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Rassegna stampa - luned́ 1 ottobre 1984 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su MondoErre - 01/10/1984


Claudio Baglioni
Un cantastorie dei giorni nostri



di Valerio Bocci

foto Claudio Baglioni nasce a Roma il 16 maggio 1951, sotto il segno del toro, da una famiglia normalissima, senza ghiotte tradizioni musicali.
A 14 anni uno zio gli regala una chitarra. Passa ore e ore a ricavarne dei suoni. Arrivano gli anni '70. Claudio ha quasi 18 anni.
In questo periodo la casa discografica RCA è una potente macchina industriale che sforna decine di cantanti di successo, ma un limbo inaccessibile dai nuovi talenti.
Entrare in una casa discografica rappresentava allora una sfida.
Claudio ci prova. La prima volta gli dicono di lasciar perdere. Passa giornate intere in attesa di un incontro con qualche "pezzo" importante. Seduto al bar, con la sua chitarra, osserva il via vai dei cantanti e divi famosi. Finalmente lo chiamano per un provino. "All'entrare nello studio – ricorda - ero impacciatissimo, ero talmente terrorizzato che non riuscivo nemmeno a dire il mio nome. Ero tesissimo, c'erano i tecnici col camice bianco, asettici in questo ambiente freddissimo dove tutti fanno il loro mestiere e tu sei uno sconosciuto, uno senza identità, che deve dimostrare a dei professionisti di essere qualcuno, non solo un aspirante. Non c'era nessuno che pensasse minimamente a mettermi a mio agio con una battuta. Ero messo lì, buttato davanti a un microfono a cantare la mia canzone. Finita la canzone andare via, rifare all'indietro la strada di prima con in mano nient'altro che il solito commiato burocratico: "le faremo sapere qualcosa tramite lettera, magari fra tre mesi, tra sei o mai"". Lo etichettano come "bravo, molto bravo". E con tale etichetta rimane otto mesi senza far niente, tutti i giorni in pellegrinaggio alla RCA, seduto al bar, tra i portieri e le segretarie che gli chiedono: "Ma lei che fa qui?". Intanto incide il suo primo ellepì Un cantastorie dei nostri giorni. Alla RCA sono sicuri della bontà del disco da considerarlo un "cavallo vincente". Inviano Baglioni alla Mostra Internazionale della canzone di Venezia, per farlo conoscere al pubblico. Lo accolgono con grande entusiasmo durante le prove, ma al momento della votazione viene rifilato all'ultimo posto. I giornalisti che lo avevano applaudito si dimenticano di lui e scrivono: "Poi ce n'era uno, certo Claudio Baglioni, che cantava cose senza senso, isteriche, tristissime". Una botta tremenda. Claudio rimane fermo per oltre un anno, con tanta rabbia e un desiderio di rivincita. Matura l'idea di un album ambizioso, che racconti una vicenda dall'inizio alla fine, a tema unico, con taglio cinematografico. Con lo stile del linguaggio parlato imbastisce una storia d'amore tra due ragazzi, poco più che adolescenti, immersi nel mondo di ogni giorno: scuola, manifestazioni, cariche della polizia, famiglia, servizio militare, il giro degli amici.
Nasce Questo piccolo grande amore. Il disco regala grosse soddisfazioni al suo autore: raggiunge in breve le vette della hit parade e il successo. La stessa freschezza di sentimenti e di vita ritorna negli album seguenti, realizzati con l'amico Antonio Coggio: Gira che ti rigira amore bello (1973), E tu… (1974) e Sabato Pomeriggio (1975). Nel '76 sforna Solo e nel 1978 E tu come stai. Dopo la tournée promozionale di quest'ultimo 33 giri, Baglioni sparisce dalla scena, chiuso in un silenzio che durerà quasi tre anni. "Non so perché ­ si giustifica ­ malgrado il successo dell'album, nacque un'atmosfera triste, una di quelle situazioni dall'apparenza impalpabile che esistono e non sai perché. Sostanzialmente sparii perché mi ribellai al fatto che fossero più importanti i miei dischi della mia persona". Nel 1981, senza clamori, con la solita aria da bravo ragazzo, ritorna con un nuovo album. Strada facendo. Nove canzoni inframezzate da una lunga ballata autobiografica. Non fa in tempo a dire: "Ragazzi, io il disco l'avrei finito" che se l'erano già comprato in 300 mila. E sempre lui: stessa aria da menestrello, stessa voce sempre sul punto di strapparsi, stesso cuore semplice, afflitto e sognatore. Lucio Dalla appena sentito il disco, si precipita al telefono per dirgli: "L'avevo sempre detto che eri un poeta". I testi sono molto belli, forse più interessanti della stessa musica. I versi sono semplicemente perfetti secondo la metrica e azzeccatissimi per descrivere in poche battute situazioni di vita vissuta: la rabbia dell'amore disperato, la malinconia dell'amore finito, la speranza di un domani migliore:
"Ma che cos'è che mi fa andare avanti e dire che non è finita / cos'è che mi spezza il cuore tra canzoni e amore / perché domani sia migliore, perché domani tu / strada facendo vedrai che non sei più da solo / strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo / e sentirai la strada far battere il tuo cuore / vedrai più amore, vedrai".
La cosiddetta "critica ufficiale" ha snobbato volutamente Baglioni soltanto perché non scriveva di politica. Il pubblico invece è stato sempre con lui, fino a suggerirgli il titolo del doppio album-live Alé-oo (1982). La folla che canta con lui lo spinge a non fermarsi mai. Così "Strada facendo", gli scoppia dentro la voglia di continuare. Perché sa che non è più solo.


segnalato da Paola C.

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