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Rassegna stampa - domenica 12 febbraio 1984 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Ciao 2001 - 12/02/1984


Claudio Baglioni contro il tempo


di Francesco De Vitis

Abbiamo raggiunto Claudio Baglioni, in classifica con due album, il doppio dal vivo "Alè-oò" dello scorso anno e una raccolta di successi dei primi anni di attività. Per questa intervista esclusiva…e un giochino all'insegna della diplomazia.

Che effetto ti fa finire nelle classifiche con ben due dischi mentre sei presumibilmente a riposo?

Non sono d'accordo con le operazioni del tipo 'i grossi successi di...", specie in questi momenti in cui si parla di bana-lizzazione del gusto. Quella che mi riguarda è, più che una compilation, una raccolta che si ferma al 1976, praticamente il materiale di cui disponeva la RCA che l'ha venduto e stravenduto. Comunque, a parte questa piccola amarezza, il resto è pura soddisfazione, diversa da quella che puoi provare quando fai un disco nuovo e, se va bene, te lo trovi in classifica dopo due, tre settimane: senti che in qualche maniera hai vinto il tempo con delle cose che sono oramai sganciate da quelle che stai facendo in questo momento. Sentire che le tue canzoni vanno praticamente in giro da sole, non hanno bisogno della manina, dell'intervista, del passaggio televisivo… resistono al tempo, alle mode, ai francobolli e alle etichette che, dalla mattina alla sera, dobbiamo in qualche maniera dare a quello che facciamo, a quelli che non ci hanno creduto in un primo momento... Qualche piccolo risentimento c'è, ma credo che sia stato costruttivo perché mi ha dato una mano, stimoli a volte di rabbia, a volte di vendetta non violenta ma attraverso le canzoni, come dire "adesso vi faccio vedere io che sono capace di fare anche meglio". Così mi tocca quasi dire grazie a chi mi ha messo i bastoni tra le ruote.

Qualche giorno fa hai pre-so parte ad un convegno sull'industria discografica dove s'è parlato del disco come bene culturale. Qual è la tua opinione in proposito? Il disco è cultura?

Io credo che lo sia, non so a quale tipo di cultura specifica appartenga ma è probabilmente un veicolo velocissi-mo di informazione, di gusto, di costume. Non credo, come ha detto qualcuno nella prima parte di quei convegno, alle case discografiche che propongono cultura, non credo che il disco possa essere considerato oggetto di cultura proprio perché non se ne fa, si vive un po' al "si salvi chi può", i discografici cercano di ottenere un risultato veloce e a ogni costo che tamponi il più possibile il fatturato mancante, i buchi che hanno qua e là... anche la mia raccolta è una dimostrazione. Comunque trovo bizzarro che, a livello di imposte ci siano differenze tra disco e libro, trovo bizzarro che ci siano sovvenzioni da parte dello Stato ad altre forme di musica e non alla musica leggera che, seppure in crisi, è unica che si rammenda le toppe da sola... ma da qui, pensare che la crisi o la disaffezione del pubblico o la copia privata siano le uniche fonti di crisi non mi trova d'accordo. La produzione è caduta per terra perché non c'è più una casa discografica che abbia una linea vera a livello artistico propositivo... invece ogni anno è sempre peggio, ci si affida a quelle tre, quattro manifestazioni, che poi diventano otto, dieci, cinquanta tra un po', in cui si tratta di promuovere proposte tutto sommato già vecchie.

A proposito di manifestazioni: che cosa rappresenta per te Sanremo, Festival della canzone italiana?

Io ritengo, oltretutto, che non sia più il festival della canzone italiana, sarà per un fatto senile (ride)… io mi ricordo ancora la doppia versione, il complessino o il grosso solista straniero che interpretava la canzone. C'era un fascino differente che forse la discografia ha cambiato… metti quest'anno c'era la possibilità di votare le canzoni prima di averle ascoltate quindi trovo strano parlare di canzoni quando magari la gente ha votato al buio, per un fatto di simpatie personali. Poi s'è perso il fascino della canzone in diretta, dell'orchestra… d'accordo, molti sostengono che la musica di oggi, proprio come realizzazione, non sia ripetibile facilmente in un teatro, ma allora rimane solo la vetrina di dischi.

"Questo piccolo grande amore" ha fatto parte, insieme a "Il cielo in una stanza" di Paoli e "Io che non vivo" di Donaggio, della terna di canzoni finaliste di un concorso per trent'anni della Rai. Ti ha fatto piacere? Speravi di vincere?

