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Rassegna stampa - venerd́ 27 aprile 1984 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Il Messaggero - 27/04/1984
www.ilmessaggero.it/


Nostalgia degli anni 70


di Claudio Baglioni

Negli anni Settanta, che per il tempo affannoso e il logorio carciofaro della vita moderna già sembrano di prima della Guerra Mon-diale, "fare musica" non fu più soltanto quello che normalmente si intende con queste parole ma qualcosa di più e di più complicato. E la musica si divise in impegnata e in disimpegnata, in organica al movimento e in evasiva, in progressiva e in commerciale; e mu-sica del vissuto, del personale, intimista, crepuscolare, metropoli-tana, alternativa, classista, consumista e di rottura. Un esercito di cantautori si affacciò sulle scene, armato di chitarra e vociaccia arrotata. Ci furono cantautori della prima, seconda, terza e quar-ta generazione. Della scuola romana, milanese, genovese e napoletana. Cantautori politici, arrabbiati, ermetici o esperti nel lancio del messaggio. Tutti, incredibilmente, credibili. Tutti perciò fidu-ciosi di trasformarsi da divi in operator cultural-musicale.
Perfino i poveri interpreti, i solo-cantanti, per non affogare si "au-torizzarono" (che sta a dire: divennero autori) rispolverando an-tologie d'italiano, qualche temino in classe, la marimba con le note a colori e il flauto dolce del figlio. Altri, con ricatti paurosi, ob-bligarono l'inserimento del proprio nome tra gli autori, quelli veri, dei pezzi che avrebbero poi interpretato. E in questo clima, una cantante famosa, "cantautorizzata" anche lei, dichiarò: "Io fo della musica reazionaria!". E al perplesso "perché ?" del cronista ri-spose: "Perché sono una che per carattere, reagisce a ogni cosa...".
Un altro asseriva che tutte le sue canzoni le aveva composte su un pianoforte Rubinstein, e s'arrabbiava di brutto con chi gli diceva che Rubinstein non era un pianoforte ma solo un pianista. A Roma, uno spettacolo di cantautrici, anche allora assai poche, con geniale invenzione venne intitolato "Le cantautori" (per la maschia bellezza, maligna uno in sala, delle protagoniste).
I cantautori venivano su come funghi, tra polemiche e contesta-zioni, processi, disordini e ambiguità, tra "la musica è nostra ed è gratis", degli autonomi e degli autoriduttori - gli autotranvieri pagavano sempre - e il conformismo di "quattro accordi e pugno chiuso" e sei bravo per forza.
Oggi viviamo giorni un po' meno eroici e più di passaggio iniziati con quel benedetto "riflusso" che mi dà ogni volta l'idea di un ba-gnoschiuma alle erbe marine. E i cantautori, quelli sopravvissuti, e più agguerriti di ieri, parlan di musica come evasione e le parole contano poco, basta solo che il tutto sia giusto e gradevole.
A me, pure se ero tra quelli che scrivevano di cose private, di piccole storie e realtà, e che l'impegno lo vedevano e lo vedono ancora nel far sempre meglio questo "mestiere" e musica, se è possibile, buona e parole che facciano bene o anche male ma senza proclami né slogans (per questo ho ricevuto critiche e diminuzioni), manca un poco quel tempo di grandi voglie e di gran confusione, che ora molti rinnegano, ma che ha portato, scegliendo nel mazzo, tante buonissime cose.
Mio zio, che ha lasciato il podere e adesso sta dentro una casa in paese, col frigorifero, lo stereo e i canali televisivi da scegliere, s'è fatto un orto piccino, tra il garage e il muretto di divisione, e ci passa le ore. Forse un po' gli riviene alla mente di quando era giovane e, sotto il sole gelato dell'alba, andava nei campi.

segnalato da Cristiana

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