordo che camminando per le strade, guardavo le finestre delle case e pensavo: "Forse là dentro c'è qualcuno che mi conosce". Intanto la critica, prima così benevola con i miei insuccessi, piano piano cominciava ad abbandonarmi. Doveva proprio essere vero, quindi, che Questo piccolo grande amore andava forte".
In questo 33 giri che ora possiamo definire "storico", nella canzone Battibecco c'è anche una voce femminile sconosciuta ma importante nella vita di colui che sarà definito "il cantante dei buoni sentimenti": la voce di Paola Massari, che di lì a poco diventerà non solo la signora Baglioni ma, anche, la sua prima e insostituibile collaboratrice.
"Ci siamo conosciuti a una mostra di elettronica nel '71 mi pare", racconta Claudio "e lei a quell'epoca si era appena diplomata all'istituto di cinematografia e televisione. La costrinsi a cantare, e a cantare anche male, perché per Battibecco volevo una voce che non fosse di una cantante professionista. Ho scoperto dopo che mia moglie aveva uno spiccato talento musicale, una grande capacità di intuire se una canzone funziona o no. Ci sposammo nel 1973 e Paola è la persona di cui mi fido di più, molte canzoni nascono da un nostro confronto­scontro, lei è l'unica che riesce a individuare quali sono, nel mio marasma personale, le cose più importanti. Come per esempio quando scrivo canzoni che cantate durerebbero venticinque minuti. Il suo parere è importante ma non sempre decisivo: se boccia una canzone che a me piace, io vado avanti nonostante il giudizio contrario di Paola.
"Paola e io abbiamo avuto un figlio, Giovanni, nel 1982: cioè dopo nove anni di matrimonio. Perché abbiamo aspettato tanto? Perché non volevamo che facesse la fine dei figli degli artisti, di solito "educati" con telefonate transoceaniche dei genitori che gli dicono "Ciao, come stai? Mi raccomando vai a letto subito". E intanto il piccolo è affidato a una bambinaia. Lo abbiamo voluto quando ci è sembrato che noi fossimo pronti, che la nostra vita avesse un assetto più normale, che noi fossimo meno smaniosi di vivere in un certo modo.

LE MIE CRISI
La paternità la vivo come un'evoluzione: all'inizio pensavo che mio figlio fosse solo un "pezzo" mio e di mia moglie che si era "staccato"; adesso comincio a prendere coscienza che Giovanni è un'altra persona, con un suo carattere preciso. E questa "scoperta" mi carica di responsabilità, perché vedo davanti a me un futuro tutto da costruire, magari con un secondo figlio. Giovanni è molto sveglio e ha una grande memoria: i testi del mio ultimo 33 giri, La vita è adesso, se li ricorda meglio lui di me".
Com'è la giornata in famiglia di Claudio Baglioni? Risponde: "Non dormo molto, perché si vede che mi sto avvicinando alla vecchiaia e mi bastano poche ore di sonno. Poi leggo di tutto: anche quattro quotidiani, libri di poesie e di narrativa, senza una scelta precisa, ma lasciandomi ammaliare da qualche titolo, da qualche autore. Se sono al mare, nuoto: ma è l'unico sport. Non so neppure andare in bicicletta. Però so giocare a calcetto, perché si impara all'oratorio e i ragazzi italiani in qualche modo sono tutti cresciuti in un oratorio. Nella mia giornata libera in ogni caso non c'è spazio per la musica, non sono un maniaco dell'ascolto. Possiedo solo una piccola fonovaligia, per me il giradischi è un elettrodomestico e basta. Le mie giornate libere sono in definitiva pause di ripensamento".
Chi conosce Claudio Baglioni sa che è un cantante che spesso ha bisogno di pause, che spesso nella sua vita ci sono momenti di crisi, di dubbi, desiderio di solitudine. Forse anche di meditazione sui "buoni sentimenti", sul "principe azzurro" che fa impazzire le ragazze, sul successo.
Spiega: "Io amo i buoni sentimenti. Però c'è gente che fa la guerra ai buoni sentimenti e poi si infuria se gli rubano la macchina. E non sono nemmeno d'accordo sul "principe azzurro" che fa sognare le ragazzine. Penso che un giorno dovrebbero arrabbiarsi i ragazzi che vengono a sentirmi. E poi, ai miei concerti non vengono solo i giovani, ci sono anche i genitori, a sentirmi sono insomma famiglie intere. Questo perché il linguaggio è uno e le canzoni che propongo arrivano a tutti. La più grossa soddisfazione per me è quella di scoprire che ho "coniugato", che ho fatto andare braccetto genitori e figli.
"Certo ho le mie crisi, i mie dubbi, le mie nausee, le mie paure, le mie incertezze. Forse non mi sono mai completamente adattato ai ritmi di questo mestiere, un mestiere chi ti dà la sensazione di esseri sempre in gara. Certe sere, in tournée, mi sembra di esseri un saltatore che mette l'asticella sempre più in alto, prima di alcuni centimetri, poi di qualche millimetro perché vede che l'altezza che può superare si fa più esigua. Però deve tentare, perché non si accontenta più di saltare solo due metri. Ecco, io non mi accontento più di saltare sempre due metri, e allora a volte mi vengono i dubbi, le crisi. E possono anche durare tanto".





segnalato da Paola

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