Mi ha fatto molto piacere perché la prima selezione è avvenuta a livello popolare, su segnalazione della gente... io ho giocato a fare lo scettico ma poi mi sono messo a prendere appunti, a seguire le votazioni... mi sono commosso, confesso. Il criterio per scegliere tra le tre è stato però diverso quindi giusto che abbia vinto Paoli perché "Il cielo in una stanza" rappresenta la coscienza storica della canzone italiana.

Parliamo un po' del divo di successo quando non lavora. Oppure l'artista, come tutti quelli che vivono del proprio ingegno, lavorano sempre?

Questa che si lavora sempre è una cosa che si dice ma poi non so quanto sia vera. Mi accorgo sempre di più che quello che faccio lo faccio perché non posso farne a meno anche se non riesco più a programmare niente, o forse non ci sono mai riuscito. C'è sempre questa lotta continua tra il pudore e la voglia di manifestarsi e il più delle volte vince il pudore... La giornata è tradizionale, momenti di felicità e momenti di angoscia alla ricerca di un risultato finale che è in linea di massima un album, ma c'è anche la voglia di scrivere qualcosa che non ha musica sotto, di filmare una scena con gli occhi piuttosto che con le note ma alla fine questo mondo dei musicanti e dei canzonettisti che si ghettizza non ha altri sbocchi in altre manifestazioni di tipo artistico. Cerco di acchiappare il tempo, di sentirlo utile scrivendo delle cose anche se ci sono periodi di stasi, di angoscia, di paranoia in sede di bilancio serale... la composizione, per quello che mi riguarda, non è gioiosa, è sofferenza, sensazione di aver fatto nella testa più di quanto non venga fuori, come una forma di autosoddisfazione pericolosa. Per riuscire a fare qualcosa io ho bisogno di deprimermi molto, se sono sereno passo due anni tranquillo e mi dimentico che bisogna anche scrivere qualcosa. Forse questa è la dimostrazione che si lavora sempre, che si pensa sempre alle canzoni anche se l'autocensura, il pudore mi fanno buttare via tre milioni di energie.

Qualche anno fa il gesto simbolico è stato l'incendio di Camilla, la tua macchina. Cosa bruceresti oggi?

Quella era una specie di piccola rivoluzione privata, mi piacque perché all'epoca la mia vita era improntata a una specie di ribellismo, magari anche di maniera... poi sono diventato una persona normale, quieta, è stata una cosa strana, ho sentito una specie di responsabilità... quel gesto era chiudere un periodo. Non so se brucerei qualcosa, farei dei fuocherelli qua e là, anche in questo ambiente ma i nomi (ride) li farò tra qualche mese, quando uscirà l'album... ma giusto una scottatina leggera leggera.

Ma cosa serve oggi a un artista come te?

Serve fare della musica propria, correttamente. Io credo di aver fatto sempre le mie canzoni... ritorno al fatto dei dischi in classifica, la soddisfazione è questa, sapere di aver scritto sempre le mie canzoni e non quelle degli altri.


INFERNO O PARADISO?

Abbiamo convinto Claudio a fare con noi il vecchio gioco di "Inferno o Paradiso", naturalmente fuori da implicazioni metafisiche. Lui ha accettato di buon grado ma, da buon diplomatico ha preteso anche il Purgatorio…

Falcao: Paradiso, sicuramente…
Platini: Adesso sta lì messo male, so che avrà un processo per soldi spurii… finchè è proprio bravo Paradiso, ma con qualche pericolo di cascare giù.
De Gregori: Qualche annetto di Purgatorio, ma pochi, e poi Paradiso… è molto corretto Francesco, come artista e come personaggio, ma qualcosa la deve espiare, come io del resto.
RCA: Paradiso direi di no, ma neanche all'Inferno. Qualche annetto all'Inferno sì, ma chiedo di cambiare i dogmi per farla salire poi in Purgatorio ma mai in Paradiso…
Caporale: Lui tenta molto di infernarsi ma credo che sia una persona da Purgatorio stabile.
Totò: Gli auguro il Paradiso.
Fellini: Mi sembra un personaggio da Paradiso… a questo punto non è che io lo ritenga tale piuttosto è lui che sembra in cerca di questo Paradiso.
Narratori italiani: in questo clima di protezionismo per le arti italiane direi Purgatorio-Paradiso.
Moser: Cosa vuoi dire a uno che a fatto quell'impresa? Poi m'è sempre piaciuto. Paradiso, per forza…
Craxi: E' uno da Purgatorio… e fette di Paradiso, bene o male riesce a tenere in piedi la baracca.
Paola Massari: Mia moglie? Nel personale i tre regni si intrecciano dalla mattina alla sera… essenzialmente si cerca di andare verso il Paradiso ma nessuno dei tre posti è escluso.
Minà: Prima di tutto un buon parrucchiere.


segnalato da Antonio

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